I dizionari Baldini&Castoldi

Intermezzo di Richard Strauss (1864-1949)
libretto proprio

Commedia borghese in due atti

Prima:
Dresda, Staatstheater, 4 novembre 1924

Personaggi:
Christine (S); Franzl, suo figlio (rec); Robert Storch, suo marito, compositore e direttore d’orchestra (Bar); Anna, sua cameriera (S); il barone Lummer (T); il notaio (Bar); sua moglie (S); Stroh, direttore d’orchestra (T); un consigliere commerciale (Bar); un consigliere di giustizia (Bar); un cantante (B); compagni di gioco di Storch, inservienti



L’opera non sembra godere di grande considerazione, nell’ambito della produzione di Strauss: il carattere domestico dell’intreccio avvalora lo sciagurato pregiudizio che si tratti di un divertissement frivolo e un po’ superficiale. In realtà bisognerebbe tener conto del fatto che a Intermezzo Strauss ha riservato addirittura l’onore di una prefazione: segno che sotto la superficie civettuola della commedia viennese fermentano ben altri valori, serviti al pubblico con dissimulata arte didattica. Il paradiso contrastato della vita coniugale aveva già dettato al compositore alcuni spiritosi ammicchi in Ein Heldenleben e nella Sinfonia domestica ; prendendosi una piccola vacanza (o, se si vuole, un intermezzo) dalla collaborazione con Hofmannsthal, Strauss redige per conto proprio un testo spigliato, i cui protagonisti celano, sotto pseudonimi neanche troppo velati, il musicista stesso e sua moglie Pauline. La tecnica impiegata è quella del flash cinematografico, con una serie di quadri inframmezzati da interludi sinfonici che consentono il cambio di scena: un espediente che non passerà inosservato negli anni a venire, trovando diffuso impiego nel teatro musicale moderno.

Atto primo . A Vienna, nell’immediato dopoguerra. In qualità di direttore d’orchestra, Robert Storch (ossia Roberto Cicogna, divertita contraffazione del cognome ‘Strauss’ che equivale invece a ‘struzzo’) deve partire per una tournée di due mesi. Si sottrae a fatica al diluvio di recriminazioni di cui lo sommerge la moglie, convinta di essere una vittima della routine domestica e, a suo dire, ben contenta che Robert la lasci finalmente tranquilla per qualche tempo, visto che è sempre immerso nella sua musica e ostenta per l’andamento pratico della casa un’indifferenza davvero indisponente. Appena partito l’insensibile consorte che la trascura, Christine incomincia a lamentarsi con la cameriera Anna della propria solitudine e della pena che le costa l’assenza del marito; ma dimentica all’istante i suoi crucci quando un’amica le telefona proponendole una gita in slitta. Il caso vuole che lo slittino di Christine si scontri con quello del giovane barone Lummer, rampollo di illustri natali trapiantato a Vienna (così almeno sostiene) per completare gli studi. Zelante, Christine gli promette di aiutarlo a sistemarsi nella capitale e lo accasa presso un notaio; nel frattempo scrive una letterina pepata a Storch, portando al settimo cielo la disponibilità e la galanteria del giovane amico. Quando questi, però, le fa avere un messaggio con annessa la richiesta di un prestito di mille marchi, la signora rifiuta con decisione; ma mentre spiega le sue ragioni al barone annichilito, le capita tra le mani il bigliettino con cui una donnina di facili costumi invita Robert Storch a un appuntamento notturno. Sconvolta, Christine ordina ad Anna di fare le valigie e va da Franzl a spiegargli che sta per divorziare dal cattivo papà.

Atto secondo . L’allegra combriccola degli amici di Storch è intenta a giocare a skat (uno dei passatempi preferiti di Strauss). Sopraggiunge il direttore, che difende affettuosamente la moglie dalle frecciatine dei presenti. La sua perorazione viene bruscamente interrotta dall’arrivo di un telegramma di Christine: «Tu conosci Mieze Maier – la tua infedeltà è dimostrata – siamo separati per sempre». Storch, che non conosce nemmeno la donna in questione, lascia precipitosamente il tavolo da gioco. Nel frattempo Christine va dal notaio, per ottenere la separazione e l’affidamento del bambino. Ma intanto uno degli amici di Robert, il direttore d’orchestra Stroh (quello che gli ha dovuto spiegare chi fosse Mieze Maier) ha capito che costei, sua amica, ha indirizzato a Storch un messaggio diretto a lui. Chiarito l’equivoco, Stroh si reca da Christine e la convince della verità; ma la capricciosa signora, pur intimamente felice, riserva a Storch una pessima accoglienza e gli rinfaccia colpe inesistenti, provocandone seriamente la collera. Quando Robert le chiede conto dei suoi rapporti con il barone, Christine arrossisce, ma presto si commuove nel vedere come il marito sia pronto a darle fiducia; l’opera si conclude con un tenero abbraccio di riappacificazione e, da parte di Christine, con la promessa di non rendere più burrascosa quella vita coniugale tanto cara, che per un attimo aveva temuto di veder irreparabilmente compromessa.

La vicenda non maschera certo profonde categorie concettuali, né elabora occulti simbolismi; l’ambiente è quello amato di Vienna, e l’universo sembra restringersi a due creature e ai loro bisticci: così come in Arabella la capitale asburgica non sarà che un prezioso contorno all’intrigo sentimental-finanziario della famiglia Waldner. Proprio in questo singolare approccio con la materia drammaturgica risiede però la specificità del neoclassicismo straussiano. Insoddisfatto, come lo era Zemlinsky, di quelle risoluzioni avanguardistiche a cui pure, con Elektra, aveva dato un incentivo di così grande rilievo, e convinto che la peculiarità del teatro fosse quella di coniugare i valori dell’arte con l’esigenza del divertimento, Strauss assottiglia poco alla volta il tessuto strumentale e plasma, con pazienza di orafo, un canto che coniuga l’espressività con la scorrevolezza. Questa riduzione dei mezzi, già sperimentata nel prologo di Ariadne auf Naxos, rende possibile l’avvento di uno stile ‘di conversazione’, che dominerà molte scene di Arabella e si affinerà ulteriormente in Capriccio intrecciandosi, questa volta, a una trama che esplora i rapporti stessi tra musica e parola. Intermezzo è pensato ancora come esperimento, e si tiene prudentemente lontano da virtuosismi concettuali; eppure avoca a sé il compito di mantenere in vita la commedia viennese e di coniugarla con lo sfondo sociale contemporaneo. Non deve sfuggire la liaison furtiva del frivolo Intermezzo con alcune novelle di Arthur Schnitzler, prima fra tutte Doppio sogno , in cui due coniugi si confidano reciprocamente un mancato tradimento, e anche Zwischenspiel (non fosse che per l’omonimia, visto che il titolo tedesco significa ‘Intermezzo’), i cui protagonisti sono appunto un direttore d’orchestra e la moglie cantante. Strauss maschera ogni addentellato psicologico, ma questa signorile nonchalance nulla toglie alla freschezza e alla spontaneità dell’insieme, così convincente proprio perché fondato su un’arte introspettiva di esemplare finezza. Basti ascoltare, nella settima scena, le impennate del pianoforte, secco e percussivo come un pensiero molesto; o la chiusa del primo atto, con la stizza di Christine che si scioglie nel pianto nasale del clarinetto; o la tempesta al Prater nel secondo, vero pendant simbolico alle congetture che turbinano nel cervello congestionato di Storch. Per ricreare questo clima di spontanea quotidianità, Strauss comprime l’organico orchestrale entro dimensioni cameristiche, che consentono al canto di svettare sull’accompagnamento, senza che le parole siano distorte dall’eccessivo ripieno strumentale o da forzature nell’emissione. Nella prefazione allo spartito di Intermezzo , Strauss si sofferma su suggerimenti pratici di tecnica interpretativa, facendo valere la propria esperienza di maestro concertatore; solo il perfetto bilanciamento di cantanti e orchestra permette di realizzare in modo convincente le sfumature duttilissime dei dialoghi, ora prossimi all’arioso, ora trattenuti entro gli argini del recitativo accompagnato (fungono da modelli alcuni spunti gluckiani, il colloquio di Pamino con il sacerdote nel Flauto magico o alcune sezioni delle Allegre comari di Windsor di Nicolai). La scena del gioco allo skat , invece, esemplifica al meglio la flessibilità dello stile di conversazione e l’elasticità discreta degli interventi orchestrali, che si insinuano fra le pieghe del discorso senza mai comprometterne l’intelligibilità. E va segnalata, in altri passi, l’incidenza del melologo, idoneo a restituire la frettolosità impersonale dei discorsi casalinghi puramente amministrativi, ma anche l’accoramento degli sfoghi più sinceri. Qui la patina incolore della parola, direttamente sovrapposta alla muta eloquenza dell’orchestra, è consanguinea all’apparente cinismo di certe pagine schnitzleriane in cui le lacrime vengono inghiottite sotto un sorriso forzato, dettato dall’implacabile bon ton imposto dalle convenzioni sociali. Spunti cameristici come l’ incipit del secondo atto testimoniano con eloquenza l’inversione intimistica dello stile di Strauss; ma l’intero lavoro è costellato di emersioni solistiche, ora pungenti come le provocazioni di Christine, ora futilmente ciarliere e volutamente inamidate, in sintonia con il fair play interessato del barone bellimbusto. Le estasi melodiche restano, ma pudicamente frenate e quasi mimetizzate, a mostrare quanto Strauss sapesse dominare le espansioni liriche a favore di esigenze strutturali.

e.f.

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