OTTO ERHARDT

ELEKTRA

RICHARD STRAUSS - RICORDI 1957

«...Se lo non ascolto la musica?
E come, se essa sale da me?»
(Elettra, prima della danza trionfale)

Hofmannsthal aveva scritto il dramma in un atto Elettra nel 1903, togliendo l'argomento, lo svolgersi dell'azione e alcune sentenze dalla tragedia omonima di Sofocle. Aveva steso in altro modo la scena del riconoscimento fra Elettra e ii fratello Oreste, la cui apparizione aveva ritardato verso la fine, mentre fin all'inizio dell'opera di Sofocle, Oreste appare salutando la patria e recando offerte alla tomba del padre. Il rinnovatore dell'antichità sostituì a tale prologo sacrale la scena impressionista delle Ancelle alla fonte; inoltre soppresse i canti del coro.
Sofocle aveva disegnato le sue figure - i discendenti della prepotente stirpe degli Atridi del V secolo prima di Cristo - come entità mosse e dominate dalle forze della natura e da potenti passioni, dando loro solo in parte aspetto umano. Hofmannsthal pur conservando l'idea fondamentale, le trasse dalle ombre del subcosciente per elevarle alla chiarità della piena coscienza. I suoi personaggi non agiscono esclusivamente spinti dalla forza di un destino prestabilito, ma piuttosto secondo le imposizioni della propria cognizione. Egli si servì talvolta dei nietodi della psicanalisi [
Già Shakespeare, con geniale intuito, aveva basato alcuni studi di carattere sulla descrizione di anomalia di questa fatta. Recentemente Giraudoux, nella sua Elettra (derivata dal dramma omonimo di Euripide, che offre aspetti sorprendentemente attuali) e Eugen O'Neill nella trilogia Il lutto si addice ad Elettra (derivata dall'Orestiade di Eschilo) sono andati tanto più lontano, come per affrontare gli avvenimenti dell'antichità dal punto di vista delle condizioni sociali dell'epoca moderna (nella seconda delle opere ricordate, le condizioni ambientali al tempo della guerra civile degli Stati Uniti).] per esporre i motivi degli stati d'animo psicologici. Evitò al tempo stesso di ricadere nello smembramento delle complessità animiche al modo del dramma naturalista che stava per essere superato.
L'opera di Hofmannsthal non soltanto si chiama Elettra, ma è Elettra. Col suo aspetto esteriore di figlia di re in veste cenciosa, il simbolo della vendetta, in tutta la forza di una volontà inflessibile e di un'energia indomita. Essa è «lo spirito che si costruisce ii corpo» [
Dal Wallenstein di Friedrich Schiller]. Odiando e amando, maledicendo e benedicendo, giubilante nella lietezza e straziante nel dolore, si trascina nella polvere o si erge come un'ebbra menade nel suo estatico procedere. Al fianco di lei è Crisotemide, assetata d'amore e affamata di vita, bramosa di fortuna quale donna e di felicità quale madre.
Clitennestra la controparte: «Il suo viso scialbo, esangue, sembra più pallido ancora alla viva luce delle torcie, emergendo sul manto scarlatto...». Ella è il demone vendicativo e crudele, torturato da timore superstizioso, vittima a sua volta dei demoni della vendetta.
Fra gli uomini soltanto Oreste si stacca in modo significativo, come principe giunto presto alla maturità virile, che al momento opportuno trova la forza necessarla per commettere l'atto orrendo del matricidio. Il degenere amante regale Egisto appare soltanto come figura episodica, di passaggio.
Ai personaggi principali fan corona, come nella tragedia antica, il coro, alcune tipiche figure secondarie. A fianco di Clitennestra è la 'Vertraute' (confidente) intrigante e la 'Schleppträgerin' (portatrice della coda) astuta e maligna. Intorno a Crisotemide sono raggruppate le ancelle più giovani, come eco collettiva del suoi sentimenti individuali. Oreste è accompagnato dall'Aio, «vigoroso vecchio i cui occhi dànno lampi». Elettra resterebbe interamente sola, se non ci fosse la quinta Ancella, la giovanissima, che nel suo candido coraggio infantile prende partito per lei e per questo è frustata senza pietà dalle Ancelle più anziane.
Il poeta non conferì veste moderna al vecchio argomento rendendolo attuale, ma ne stilizzò la lingua. Insieme ad immagini simbolico-impressioniste ed a modi di dire semplicemente mondani (viennesi), si trovano formole di taglio classico, come l'esclamazione di Oreste: «Lascia stare Oreste! Amava egli troppo la vita. Gli Dei lassù non sopportano il clamore soverchiamente chiaro del piacere!».
Come in Salomé, anche qui Strauss s'ispirò direttamente al poema, dal quale sorgeva innanzi a lui con violenza dionisiaca la Grecia preclassica dalle poderose creazioni plastiche indelebilmente impresse nel suo ricordo. Lasciò intatta la disposizione generale del lavoro, nel quale erano osservate le unità d'azione, di luogo e dl tempo. Le sue poche obiezioni e le sue poche proposte di modifiche furono da lui avanzate fra il dicembre 1907 e ii luglio 1908 [
Si leggono nei primi scambi di idee della Corrispondenza].
Abbozzata negli ultimi mesi del 1906, la composizione propriamente detta fu cominciata nel 1907, ma interrotta sovente a causa della molta attività direttoriale del compositore. Tre volte rifece la grande scena di Clitennestra, prima di essere soddisfatto. Di quel pandemonio diceva: «Questo va più in là d'ogni genere di musica».
I diversi episodi delle azioni furono riuniti come in im trittico di formidabill blocchi:

I - La scena delle Ancelle (prologo) - Il monologo di Elettra, diviso a sua volta in tre parti -La scena di Crisotemide - Il primo dialogo fra le due sorelle.

II - Il grande episodio centrale: l'apparizione di Clitennestra Il monologo di questa - Il suo colloquio con Elettra - Il suo apparente trionfo.

III - Gil avvenimenti fra «Oreste è morto» e «Oreste è vivo»: il secondo dialogo fra le sorelle - L'intermezzo dello scavo della scure - La scena del riconoscimento - L'esecuzione della vendetta - L'annunzio di liberazione - La danza mortale di trionfo della protagonista (epilogo).

L'architettura musicale, di costruzione quadrangolare, stende sopra saldi pilastri i multipli archi che si incrociano vicendevolmente, alternando in equilibrata simmetria le scene di grande tensione (il monologo di Elettra, la massiccia scena di Clitennestra, quella del riconoscimento, la danza mortale) ad altre di distensione (le due scene di Crisotemide, la breve scena del due servi, l'intermezzo di Egisto). Fra le scene dei solisti, in genere di carattere estatico, sono state intercalate pagine di musica più mossa come contrasto: il corteo del sacrificio [
«...Davanti alle finestre vivamente illuminate sfila precipitosamente un rumoroso e stridente corteo: è un tirare, uno scalpicciare di animali, un borbottio soffocato, qualche grido tosto represso, lo schioccar d'una frusta, un raccogliersi, un continuo ondeggiare...».], il precipitoso e fantasmagorico giungere delle portatrici di fiaccole chiamate da Clitennestra alla notizia della morte di Oreste, le «Ancelle che svolazzano come pipistrelli spaventati» dopo che Oreste è entrato nd palazzo.
In orchestra è da notare la divisione in tre parti degli archi: i violini sono divisi in 8 primi, 8 secondi e 8 terzi; le viole in 6 prime, 6 seconde, 6 terze; i bassi in 6 primi e 6 secondi violoncelli e 8 contrabbassi. I legni aumentati, specialmente nella famiglia dei clarinetti, che sono 8 (1 in mi bem., 2 in si bem., 2 in la, 2 in fa [corni di bassetto], i basso in si bem.), le tube wagneriane (2 in si bem. e 2 in fa), la massa degli ottoni bassi (oltre le 6 trombe ci sono i tromba bassa, 3 tromboni, trombone contrabbasso e tuba contrabbassa) e tutta una batteria di strumenti a percussione costituiscono l'enorme apparato che è a fondamento dell'azione, che delinea lo sfondo semioscuro e riunisce psicologicamente gli avvenimenti fra di loro.
Lo spostamento del centro di gravità dell'opera verso le passioni dell'animo lascia in secondo piano lo spettacolo; la descrizione ambientale e la sontuosità dei particolari sono sostituiti dagli infinti movimenti dell'anima. Le forme espressive, diventano più aspre e severe. Diversamente che in Salome, pochissimi momenti si prestano ad essere sottolineati da procedimenti impressionisti: i cavalli che nitriscono e i cani che abbaiano durante il monologo di Elettra, lo schioccar delle fruste nella scena delle Ancelle, l'urlo del vento durante il canto inneggiante alla maternità di Crisotemide. In cambio la drastica descrizione del corteo del sacrificio e il tinnare delle pietre preziose sulle vesti di Clitennestra appartengono già al dominio dell'anima. Significato simbolico è da attribuire alle progressioni cromatiche di biscrome che alludono allo sgorgare ed allo scorrere del sangue che fluisce dalle ferite di Agamennone.
La perfetta combinazione di un contrappunto di Leitmotive con un sistema armonico di estrema audacia fa sì che le possibilità espressive raggiungano una straordinaria intensità, la quale si manifesta nella maniera più diretta e suggestiva nel complicato incubo di Clitennestra e nell'orgiastica esaltazione con cui Elettra procede sulla sua via. Ad un parossismo polifonico appena sopportabile si giunge nel brano che segue al riconoscimento di Oreste da parte di Elettra. La tempesta di passioni sconvolte e agitate si scatena come un'eruzione vulcanica, che con le dissonanze sovrapposte spazza via la tonalità dimostrando un'audacia che difficilmente sarebbe stata superata dai più accesi atonalisti.
Il flusso musicale [
Senza tagli l'opera dura un'ora e 40 minuti] procede incontenibile dalle prime parole delle Ancelle con le quali si comincia: «Dov'è Elettra? È già questa l'ora sua, l'ora in cui evoca il padre», all'ultimo grido «Oreste!» di Crisotemide con cui il lavoro termina.
Le tre battute del tema di Agamennone tengono luogo di preludio. Questo tema in realtà non è formato che dalla successione di note dell'accordo di re minore; ma con le sue varie trasformazioni e il suo frequente ricorrere diventa il sostegno dell'azione interiore e imprime un particolare suggello a tutta la costruzione tematica.

I tre colpi incisivi ripresentano a noi il quadro di Sofocle: «Con la scure gli fendono il capo, come fa il boscaiuolo con la quercia nella selva...».
Il monologo di Elettra, il cui stile lapidario ricorda Gluck, contiene in certo modo in sé, nella tragica serietà e nel portamento all'antica, l'intero nucleo del dramma. Le tre parti ond'è composto sono:

1°) l'evocazione dello spirito di Agamennone e la raccapricciante narrazione dell'assassinio di lui, col motivo ascendente del re in terzine di semiminime e il minaccioso tema della rappresaglia in rigida progressione di ottave;

2°) il solenne impegno della vendetta e la descrizione della sua consumazione: «Come dalle stelle discende tutto il tempo, così sul suo sepolcro precipiterà il sangue da cento gole!» Risuona a un certo punto con stupenda effusione melodica il tema dei figli di Agamennone:

3°) la visione della vittoria col martellante ritmo del tema trionfale. Direbbesi che Elettra, in preda ad un'intima estasi, faccia le prove della danza che eseguirà per la festa dell'espiazione.
Alla monumentale severità di questo monologo segue la sensuale disinvoltura del dialogo delle due sorelle, durante il quale la melodia di Crisotemide dispiega il suo fascino:

Le taglienti dissonanze, il risuonar dei colpi, i contorti ritmi del corteo del sacrificio che sfila costituiscono come un'introduzione alla scena di Clitennestra che «non ha eguali nel mondo dell'opera» [Steinitzer]. L'autodescrizione, priva di qualsiasi senso di compassione, lo scontro fra madre e figlia, dove cozzano due tendenze vitali e sentimentali diametralmente opposte fra le quali è un combattimento a morte, la disperata bramosia di rivolta, la sconfitta e la rinnovata attitudine trionfante piena di malvagità di Clitennestra, tutto ciò è scrutato fin nei più reconditi abissi. La descrizione del repulsivo giunge qui ai limiti del sopportabile. Le alterazioni, impiegate prodigalmente, generano cacofoniche decomposizioni dell'organismo tonale. Lo strano rumore prodotto, ad ogni passo della regina, dai tintinnanti talismani di cui ella è rivestita, ci appaiono come qualcosa di fantomatico.
Però anche questo deserto di laidezza è attenuato da oasi melodiche, una delle quali, il canto di Clitennestra in forma di Lied «Das klingt mir so bekannt, und nur als hätt ich's vergessen lang und lang» (Questo mi risuona così conosciuto, solo mi sembra di averlo dimenticato da lungo tempo), con la morbida bellezza delle sue dolenti terze, giunge a destare fin sentimenti di compassione.
La seconda scena fra le due sorelle, che segue al duetto notturno fra madre e figlia, comincia col commovente lamento di Crisotemide per la morte di Oreste, è interrotta dal parlare insolente del giovane servo di Egisto ed è continuata subito dopo da Elettra con la sua fanatica persistenza nell'idea della vendetta. Quando Elettra, in uno stato vicino all'ebbrezza, cinge con le braccia il corpo giovanile della sorella minore, la melodia s'infiamma fino a giungere ad uno sfrenato ardore. La sua implorazione di aiuto alla sorella che resiste, dà luogo alla semplicissima melodia «Von jetzt ab will ich deine Schwester sein» (D'ora in poi sarò la tua sorella). Ma quest'amore si trasforma in odio irrefrenabile al diniego di Crisotemide. A lei, che fugge spaventata, lancia un furioso «Sei verflucht!» (Sii maledetta!) e in uno sforzo supremo giunge all'estrema risoluzione: «Nun denn, allein!» (Ordunque, sola!). I due gridi proferiti senza sostegno d'orchestra, esplosioni d'una contenuta forza primordiale, impressionano come iscrizioni scolpite nella roccia che vorrebbero parlare.
Mentre Elettra s'affanna frettolosamente a scavare il suolo per trarne la scure di morte che aveva sotterrato per il fratello, uno sconosciuto penetra nella corte al suono di una melanconica musica funebre. In risposta alla domanda di donna infastidita «Was willst du, fremder Mann?» (Che vuoi tu, straniero?), egli conferma la morte di Oreste, della quale è stato personalmente testimone. Vinta dal dolore, Elettra prorompe in una lamentazione che sull'ostinato ed incisivo ritmo funebre diventa un'amarissima rivolta contro il destino. In un impulso incontenibile confida con lui, che già profondamente impressionato dal suo aspetto, lascia a sua volta cadere la maschera. Ma solo quando i vecchi servi si gettano ai piedi del giovane e baciano il lembo della sua veste, Elettra lo riconosce e cade al suolo senza sentimento. Poi, sostenuta dalle braccia del fratello torna lentamente in sé e parla; il suo balbettio si trasforma a poco a poco in un canto estatico, che si svolge sul tema del fratello ritrovato:

Rabbrividendo sotto lo sguardo del fratello, Elettra, come se svegliata da un breve sonno, svela la sua vita distrutta ricordando melanconicamente la propria antica bellezza. Tosto, insieme ad Oreste, ella intona un canto che esalta la legge del taglione, al quale canto si sovrappongono, come in segno di espiazione, i temi del fratello ritrovato, dell'azione vendicatrice, dei figli di Agamennone, sostenuti dal ritmo della danza del trionfo. In questa scena spira il sublime alito dell'anima in infinite condensazioni sensitive.
Dapprima in questo punto culminante entra in funzione prominente il timbro maschile. La placida voce da baritono di Oreste offre il gradevole contrasto non soltanto cogli eccitanti avvenimenti in sé, ma anche colle precedenti esaltazioni delle voci spinte di Elettra e di Crisotemide. Una seconda voce virile, quella forte di basso dell'Aio, richiama alla realtà i due fratelli che si sono abbandonati alla piena dei loro sentimenti. Nella musica l'atmosfera si fa insopportabilmente pesante, come se una tormenta stesse per scoppiare: Oreste entra nel palazzo, seguito da presso dall'Aio; e la porta si chiude dietro di loro; «Elettra sola, in condizioni spaventose di tensione, corre da un lato all'altro della porta, col capo chino, come una belva prigioniera nella gabbia...». Un grido orribile di Clitennestra: Oreste ha ucciso sua madre. In una tremenda confusione, sfilano di corsa le Ancelle: Egisto s'avvicina.
Come a concedere un attimo di respiro e ad alleggerire la pressione, il compositore introduce un «intermezzo» fra le due uccisioni, e qui la tinta fortemente tragica si muta, con leggera ironia, in una comica simulazione della protagonista. Elettra, agitando una torcia, profondendosi in umili reverenze e pronunziando parole ipocrite, attira con finta amabilità Egisto nel tranello, là dove sono coloro che desiderano accoglierlo personalmente. Così anche Egisto cade ucciso e il palazzo e l'atrio risuonano di grida di morte per il tumulto causato dai seguaci di Oreste che scacciano violentemente quelli di Egisto, di grida di giubilo della moltitudine di Ancelle e di schiave, liberate dalla tremenda pressione. Trepidante di gioia, Crisotemide saluta la conquista di una nuova vita. Elettra, «ha gettato indietro la testa come una Menade. Lancia le gambe, stende le braccia: il suo muovere in avanti è una danza che non ha nome».

Danza senza nome, però non silenziosa. Se al poeta mancarono le parole, il musicista poté parlare coi suoni, e fece che Elettra muovesse verso la fine in un canto trionfale, nel cui parossismo, regolato dal ritmo, la figura di lei giganteggia al di là delle umane dimensioni. Soltanto allora ella è completa. «Portando in silenzio il peso della sua felicità e danzando, ella procede verso il grande sacrificio mortale». Una volta ancora si fondono in lei, in una beatifica visione, i caratteri essenziali di Agamennone e di Oreste, indi stramazza esanime.
Con straordinaria e concentrata fantasia, Strauss ha interpretato in modo esauriente ogni fase della drammatica vicenda, trasportandola, al di là del repulsivo, in un clima volta a volta irreale ed umano. Ciò ch'era smisurato è stato raffrenato dalla forma, l'innaturale superato dalla naturalezza del suo modo d'espressione; il canto si fa sempre trionfalmente strada attraverso il pullulare delle dissonanze.
Elettra è la nascita della tragedia scaturita dallo spirito della melodia. Per virtù della musica sorta da questo spirito, le figure della mitica preistoria sono convertite in creature di qualunque tempo, affini a noi ed al nostro sentire, valicando in tal modo uno spazio di tempo di due millenni e mezzo. La fiamma purificatrice di questa musica riesce anche qui a superare quel formidabile destino che «eleva l'uomo nello stesso tempo che lo schiaccia» (Sofocle).
La prima rappresentazione dell'opera ebbe luogo il 25 gennaio 1909 a Dresda [
Direttore Schuch; regista G. Toller, Elettra A. Krull, Clitennestra E. Schumarm-Heink, Oreste C. Person].

Le accoglienze del pubblico non furono così decisive come quelle fatte a Salomé; ancor minori quelle che si ebbero alla prima rappresentazione a Berlino. L'opera ebbe il suo vero battesimo sulle scene a Vienna, all'Opera di Corte, il 24 marzo 1909, presente l'autore [Direttore H. Reichenberger. La parte della protagonista era stata confidata ad una cantante debuttante, Lucille Marcel, allieva di Jean de Reszké, la quale si rivelò in maniera sorprendente all'altezza del gigantesco compito]. Lo scenario, con le enormi muraglie ciclopiche ideate dal Roller, fu preso a modello per lungo tempo. In questa edizione fece sensazione l'interpretazione, nella parte di Clitennestra, di Anna Bahr-Mildenburg,

una delle più vigorose eroine del moderno teatro drammatico musicale, paragonabile nel suo genere alla Schröder-Devrient dei tempi di Wagner.
Negli Stati Uniti Elettra fu eseguita per la prima volta nel 1910, in lingua francese, nella Manhattan Opera House di Hammerstein [
In questa stagione si ebbe il caso, forse unico, che il 24 marzo si rappresentasse in spettacolo diurno Salomé e in spettacolo serale Elettra]. Poco tempo dopo si rappresentò a Londra con successo, sotto la direzione di Thomas Beecham, che nell'ultima recita dell'opera cedette la bacchetta a Strauss (marzo 1910), ciò che valse a quest'ultimo calorosissime ovazioni.
Rapidamente Elettra fu tradotta in inglese, italiano, ceco e ungherese, e rappresentata nei maggiori teatri del mondo. In Italia la prima rappresentazione si ebbe alla Scala di Milano il 6 aprile 1910, direttore Edoardo Vitale, protagonista Salomea Krusceniski.


CLICK TO ENTRY

Avvenne ovunque che l'impressione artistica che il lavoro destava nei competenti fosse al disopra della forza d'attrazione sulla gran massa degli appassionati al teatro lirico.
Dopo che l'opera fu relegata per qualche tempo in un secondo piano, all'incirca verso il 1932 incominciò nei suoi riguardi, simultaneamente in Europa e in America, una specie di rinascita e di rivalutazione. In quell'anno medesimo ebbe luogo la sua prima rappresentazione al Metropolitan di Nuova York, sotto la direzione di A. Bodanzky; nel 1933 fu data a Filadelfia, nel 1938 nuovamente al Metropolitan, protagonista Rose Pauly,

che era divenuta una specialista in quella parte e che lo stesso Strauss apprezzava assai.
Nell'America del Sud fu messa in scena personalmente dall'autore nel 1923, con l'insieme di cantanti viennesi e l'Orchestra Filarmonica di Vienna, al Colon di Buenos Aires. Fu poi ripetuta nel 1939 e nel 1943, diretta in ambe le occasioni da E. Kleiber con la Pauly come protagonista e le scene di Benois, e nel 1951 con C. Goltz, diretta da K. Böhm.
Hermann Bahr formulò intuitivamente la sua prima impressione nella maniera seguente: «Equivalente a Salomé in quanto a sontuosità del colorito, forma luminosa e pienezza giovanile, la lascia molto indietro per la sua tranquilla serenità, per un sentimento musicale spaziale, per l'abbondanza delle idee fluide e spontanee, e raggiunge dall'arrivo di Oreste in poi, una tensione tragica incontenibile. Una certa propensione a lasciarsi talvolta attrarre dalle seduzioni di un'eccessiva cantabilità... resta sommersa dalle meraviglie strumentali, mentre la forza leonina con cui sono condotte le gradazioni è irresistibile» [
In occasione della prima esecuzione londinese del 1910, Beecham ebbe a dire: «La parte di Strauss in questo lavoro... è la sua maniera maggiormente caratteristica. È unica la quasi totale assenza di allettamenti e di romanticismo, e se si disse che Gluck, nella sua austerità, badò più alle Muse che alle Grazie, nel caso di Strauss si può dire più propriamente ch'egli mostrò una preferenza per le Furie.»].
Elettra appartiene alla specie di quei drammi musicali d'eccezione, la cui straordinaria importanza può essere riconosciuta soltanto dopo un conveniente spazio di tempo dalla prima apparizione, e cioè quando è raggiunta la corrispondenza fra il suo valore intrinseco e la sua comprensione da parte del pubblico.