I dizionari Baldini&Castoldi

Bohème, La di Ruggero Leoncavallo (1858-1919)
libretto proprio, dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger

Commedia lirica in quattro atti

Prima:
Venezia, Teatro La Fenice, 6 maggio 1897

Personaggi:
Marcello (T), Rodolfo (Bar), Alessandro Schaunard (Bar), Gustavo Colline (Bar), Barbemouche (B), il visconte Paolo (Bar), Gaudenzio (T), Durand (T), un signore (T), Musette (Ms), Mimì (S), Eufemia (Ms)



Non è facile abituarsi al fatto che Rodolfo sia un baritono: ma questa è l’altra Bohème , la sorella talmente sfortunata che c’è da gridare all’ingiustizia. Non, beninteso, per la fortuna della pucciniana, ma per la troppa malasorte di questa, che avrebbe meritato una vita ben diversa, con qualche maggior agio e meno trascuratezza. L’opera di Leoncavallo, andata in scena un anno più tardi, fu molto ben accolta, ma alla lunga perse il confronto, la cui partenza, simbolicamente, può essere vista nelle rappresentazioni parallele, a Milano, delle due opere, messe in scena al Lirico e al Dal Verme. Leoncavallo, tirando i conti e forse considerando la sfortuna dovuta essenzialmente allo ‘schiacciamento per titolo’, rimanipolò in seguito l’opera, ma il nuovo battesimo ( Mimì Pinson : Palermo, Teatro Massimo, 1913) non fu sufficiente a reincanalare la fatica sui sentieri della fortuna; da qualche tempo, tuttavia, Bohème è entrata a far parte di un repertorio di appassionati, uscendo dalla frequentazioni in partitura dei soli specialisti. Oltre che alla voce di Rodolfo, bisogna abituarsi ad altri spostamenti. La coppia al centro delle attenzioni di Leoncavallo è quella Marcello-Musette (che mantiene la forma francese del suo nome). E centrale diventa, al secondo atto, la festa nel cortile di casa di Musette, quella tagliata da Puccini dal progetto iniziale di Illica. Sempre nel secondo atto, il coro intona a un certo punto della festa “L’inno della ‘Bohème’” (“Dei vent’anni fra l’ebbrezza l’avvenir”), dove si realizza la necessità di Leoncavallo a dare dei manifesti di poetica, così com’era già successo col prologo di Pagliacci .

Atto primo . La scena iniziale, introdotta dai violini che mostrano graziosamente e agilmente i muscoli, è quella del caffè Momus, dove, tra una citazione da Bach e l’altra, Schaunard patteggia con l’oste per la sera della vigilia di Natale. Il pittore, il musicista, il poeta e il filosofo (che stavolta trova un raro dizionario cinese invece che una grammatica runica), piuttosto tipi che personaggi, stanno con Eufemia, innamorata persa di Alessandro (praticamente tutti i suoi interventi nell’opera ripetono poco più che il nome dell’amato Schaunard), Musette (cui Marcello si presenta parodiando il recitativo di Raul da Les Huguenots di Meyerbeer, invitato a smettere da Schaunard) e Mimì (che stavolta è bionda ed elogia Musette: “Musette svaria sulla bocca viva”): scherzano sul platonismo e alla fine paga Barbemouche, e non controvoglia e per inganno come Alcindoro, ma perché è amico dei bohémiens . Marcello seduce Musette, Rodolfo Mimì.

Atto secondo . Quando Musette organizza la festa in cortile (in casa non può, l’ha fatta svuotare il suo già amante banchiere abbandonato), sappiamo finalmente che faccia ha il viscontino di Mimì, che non s’era mostrato sulla scena dell’altra Bohème , ma era intervenuto per sentito dire nell’azione. È un bel tipo che a Mimì, appena presa da Rodolfo, fa vedere quanto è poca cosa quel mondo. Durante la festa (“Da quel suon soavemente”, Musette), tra le proteste del vicinato che vuol dormire (siamo nel mese d’aprile, il 15, e il proverbio vuole che sia dolce il sonno), tra una parodia dello stile rossiniano, l’inno della Bohème , uno sciroppo d’orzata e un valzer cantato da Musetta si chiude l’atto.

Atto terzo . Nell’ottobre del 1838, tra la soffitta di Marcello e quella di Rodolfo, da dove si vede brillare la cupola degli Invalides (l’apertura cita il Tristan ). Musette dà l’addio a Marcello (“È destin! Debbo andarmene”) con un’aria drammatica e sconsolata dai colori bruniti, che in taluni punti va come una marcia funebre, mentre Eufemia e Mimì hanno già abbandonato i loro amanti. Mimì torna indietro proprio mentre Musette va via, e il duetto soprano-mezzosoprano è una lirica trattazione dell’andare e venire in amore, come è aspra trattazione delle ragioni dell’abbandono il dialogo seguente fra Marcello e Musette (“Testa adorata”; “Va’ via, fantasma del passato!”). Così, dopo il tono sostanzialmente comico dei primi due atti, si avvia tecnicamente il dramma di Bohème (e cambia anche il trattamento dell’orchestra, con lo scivolamento costante su registri narrativamente più cupi). Scompaiono gli alleggerimenti operettistici dei primi due atti in favore di una manipolazione drammatizzante dell’orchestra, con dense figure di accompagnamento soprattutto durante il dialogo fra Musette e Marcello. Deluso dall’esito di questo rapporto, anche Rodolfo si trattiene dal riallacciare relazione con Mimì.

Atto quarto . A un anno esatto dall’inizio dei fatti: è la notte di Natale del 1838 nella soffitta di Rodolfo, dove ci sono il solito freddo e la solita penuria di viveri. Torna Mimì, che ha lasciato il visconte: ha freddo e fame, e voglia di Rodolfo. Anche Musette torna. Mimì muore, senza che mai se ne fosse sospettato il male: fatto che ci fa dire che se c’è insufficienza nella Bohème di Leoncavallo è nell’ingenua costruzione drammaturgica, il versante in cui funziona meno: e se anche musicalmente non sta a pari con quella pucciniana è, fatte salve la diverse stature musicali, anche per conseguenza dell’impostazione della narrazione del dramma, che troppo precipitosamente si scioglie dalla commedia per precipitare nella tragedia, annunciata e risolta tutta nel quarto atto. Se si aggiunge che la circolarità spaziale di Puccini (soffitta, Momus, barriera, soffitta) diventa temporale in Leoncavallo (i cui luoghi vogliono il séguito Momus, cortile, soffitta, soffitta), è evidente l’alleggerimento tematico, se, pareggiato il conto delle soffitte in due a due e in uno a uno per Momus, alla barriera pucciniana si sostituisce il cortile – mentre il tempo va da Natale a Natale: le feste del calendario cattolico sono il tempo dei grandi drammi veristi, se non si dimentica la Pasqua di Cavalleria rusticana . Infine, pure si dica che è possibile amare anche due Mimì insieme – o si dica due Bohème .

r.ma.
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