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La Fede aconfessionale di Schubert


Il
Lucerne Festival di quest’anno è incentrato sul tema della ‘Fede’. Nella seconda parte del Symphoniekonzert I che ha avuto luogo il 9 agosto nel KKL era in programma l’ultima Messa per soli, coro e orchestra di Franz Schubert (la sesta, in mi bemolle maggiore, D 950), composta tra il giugno e il luglio del 1828, pochi mesi prima della sua morte.
In quest'opera per molti aspetti sconcertante (frutto del carattere non confessionale della sua fede religiosa, spesso incrinata da dubbi e conflitti interiori), Schubert si servì dei raggiungimenti del suo ultimo stile vocale e strumentale, ma soprattutto adattò con una libertà fino ad allora mai esperita il testo del messale alle strutture musicali (e non viceversa come accade di solito). L'esempio più sconvolgente si trova nel Credo: in questa parte della Messa il compositore giunge persino ad alterare il senso della parola liturgica omettendo un versetto (tra parentesi quadre): «…in remissione dei peccati [e aspetto la resurrezione] dei morti». L’accostamento perentorio e inusitato di ‘peccati’ con ‘morti’ è gravido, come scrisse Sergio Sablich, «di inequivoci sottintesi a indissolubili legami tra peccato e morte» che evocano le parole di San Paolo ai Romani (5,12 e 6,23).
Una partitura increspata da latenti inquietudini, dunque, che l’intensa lettura di Daniel Harding rivela con naturalezza, senza forzature, sempre nell’ambito di quel nitore formale vigoroso e conciso evidenziato da Alfred Einstein. Uno dei momenti più alti dell’interpretazione di Harding è l’introduzione, di inaudita dolcezza, almeno secondo le mie esperienze d’ascolto, all’Et incarnatus est nella seconda parte del Credo: una sorta di contemplazione musicale della luce.

Magnifiche le prestazioni della Mahler Chamber Orchestra, dei cinque solisti e dei due cori (della Radio bavarese e della Radio svedese), questi ultimi letteralmente osannati dal pubblico.
Nella prima parte, due gioielli della musica corale profana: il Gesang der Geister über den Wassern (Canto degli spiriti sulle acque) D 714 di Schubert e il Nachtlied op. 108 di
Robert Schumann.
Composto nel 1821 su testo di Goethe e considerato da Einstein uno dei migliori lavori del compositore viennese, il Gesang è un lavoro corale (coro maschile con accompagnamento d’archi senza violini) caratterizzato da una raffinata sperimentazione armonica, talmente audace da sconcertare il pubblico di allora, che ne decretò il fiasco. Il peregrino percorso tonale permette inoltre a Schubert di esprimere l’inquietudine che percorre il testo goethiano, caratterizzato da una densa simbologia.
Di splendida scrittura anche il Nachtlied schumanniano, composto nel 1849 e purtroppo di rara esecuzione.
Harding si è dimostrato interprete finissimo e profondo anche di queste due brevi composizioni.





Versione ridotta pubblicata su La Regione Ticino il 18 agosto 2012