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PAOLO PETAZZI

«EINE FLORENTINISCHE TRAGÖDIE» OP. 16

MUSICA NELLA SECESSIONE

pp. 206-213

Quinta opera di Zemlinsky, Eine florentinische Tragödie, appartiene alla fase centrale della maturità dell'autore: iniziata nel 1914 e finita il 14 marzo 1916, è l'unico lavoro da lui composto negli anni della prima guerra mondiale. Zemlinsky non aveva dovuto lasciare l'attività di direttore al Deutsches Theater di Praga, dove dal 1911 al 1927 profuse straordinarie energie di interprete e organizzatore musicale, battendosi fra l'altro con successo per la diffusione della musica di Schönberg (di cui diresse anche, nel 1924, la prima rappresentazione di Erwartung), di Berg (che era entusiasta della interpretazione zemlinskyana dei tre frammenti dal Wozzeck) e Webern. Come già era accaduto a Mahler, che fu per lui costante ed essenziale punto di riferimento, anche Zemlinsky riusciva a comporre quasi esclusivamente durante le vacanze estive: negli intensissimi sedici anni trascorsi a Praga scrisse in tutto cinque lavori. La Florentinische Tragödie è preceduta dal Secondo Quartetto op. 15, ed è seguita da un'altra opera in un atto, anche'essa ispirata a Wilde, Der Zwerg (1921), e dalla Lyrische Symphonie (1922-23), l'unica composizione di Zemlinsky che ha avuto recentemente in Italia una certa circolazione, e che anche prima veniva ricordata se non altro per l'omaggio resole da Berg con la citazione all'interno della Lyrische Suite.
I due atti unici su testo di Wilde si collocano cronologicamente proprio tra le composizioni che, insieme con i sei Gesänge op. 13 su testo di Maeterlinck (1910 e 1913), possono essere considerate i capolavori di Zemlinsky e che come poche altre valgono a definire alcuni caratteri essenziali della sua poetica matura (l'ultimo lavoro degli anni praghesi, il Terzo Quartetto del 1924, segna per certi aspetti una svolta stilistica e una parziale apertura ad altri atteggiamenti: non potrebbe trovar posto con uguale legittimità in una rassegna tesa ad individuare i lineamenti di una Secessione musicale viennese).
La maturità di Zemlinsky come compositore e come interprete, negli anni praghesi, coincide anche con un graduale processo di isolamento e di emarginazione dal punto di vista biografico e artistico. Il Teatro Tedesco di Praga era certamente una sede prestigiosa, all'interno dell'Impero, ma doveva rivelarsi anche una posizione isolata e senza sbocchi (proprio la consapevolezza di ciò indusse Zemlinsky a lasciare Praga nel 1927 trasferendosi a Berlino); la scelta di Praga era stata determinata dalle crescenti difficoltà incontrate a Vienna dopo che Mahler aveva lasciato la capitale. Artisticamente era sempre ben vivo il rapporto che univa Zemlinsky a Schönberg e alla sua scuola: proprio nel 1914, dedicando a Schönberg il Secondo Quartetto, gli scriveva: «Sono dei vostri, anche se sono diverso». E Schönberg parlò con viva ammirazione del quartetto (di cui iniziò anche una trascrizione), e qualche anno dopo definì la Florentinische Tragödie «ein prachtvolles Werk», un'opera magnifica [1]: tuttavia quella stima e amicizia, pienamente condivise da Webern e da Berg, non impedivano a Zemlinsky di sentirsi 'diverso'. Ormai da molti anni, si può dire da un decennio (dall'epoca cioè in cui Schönberg aveva cominciato a sconcertarlo con la composizione di Pelléas und Melisande: ma già prima lo avevano lasciato perplesso alcuni aspetti dei Gurrelieder) Zemlinsky si rendeva conto di percorrere un cammino divergente da quello dell'amico. Tanto più netta apparve la divergenza quando Schönberg ruppe con la tonalità [2]; si chiarì negli anni successivi, in particolare nei capolavori che abbiamo sopra citato, la posizione retrospettiva di Zemlinsky all'interno della scuola di Vienna: un atteggiamento, si direbbe, segnato da una mesta consapevolezza, dalla coscienza di appartenere a un mondo scomparso o destinato a perire. Le scelte poetiche di Zemlinsky, da Dehmel, a Maeterlinck, a Tagore, a Wilde, lo mostrano profondamente, consapevolmente partecipe delle inquietudini e dell'insicurezza del clima di fine secolo. Ricorrono, tra le sue scelte testuali testi come quello degli incerti confini tra realtà e sogno, o del disagio nel rapporto tra arte e vita [3]. E nei suoi legami con il gusto Jugendstil, nel suo stesso tenersi lontano da soluzioni stilistiche radicali, peculiare di Zemlinsky appare un tono consapevolmente dimesso, spiritualmente ricollegabile alla dimessa desolazione di certo lirismo schubertiano, l'inclinazione ad una raffinatezza antieffettistica, quasi ad una sorta di understatement compositivo, quella assenza di violenza che è una delle ragioni che rendono difficile l'individuazione dei tratti specifici dello stile zemlinskyano (su questa difficoltà e sull'«eclettismo» di Zemlinsky rimandiamo al profilo tracciato da Adorno nel 1959), ma che, nel calore lirico e nella smarrita e sospesa tenerezza, è anche uno dei motivi cui si lega il particolare fascino della voce di Zemlinsky accanto alle altre dell'apocalisse viennese.
La posizione che abbiamo sommariamente delineato era già ben definita all'epoca della Tragedia fiorentina e trova piena conferma in questa partitura: una conferma tanto più eloquente se si tiene conto che qui Zemlinsky non nasconde affatto il punto di riferimento che ha tenuto per certi aspetti presente: Richard Strauss. A differenza di Der Zwerg (Il nano), che, derivando dal racconto The Birthday of the Infanta presenta caratteri drammaturgici e musicali d'altra natura, la Tragedia fiorentina può essere per certi aspetti confrontata con Salome, anche se mette in musica un testo wildiano che ebbe fortuna e diffusione infinitamente (e giustamente) inferiori.
A Florentine Tragedy era soltanto un frammento, che uscì postumo. La traduzione tedesca di Max Meyerfeld, su cui si basò Zemlinsky, fu pubblicata a Berlino nel 1907. Se dobbiamo prestar fede a ciò che Wilde afferma nel De Profundis la prima concezione risalirebbe al dicembre 1893, e il bel Bosie sarebbe direttamente responsabile del fatto che il poeta non trovò il tempo di finirla rapidamente. Se ne trova menzione nell'epistolario nel febbraio 1895, poco prima degli avvenimenti che avrebbero travolto Wilde nel processo e nella condanna. Nelle tragiche vicende che seguirono una parte del manoscritto dovette andar perduta [4]: i tentativi di ricostruzione e completamento, compiuti in carcere e ancora nel 1897, subito dopo la liberazione, erano destinati a fallire. Dopo l'esperienza che gli aveva spezzato la vita Wilde fu in grado solo di scrivere la Ballata del carcere di Reading, qualcosa di molto lontano, dunque, dalle opere della stagione precedente, a maggior ragione dalle «cose belle, colorate, musicali, come Salomé, e la Tragedia fiorentina e la Sainte Courtisane».
«Beautiful, coloured, musical things», definiva Wilde il suo più noto lavoro teatrale e i due frammenti, accomunandoli sotto il segno di un'arte 'musicale' secondo l'ideale di Pater e di un gusto dichiaratamente ornamentale. La condizione frammentaria della Tragedia fiorentina non impedisce di coglierne le linee essenziali. Manca evidentemente una parte iniziale, che doveva presentare l'incontro e una scena d'amore tra Guido Bardi, principe di una improbabilissima Firenze rinascimentale, e Bianca, moglie del mercante Simone. Dopo aver rinunciato all'idea (dapprima presa in considerazione), di far aggiungere da altri la scena iniziale mancante, Zemlinsky la sostituì con un ampio preludio, che allude all'incontro amoroso. Un'altra lacuna si trova indicata nel testo inglese in un punto decisivo, circa a metà, prima che Simone pronunci fra sé i versi che lasciano intuire la tragica conclusione, quando parla del mondo ridotto allo stretto spazio di una stanza, che diviene un teatro «dove cadono i potenti e la nostra vana vita diviene la posta che Dio mette in gioco».
Di questa lacuna è impossibile valutare l'entità; ma Zemlinsky poté semplicemente ignorarla, perché essa non sembra incidere sullo svolgimento dell'azione. Così come si presenta il frammento è dominato dal personaggio di Simone, il mercante che tornando a casa sorprende il giovane principe e la moglie, tenta dapprima di frenarsi, va cercando diversivi con torrenziale loquela, finché le sempre più esplicite allusioni di Guido Bardi al suo amore per Bianca lo inducono a prendere fra sé la decisione di sfidare il principe. Il proposito mortale incombe in crescente misura nella seconda parte del dramma, anche se Simone lo dissimula: quando il principe vuole allontanarsi ha luogo il duello, in cui il giovane muore. E qui un ultimo colpo di scena, che ha una funzione drammaturgica simile alla repentina uccisione della principessa di Giudea alla fine della Salome: Simone si volge a Bianca con l'intenzione di ucciderla, e se la vede venire incontro a braccia aperte. «Perché non mi hai detto che sei così forte?» «Perché non mi hai detto che sei così bella?».
L'incompiutezza giova probabilmente alla musicabilità del testo (che risulta privo, fra l'altro, di tutte quelle didascalie che hanno in Salome un peso non trascurabile: le didascalie in partitura sono di Zemlinsky): esso ha una relativa scorrevolezza, procede più rapidamente di quanto non avrebbe consentito la decorazione verbale wildiana in una stesura definitiva. Per creare una serrata tensione drammatico-musicale Zemlinsky non ha bisogno di compiere molti tagli: elimina in tutto circa ottanta versi, sottraendoli prevalentemente al sentenzioso e incessante discorrere di Simone. Molto meno di quanto aveva dovuto fare Strauss nella sua Salome.
Il testo della Tragedia fiorentina, che secondo Adorno rende addirittura improponibile, nonostante le qualità della musica, l'opera di Zemlinsky, appartiene certamente alle cose più caduche, più vistosamente datate di Wilde. Si possono tuttavia immaginare le ragioni della scelta di Zemlinsky. Anche indipendentemente dai trionfi della Salome straussiana la figura di Wilde aveva non piccolo rilievo nella cultura tedesca dei primi decenni del secolo. Basterebbe ricordare qualche frase dello scritto, giustamente famoso, che gli dedicò Hofmannstahl: «sentiva la minaccia della vita su di sé [...]. Era un personaggio sconveniente di una tragica sconvenienza. Il suo estetismo aveva qualcosa d'isterico. Tutte quelle gemme tra cui pretendeva di vivere così voluttuosamente erano come occhi pietrificati nella morte dalla minaccia che la vita gli rivolgeva contro; senza posa egli provocò la vita e insultò la realtà. Ma sapeva che la vita lo spiava nell'ombra per balzargli addosso».
Non occorre sottolineare come dovesse apparire 'attuale', per il gusto dell'inizio del secolo (ma non più nel 1914, anno di composizione dell'opera Una tragedia fiorentina), una storia d'amore e di morte collocata nell'Italia rinascimentale (luogo, per eccellenza, di incantate bellezze e sanguinari intrighi, di azioni smisurate). Attuale poteva risultare soprattutto la contrapposizione tra il principe giovane e raffinato, l'esteta dedito al culto dell'amore e della bellezza, e la prosaica quotidianità dei vecchio mercante, che apparentemente pensa solo al prezzo della lana. «La torre d'avorio è assalita dall'oggetto immondo», se si vuoi ripetere una espressione wildiana [6]; e il giovane principe, che «non conosce la vita», va incontro inconsapevole al proprio destino, lo 'subisce' non diversamente da altre, poeticamente ben più nobili, creature della letteratura di fine secolo. Il suo avversario, peraltro, non è soltanto, come potrebbe dapprima sembrare, l'esponente di una prosaica concretezza, e man mano si chiarisce l'intenzione di conferire alla sua ossessione e alla sua brutalità una fosca grandezza.
Nel testo wildiano Zemlinsky poteva trovare le premesse per presentare, in un graduale crescendo di tensione, un conflitto irriducibile, dapprima non chiaro alla coscienza stessa dei protagonisti, e rallentato da ampie divagazioni, poi sempre più netto, nonostante le inquiete parentesi create nella seconda parte dagli indugi di Simone: sono momenti carichi di sinistri presagi, che valgono solo ad allontanare il punto cui ormai inesorabilmente l'azione è diretta.
Sarebbe difficile non condividere l'insofferenza di Adorno per il testo di Wilde; ma è anche evidente che la fantasia di Zemlinsky se ne appropria senza cadute di tensione e non lascia il tempo di riflettere sulla vuota banalità di questa tragedia pseudorinascimentale. La musica scandisce con incisiva efficacia l'accumularsi di un'oscura, crescente tensione, trasfigura in senso visionario le immagini del testo, ne coglie le occasioni evocative con una ricchezza fantastica che serba tuttavia un peculiare ritegno, quasi una sorta di pudore.
Vi sono momenti che si richiamano esplicitamente a gesti straussiani: si pensi al brindisi di Simone, o all'impetuoso slancio sinfonico del preludio, con quel suo attacco così straussianamente in medias res (il motivo della tromba, all'inizio, va associato alla cavalleresca figura di Guido Bardi), con la sua stessa articolazione in una prima parte concitata e in una zona lirica («Langsam, träumend», «lento, sognante») che evoca l'incontro amoroso (e presenta infatti le idee che si ritroveranno nel breve duetto tra Guido e Bianca, prima della sfida mortale): vien da pensare all'inizio del Rosenkavalier, che ha tra l'altro una funzione drammaturgica affine, quella di evocare la scena d'amore tra la Marescialla e Oktavian. Ma il grande respiro lirico del preludio zemlinskyano ha un accento diverso, che vale a introdurci subito nel clima visionario, febbrile e irreale in cui si svolge la tragedia: dove il paesaggio fiorentino, i colli di Fiesole e Bellosguardo non sono meno fiabeschi dell'Oriente di Salome.
Dunque, una volta constatati certi espliciti richiami (non solo a Strauss: l'entrata di Simone, per esempio, è segnata da un motivo che, nel profilo ritmico, sembra una variante di parte di quello di Hunding) ci si rende immediatamente conto che la musica di Zemlinsky si muove in una sfera completamente diversa da quella straussiana. A proposito del preludio Horst Weber ha sottolineato l'accurata rifinitura e i netti profili della scrittura polifonica, «che sta nella tradizione del contrappunto dissonante di Mahler»; ma più in generale è lontanissima da Zemlinsky la spavalda sicurezza, l'insaziabile frenesia, l'esplicita vocazione a catturare l'ascoltatore, a riuscire irresistibile con qualunque mezzo, che sono tipiche di colui che D'Annunzio chiamava «barbaro magnifico e temerario dagli occhi chiari».
Zemlinsky non era certo temerario, e men che meno barbaro; gli erano estranee tanto le punte più audacemente avanguardistiche del linguaggio straussiano quanto gli aspetti rassicuranti e concilianti, la «bonaria condiscendenza» contro cui si indirizzò la troppo feroce ironia di Thomas Mann.
Con ragione è stato notato che la fedeltà di Zemlinsky al linguaggio tonale non soltanto non viene mai teorizzata polemicamente come una 'necessità'; ma soprattutto elude un carattere affermativo. Quanto vi è di inquieto e sfuggente nel linguaggio armonico di Zemlinsky si manifesta non attraverso laceranti tensioni, non con soluzioni estreme, ma con un procedere sospeso, dove i rapporti tonali assumono profili labili e incerti, dove i trapassi possono apparire sfuggenti grazie al frequente e peculiare accostamento di tonalità a distanza di terza: si evitano spesso i procedimenti che garantiscono la forte, esplicita sottolineatura di una precisa direzione modulante, così da creare, senza gesti di clamorosa rottura, l'impressione di un controllato labirinto. Su questi aspetti dell'armonia di Zemlinsky ha insistito con ragione Horst Weber, che ha anche richiamato l'attenzione sulla frequenza dell'uso del pedale, che può essere visto come «quintessenza del pensiero armonico di Zemlinsky: un suono che viene illuminato da diverse armonie, una tensione armonica che non agisce in senso espansivo, ma revoca se stessa» [7].
La straordinaria compattezza della Tragedia fiorentina, la cui musica non conosce cadute o zone stagnanti si lega alla sapienza ammirevole con cui viene elaborato il materiale motivico: varianti e intrecci polifonici reggono magnificamente il respiro dell'opera, proponendosi con una chiarezza e, diremmo, con una precisione che trovano pieno riscontro nelle seduzioni di una orchestrazione magistrale, mahlerianamente attenta a rivelare ogni dettaglio del disegno polifonico, e in ciò aliena da alchimie straussiane. Anche di qui nasce l'impressione di ritegno, di raffinata sobrietà, che suscita la fantasia di Zemlinsky, il suo modo di impadronirsi delle immagini del testo.
Vi sono indugi preziosi, come nel passo dove si celebra, con accenti di morbida, suadente raffinatezza il sontuoso damasco (improponibile il paragone con l'evocazione lussureggiante dei doni che disperatamente Erode offre a Salome); o come nella divagazione sul liuto e sui poteri della musica, con il suono mahlerianamente idiomatico degli strumenti a pizzico e con quell'andamento di valzer evocato con una sorta di scorrevolezza sommessa, aliena da vitalistiche impennate.
Non meno evidente risulta la sobrietà zemlinskyana nella incisiva efficacia con cui si delinea la progressione tragica, da quando Simone esorta brutalmente la moglie a filare (in una pagina segnata da una opprimente, ossessiva scansione ritmica) al divagare segretamente minaccioso sul prezzo della lana e sulla politica del papa, alla risoluzione decisiva, al presentarsi del motivo della morte: questa idea (quattro note discendenti, seguite da una quarta diminuita ascendente si ripropone ossessivamente in diverse varianti ed ha una funzione determinante nel creare la tensione serrata che domina l'ultima parte dell'opera.
Il progredire della tensione non è lineare: peculiare della Florentinische Tragödie è il continuo, anche brusco mutare di situazioni espressive. Nell'hortus conclusus che imprevedibilmente diviene la stanza del mercante, lo stretto luogo che diventa 'teatro del mondo' (dove le allusioni ai fatti esterni sono respinte perché, come dice Guido, «altre cose sono più vicine, e di maggiore importanza» nello spazio creato dalla musica di Zemlinsky si profila un visionario intreccio di amore e morte, di indugi contemplativi e presagi minacciosi, di giovanili impennate cavalleresche e gesti brutali, di liriche effusioni e violenza mortale.
Così, proprio poco prima della tragica conclusione si ha uno dei culmini lirici dell'opera, uno dei momenti in cui trionfano il lirismo di Zemlinsky e quelle qualità di invenzione melodica che Berg tanto amava [8]: il duetto tra Bianca e Guido. L'incantata tenerezza del canto d'amore del giovane principe, con quanto ha in sé di abbandono estatico e mortale, può suggerire qualche segreta affinità con il lirismo di Aiwa.
Si è già detto che il preludio della Florentinische Tragödie introduce subito in una dimensione visionaria: a suggellarla viene la lirica trasfigurazione finale. La tematica di 'morte e trasfigurazione', in cui il Mittner ravvisa «forse la sigla più autentica dello Jugendstil» si concreta qui in modo singolarmente emblematico: il motivo della morte che aveva ossessivamente dominato l'ultima parte dell'opera, si trasforma, sulle ultime parole di Bianca e di Simone, letteralmente si trasfigura per dar vita ad un momento di immobile, incantata estasi.

 

© PAOLO PETAZZI E BIENNALE DI VENEZIA


NOTE

1] Così la definisce Schönberg nella lettera ad Albertine Zehme del 5 maggio 1917, dopo aver visto la Florentinische Tragödie a Vienna, dove era andata in scena il 27 aprile 1917. La prima rappresentazione aveva avuto luogo a Stoccarda il 30 gennaio 1917, sotto la direzione di Max von Schillings; era seguito il 4 marzo un altro allestimento a Praga, che fu diretto dallo stesso Zemlinsky. Schönberg aveva assistito anche alla rappresentazione praghese.

2] Vale la pena di ricordare una dichiarazione (di cui non si conosce la data) che Zemlinsky fece a proposito dei musicisti che possono essere considerati per lui i due poli essenziali: «Per le opere di Mahler nutro la più totale, incondizionata, illimitata ammirazione [...]. Di fronte alle ultime opere di Schönberg non ho sempre uguale amore, ma sempre un infinito rispetto. So però per esperienza che anche nei confronti di quelle opere che oggi sono per me ancora mute, già domani posso giungere ad un atteggiamento di amore. Lo aspetto tranquillo perché ho fiducia - in me». La citazione è tratta dal volume di H. Weber, Alexander Zemlinsky, Vienna 1977, p. 25.

3] Se tra le voci dell'apocalisse viennese se ne volesse cercare, in ambito non musicale, una vicina a Zemlinsky, si sarebbe portati a fare il nome di Hofmannstahl, pensando soprattutto (e con la consapevolezza delle inevitabili approssimazioni insite in simili accostamenti alla lettera di Lord Chandos e al «Racconto della 672ª notte», Adorno nota che i capolavori comici di Zemlinsky potrebbero rispondere al raffinato ideale hofmannstahliano di commedia musicale. Di fatto si ebbe una sola collaborazione tra Zemlinsky e Hofmannstahl, per il balletto Der Triumph der Zeit, la cui musica, composta tra il 1900 e il 1904, sembra aver avuto solo una esecuzione parziale in concerto, con il titolo Das gläserne Herz, ed è inedita.

4] In una lettera a More Adey, che secondo l'edizione dell'epistolario completo curata da Rupert Hart-Davis (Londra 1962) va datata 25 settembre 1896, Wilde scriveva dal carcere: «Ho cercato di ricordare e buttar giù la Tragedia fiorentina: ma me ne restano solo dei frammenti, e trovo che non sono capace di inventare: il silenzio, la solitudine totale, l'isolamento da ogni influenza umana e umanizzante ti uccide ogni facoltà cerebrale» (citiamo la traduzione di M. D'Amico, da Vita di Oscar Wilde attraverso le lettere, Torino, p. 213).

5] Così le definiva Wilde nel De Profundis. Accennando al processo contro Lord Queensberry, e rinfacciando ad Alfred Douglas di averlo spinto ad affrontare la causa, scrive: «Come artista io avevo a che fare con Ariele. Tu mi hai fatto lottare con Calibano. Invece di fare cose belle, colorate, musicali come Salome, e la Tragedia fiorentina e La Sainte Courtisane, mi trovai costretto a mandare lunghe lettere di legali a tuo padre» (trad. di M. D'Amico, cit., p. 321).

6] Con queste parole Wilde commentava (scrivendo a Robert Ross il 28 febbraio 1895) il provocatorio biglietto che gli aveva scritto Lord Queensberry, e che fu il punto di partenza del processo di diffamazione.

7] H. Weber, Der retrospektive Komponist: Alexander Zemlinsky, nel volume miscellaneo Alexander Zemlinsky. Tradition im Umkreis der Wiemer Schule, a cura di O. Kolleritsch, Graz 1976, pp. 11-12.

8] Si può ricordare ad esempio la lettera alla moglie del 22 novembre 1923, in cui Berg racconta le prime impressioni suscitate dall'ascolto di Der Zwerg; perplesso per l'impostazione drammaturgica e la qualità dell'esecuzione, Berg sottolinea però la gioia provata «dark der unendlich süen und überströmenden Melodik» (grazie alla scrittura melodica infinitamente dolce e traboccante).