È francamente difficile capire le ragioni per cui le molte opere in un atto che hanno affollato i palcoscenici europei negli anni tra le due guerre siano poi cadute in oblio quasi completo. Parecchie sono veri e propri capolavori. Quasi tutte consentono collegamenti e parallelismi trai più interessanti da un punto di vista storico, e tra i più stimolanti da quello teatrale: istantanee utilissime - da questo punto di vista, certo più di un'opera sola - a chiarire i molteplici aspetti d'una realtà culturale senz'altro complessa e contraddittoria, ma appunto per questo tra le più ricche di tutta la pur lunga storia musicale.
Prima di raggiungere l'assoluto capolavoro del Nano, Zemlinsky c'era andato molto vicino con quest'atto unico tratto da un lavoro di Oscar Wilde che l'apertura del processo intentatogli dal padre dell'amato Douglas fece restare incompiuto: oltre a diverse altre lacune, vi manca l'intera prima scena, teatralmente necessaria al fine di chiarire nitidamente la natura del legame (stanno per diventare amanti o lo sono già? E se sì, da quanto tempo? Lui la ama davvero o la desidera soltanto? E così via) tra Guido Bardi, nobile fiorentino, e Bianca moglie del ricco mercante di stoffe Simone. È una mancanza, tuttavia, che la musica può colmare nel migliore dei modi: lo fa, difatti, con un'introduzione capace di porsi sullo stesso piano del Rosenkavalier come riuscita traduzione in note d'un atto sessuale. Premessa a sessanta minuti di colloquio a tre in cui il sesso circola come sottofondo continuo, con tutto il relativo corteo di contorsioni emotive, frustrazioni, desideri repressi, perversioni inconscie ma nemmeno poi tanto, e quant'altro il magmatico clima estetico viennese - dove il decadentismo flirtava a più non posso con l'espressionismo - potesse suggerire a una città tutta intenta a leggere Sesso e carattere di Weininger, ma che felicissimamente ritrovava le proprie coordinate in uno dei tanti ambienti rinascimentali donati in numero incalcolabile a partire dalle Novelle fiorentine di Isolde Kurz (pubblicate nel 1890), a popolare la letteratura - teatrale e non - dimezza Europa ma d'area tedesca in particolare. In Zemlinsky, per giunta, ambiente e materia narrativa venivano nutriti di cocente autobiografismo ove si tenga presente come ll giovane e poco attraente compositore fosse stato da poco piantato da Alma Schindler in favore di Mahler: e non parendogli quindi vero di poter fare capire a lei e a tutta Vienna quanto pensava. Triangolo riflesso molto bene in quest'opera, anche se non altrettanto bene di quanto saprà fare nel Nano.
Guido e Bianca stanno dunque guardandosi negli occhi dopo un «qualcosa» che li tiene vicini, quando sopraggiunge Simone. Lui è un mercante, quindi in posizione d'inferiorità rispetto al nobile rampollo che gli sta davanti, in contemplazione della bella donna (e Mahler era da poco stato nominato direttore della Staatsoper, dove Zemlinsky tentava di far rappresentare la propria musica, in questo aiutato inizialmente da Alma come fa ogni devota compagna): però è più intelligente, e porta avanti una conversazione sottile che svaria da descrizioni minuziose di stoffe pregiate e di monili preziosissimi a situazioni di politica commerciale (che Simone conosce e Guido no), ma che ben presto diventa il gioco del gatto col topo. Finché si viene a parlare di spade. Se però sia superiore quella riccamente istoriata di Guido o quella più rustica ma temprata molto meglio di Simone (e i sottintesi qui si sprecano, com'è evidente), non può deciderlo altro che un duello, svolto alla luce d'una torcia accesa da Bianca, che sussurra a Guido d'uccidere il rivale ma pian piano lo vede soccombere davanti alla superiore abilità del marito. Il quale, non pago d'averlo sconfitto alla scherma, ingaggia una lotta corpo a corpo nel buio succeduto al cadere della torcia, infine strangolandolo proprio mentre Bianca spalanca le tende: allorché quindi Simone si volge con intenti omicidi alla moglie, la scorge tutta avvolta dal chiarore lunare, e nel percepire l'eccitazione montante nel suo «Perché non mi hai mai detto d'essere così forte?», le rilancia la propria con un «Perché non mi hai mai detto d'essere così bella?», prima di baciarla appassionatamente.
L'orchestra è tutto un delirio di cromatismi e preziosità, ma svolti per così dire in sordina, senza gli empiti e i turgori megasinfonici di partiture coeve, con una nitidezza di contorni scintillante ma anche aspra, incisiva come il bagliore cromatico del Klimt più duro: ad avvolgere oasi allucinate di soavità estatica, nella cui apparente dolcezza lirica certi impasti timbrici fanno vibrare uno strano, mortifero spasimo doloroso che rende benissimo conto dell'ammirazione nutrita da Berg nei confronti della musica di Zemlinsky.