Elettra fra Sofocle e O' Neill
di Simona Micheletti

In ricordo dei miei anni universitari Quando ero studentessa del terzo anno di lettere classiche, seguivo il corso di Storia del Teatro: quell'anno, oggetto di studio monografico era il rapporto tra l'Orestea di Eschilo ed Il lutto si addice ad Elettra di E. O' Neill. A distanza di quasi vent'anni, con non minore entusiasmo, torno a riflettere sull'opera del drammaturgo americano, alla ricerca di elementi che richiamino anche la tragedia sofoclea. Saranno proprio quattro chiacchiere senza pretese di alcun tipo, semplicemente un'occasione per rievocare tempi passati a me cari. Per chi non conosce l'intreccio de "Il lutto si addice ad Elettra", trilogia scritta intorno al 1931, offro una breve sintesi. Negli anni della guerra di secessione, il generale Ezra Mannon ritorna a casa dai campi di battaglia e nella propria dimora è ucciso dalla moglie Christine che ha per complice il proprio amante, il capitano Adam Brant, cugino di Ezra, reietto ed umiliato perché figlio di madre serva. La figlia Lavinia, che un viluppo di passioni inconsce lega alla figura del padre, persuade il fratello Orin a vendicarlo. Sottomesso alla sorella, Orin sopprime il capitano Brant: lo seguirà nella tomba Christine, indotta a suicidarsi dalla presenza ossessiva e vindice di Lavinia. Orin e Lavinia si imbarcano per un lungo viaggio, ma il destino luttuoso incombe anche su di loro. Orin si ucciderà e Lavinia, consapevole ormai di essere una Mannon, una creatura cioè in preda ad un'atroce fatale nemesi, si rinchiude nella dimora avita, offrendosi in olocausto precoce alla vendetta dei trapassati. Per chiarire i rapporti tra il mito greco e la trilogia americana un utile punto di partenza può essere costituito da quanto O'Neill afferma: …voglio scrivere un dramma psicologico moderno, valendomi di una delle antiche leggendarie trame della tragedia greca e introdurre un moderno equivalente psicologico del senso greco del Fato… Queste parole già lasciano capire che l'influsso della tragedia greca nell'opera di O'Neill, non è riducibile solo ai tratti esteriori dello schema e della trama, ma agisce a livello di tema drammatico: il senso del destino che da Eschilo in poi ha sempre grandeggiato nella coscienza di chi, faccia a faccia con la necessità di agire, dovette prendere una decisione, fare una scelta; la scoperta dell'ambiguità inesorabile dell'esistenza, della duplicità per cui le parti si invertono e ognuno può passare da un ruolo a quello opposto con estrema facilità, senza possibilità di scampo. O'Neill, a differenza dei tragici greci, recupera a parte integrante e concreta della tragedia la fase per così dire tiestea della saga: la storia, già dimenticata a livello conscio ma ancora viva, di una rivalità amorosa fra fratelli: tra Abe, il patriarca fondatore del clan dei Mannon, e il fratello oppresso ed esule, il cui figlio, il capitano Brant, è l'omologo di Egisto. E' la religione dell'ereditarietà, del mito del 'sangue', che porta ad un assassinio, alla punizione degli assassini da parte dei figli vendicatori ed al tormento per il rimorso. La struttura, dunque, è quella dell'Orestea. Ma quali sono i principali punti di contatto fra O'Neill e Sofocle? Il primo, senza dubbio, è da identificarsi in Lavinia-Elettra, la cui affinità con il padre ucciso è uno degli stimoli alla vendetta; il cui attaccamento al padre, pur avendo meno rilievo di quello di Orin per la madre, ha un peso notevole. L'attaccamento alla figura paterna sussisteva già nel mito, anzi, Sofocle, facendo di Elettra la vera protagonista del dramma, ne evidenziava acutamente la sua inconsolabilità in senso emozionale. In maniera analoga O'Neill ha dato a Lavinia un ruolo centrale: "Papà ha bisogno di me", dice Lavinia rivolgendosi a Orin; e, diretta al padre, "tu sei l'unico uomo che io ami". E Christine dice a Lavinia: "Hai cercato di diventare la moglie di tuo padre … è lui il bello che stai aspettando al chiaro di luna?". La Lavinia di O'Neill, per l'odio spietato verso la madre e il suo amante, si collega più all'Elettra di Sofocle che a quella delle Coefore di Eschilo. Mentre quest'ultima soffre soprattutto l'umiliazione del servaggio ed è solo offesa dall'assassinio del padre e quindi è poco incisiva nell'azione, l'Elettra di Sofocle è consumata dall'odio per la madre. Egualmente Lavinia, aspra e appassionata, sovrasta tutti nell'insonne coscienza dell'oltraggio, subìto da lei e dal fratello, e nell'odio per gli assassini. L'Elettra di Sofocle, fedele ad un passato che non consente oblio, rivela tutta la durezza adamantina del suo carattere, quando ancora più accanita di Oreste, morta la madre, chiede che al più presto Egisto sia tolto di mezzo: "Sbrigati, ammazzalo; poi gettalo ai becchini che spettano ad uno come lui" (vv. 1486 ss.). Già fin dall'inizio della tragedia sofoclea, Elettra si mostra più vigorosa della mite vergine di Eschilo: "A loro il grande dio d'Olimpo faccia patire le stesse pene: non se la godano la ricchezza, loro che hanno compiuto il misfatto" (vv. 209 ss.). Con implacabile forza poi accusa Clitemnestra: "Non lo hai ucciso per giustizia! Anzi ti ha convinto quel vile col quale ora tu vai" (vv. 560 ssg.). Lo strazio morale e l'odio diventano addirittura ferocia nel grido finale che è crudele incitamento ad Oreste: "Colpisci, colpisci ancora, se hai forza!" (v. 1415). Venendo ora ad O'Neill, Lavinia con furia spietata dice alla madre: "Come puoi essere tu vile da valerti di me per nascondere il tuo adulterio?"; e nella terribile scena seguente l'assassinio del padre, quando Lavinia scopre il delitto, esclama: "Oh! l'hai fatto di proposito, l'hai ucciso!"; e più oltre: "Penso che crederai di essere libera di sposare Adam ora! Ma non sarà così! No, finché io viva! Sconterai il tuo delitto". Un'altra triste realtà accomuna queste due giovani donne dal carattere così sanguigno e passionale: la solitudine, la prospettiva desolante di vivere il resto della vita a[teknoi e ajnuvmfeutoi, "senza figli" e "senza marito". Lavinia con fermezza annuncia all'innamorato Peter: "A me non è concesso l'amore", e lo allontanerà da sé per essere sola ad espiare il fato dei Mannon. Se Elettra e Lavinia in qualche modo si richiamano a vicenda, lo stesso non può dirsi per Oreste e Orin. Oreste non è caratterizzato, come invece Orin, da un ossessivo attaccamento ombelicale alla madre. La distanza che separa O'Neill da Sofocle è al riguardo enorme. Infatti, da madre che non ha cessato di essere madre, madre nonostante tutto, Clitemestra diventa in lui la madre-tipo. Orin: "Dio, mamma, come è bello essere qui vicino a te!", e ancora: "Tu vieni prima di tutto". Orin ucciderà l'amante della madre non per vendicare la morte del padre, ma perché Brant è, per così dire, il suo rivale in amore, oggetto di desiderio della madre da cui si è sentito irrimediabilmente tradito. Orin furioso esclama: "E la mia isola di cui le avevo parlato … che doveva essere per lei e per me … vuole andarci con lui …". Ancora Orin alla madre, prima di avere la certezza del tradimento: "E non ti lascerò più adesso … tu sei la mia unica innamorata". L'esasperato amore filiale di Orin giustifica, così, la scelta poetica che O'Neill ha compiuto nella sua rivisitazione dell'esperienza teatrale greca: la rinuncia del matricidio, non spiegabile altrimenti con motivazioni di carattere moralistico. Oreste nell'Elettra di Sofocle uccide la madre senza riserve e senza incertezze per punirla dell'assassinio del padre, per punirla del fatto che sperpera il patrimonio di famiglia, "spassandosela" con Egisto; e, inoltre, per non deludere la sorella che in lui ha riposto speranze di riscatto da trattamenti umilianti e sprezzanti che le ha riservato quella "madre-non madre". Oreste, compiaciuto, dice ad Elettra: "E' morta, la sua ira non ti offenderà mai più". Nonostante queste differenze, in ambedue i drammi, è forte il trasporto emozionale tra Oreste-Orin e Elettra-Lavinia. Il legame forte che si instaura fra fratello e sorella è dimostrato dal fatto che l'uno delega all'altro il compito di rappresentare un intero mondo di affetti che risultano insoddisfatti e frustrati nella direttrice cosiddetta 'normale'. Ad esempio, più volte Elettra, alla presunta morte di Oreste grida: "Ora io sono sola", "La tua morte è stata la mia morte", "Tu eri solo mio, fui tua nutrice, solo tu mi chiamavi sorella". Eppure sappiamo bene che è viva anche Crisotemi, la quale, benché caratterialmente diversa dalla monolitica Elettra, è pur sempre dello stesso sangue di Oreste e di Elettra. Ma Crisotemi rimane un'estranea. In O'Neill il rapporto tra Orin e Lavinia viene esasperato, assumendo aspetti talora erotici conturbanti. Se è vero che, in termini psicoanalitici, la paternità e la maternità sono forme primordiali di attaccamento sessuale, allora fratello e sorella sono indissolubilmente vincolati, perché l'uno vede nella sorella la madre, l'altra vede nel fratello il padre. La frase che Orin rivolge a Lavinia, dopo che è morta la madre - "tu sei tutto ciò che ho al mondo" -, va letta in questo senso: non perché ho perduto tutto, ma piuttosto perché rappresenti, identificandoti con la madre, l'oggetto del mio trasporto. Nell'universo teatrale di O'Neill c'è un'altra donna dalla fragile sensibilità, che vive in mezzo a sospetti, inganni, pettegolezzi e diffidenza, l'adultera ed assassina Christine, debole ed esausta a paragone di Clitemnestra, ma anche lei creatura diabolica, se come dice l'amante, non avrebbe scrupoli circa il modo di uccidere una donna che lo togliesse a lei. Perché Christine diventa assassina? C'è in lei una continua ripugnanza ad essere considerata 'oggetto', oggetto di un rapporto sessuale sentito come esasperante e frustrante passività, oggetto di un piacere non condiviso. Questo è stato appunto il matrimonio di Ezra e di Christine. "Il matrimonio – dice Christine – cambia il romanzo in disgusto". La motivazione principe dell'odio per il marito di Clitemnestra, donna dall' ajndrovboulon kevar, dal "cuore virile", secondo l'incisiva definizione eschilea, è il cupo rancore per il sacrificio di Ifigenia deciso per la ragion di stato. Così dice Clitemnestra ad Elettra nella omonima tragedia: "Codesto tuo padre che tu piangi sempre, unico tra i Greci, ha avuto il coraggio di sacrificare agli dei tua sorella. Non mi pento di quello che ho fatto". Sono assenti in lei quelle note di insoddisfazione sessuale-affettiva che dominano, come si è visto, nella figura di Christine. Nei due drammi, qualunque siano le motivazioni, l'amore adultero della donna è lo 'scandalo' per eccellenza, il fatto 'diverso' che attacca le leggi e l'opinione comune. Gli uomini e le donne dell'Elettra e de Il lutto si addice ad Elettra, pur nelle loro diversificazioni dovute al fatto di appartenere a culture ed età distanti, non sono tipi astratti, ma esseri di carne e di sangue che vivono e soffrono dei loro istinti e delle loro passioni, talvolta anche ferini; e quando sono nella morsa di irrefrenabili istinti e di grandi passioni diventano creature terribili, consapevoli di portare dolore prima a sé che agli altri. Ne risulta un mondo su cui incombe e strema la pena di vivere. Un mondo dove, come dice il poeta neogreco K. Kavafis, "la terra è il recinto del dolore"; e dove, come dice Sofocle,   "il dolore è un debito che tutti noi dobbiamo saldare".


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