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RUDOLF STEPHAN

SULLA MUSICA A VIENNA
ALLA FINE DI UNA GRANDE EPOCA


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SECONDA PARTE

TERZA PARTE

QUARTA PARTE

QUINTA PARTE

SESTA PARTE



ARNOLD SCHÖNBERG


Arnold Schönberg, durante la sua vita, fu un compositore di successo. Riuscì a sollevarsi, da condizioni modestissime, con le sue proprie forze. Poiché il suo talento e la sua fermezza morale vennero subito riconosciuti, trovò presto dei sostenitori: fra questi ci furono, per un certo periodo, Richard Strauss e, fino alla sua morte, Mahler. I migliori musicisti - ad esempio il Quartetto Rosé - eseguivano le sue opere.

 

 

Le esecuzioni delle opere di Schönberg erano sempre grandi avvenimenti; a volte ottenevano grande successo, come la memorabile prima dei Gurre-Lieder, il 23 febbraio 1913, diretta da Schreker,

 

 

che fu applaudita per più di mezz'ora; a volte erano scandali, come la prima delle Variazioni per orchestra op. 31, dirette da Furtwängler

 

 

alla Philarmonie di Berlino. Sia che fosse trionfo o scandalo, né il pubblico né la stampa, né i sostenitori né i nemici rimanevano indifferenti. Un'opera schönberghiana poteva dare scandalo, ma non era mai un fiasco.
Personalità artistica fra le più significative della prima metà del nostro secolo, Schönberg era un romantico. Componeva per un impulso interiore. Esprimeva sempre se stesso, secondo un principio espressivo rimasto determinante durate la sua vita in tutte le sue attività artistiche. Spesso sentiva la creazione artistica come un obbligo - non soltanto una creazione libera, appagante, ma anche l'adempimento di un dovere. Sentiva di dover dire quello che aveva da dire, un pensiero. In effetti, erano soprattutto pensieri musicali: per lui era inimmaginabile che un'opera d'arte potesse essere qualcosa di diverso dalla rappresentazione di un pensiero. La rappresentazione gli pareva appropriata soltanto quando era logica, quando ciò che segue di volta in volta deriva necessariamente da ciò che lo precede. Il pensiero musicale tuttavia non doveva svilupparsi soltanto logicamente, ma essere anche comprensibile nella sua rappresentazione. E poiché i pensieri stessi non soltanto erano nuovi, ma di genere nuovo, anche il metodo della loro realizzazione, se non voleva contraddire la novità del pensiero, doveva essere nuovo. Ricca concatenazione contrappuntist1a, densità delle relazioni motiviche, polifonia, rinuncia ai mezzi artistici tonali tradizionali, il metodo compositivo con dodici note in rapporto unicamente l'una con l'altra; tutto ciò serve soltanto alla comprensione dello sviluppo logico del pensiero musicale. Il pensiero stesso deve essere riconosciuto.
La conoscenza è dunque adeguata al pensiero. Qui il semplice ascoltare non è sufficiente. Ascoltare deve piuttosto, come durante la lettura di poesie significative, essere aiutato dal pensiero che lo accompagna. L'accompagnarsi del pensiero all'ascolto significa però pensare musicalmente, un pensare meno con la (o sulla) musica che nella musica, un pensare i cui concetti sono musicali. Ascoltare senza pensiero musicale può essere piacevole, incantevole, o qualsiasi altra cosa; un ascoltare che è adeguato alla musica come arte musicale non lo è. Naturalmente, come Schönberg disse una volta, l'orecchio è sì l'intelligenza del musicista, alla fine tuttavia non si ascolta soltanto una somma di segnali acustici, ma l'opera d'arte musicale come una struttura in sé significativa. Schönberg ha detto cose nuove, che non molti ascoltavano volentieri (cosa di cui talvolta lui ha sofferto). E non le ha dette neppure per piacere a qualcuno, trasmettendo sensazioni gradevoli, le ha dette perché si sentiva tenuto o costretto a dirle. Egli non ha mai scritto, come disse una volta, una nota di cui non potesse rispondere pienamente e completamente da un punto di vista musicale e morale.
Naturalmente nel corso degli anni il suo modo di scrivere - oggi si dice: il suo stile - è cambiato. Iniziò con i Lieder, pezzi per pianoforte e musica da camera, sulle orme di Wagner, Brahms e Wolf, ma poi ha rapidamente allargato i confini dei generi e li ha superati; per esempio nel sestetto Verklärte Nacht op. 4 (1899), su testo di Dehmel,

 


Richard Dehmel

 

di cui esiste anche la versione per orchestra d'archi. Ciò nonostante qui non si tratta del superamento dei confini, allora usuale, ma della realizzazione di nuove idee. L'idea della musica da camera come il genere musicale più ricco viene legato con quella della musica sinfonica a programma: la Kammersymphonie op. 9 (1906), opera di qualità, musica da camera e musica sinfonica: musica da camera, per la compattezza senza eguali del lavoro compositivo, un lavoro per intenditori; sinfonica, per la monumentalità interiore, che ottiene più vasta risonanza nell'ascoltatore. Le diverse versioni di quest'opera ne mettono in rilievo i diversi aspetti. È pura musica da camera nella stesura per quintetto di Webern, è sinfonia nella tarda versione per grande orchestra op. 9B, vera sinfonia da camera nella formazione originale con 15 strumenti solisti, pezzo (splendido) per pianoforte nella riduzione di Steuermann,

 


Eduard Steuermann

 

che a suo tempo ebbe grande successo, come pianoforte a due mani.
Ma la sinfonia da camera del 1906 segna quasi il punto finale dello sviluppo in Schönberg dei mezzi artistici tradizionali, della tonalità armonica. Non che si fosse servito degli strumenti tradizionali in modo tradizionale! Al contrario. Li ha usati in modo così nuovo che all'inizio non furono neppure notati. Presto venne il momento in cui essi apparvero superflui. Al superamento dei confini dei generi musicali corrispose, in generale, quello di altri generi, e non è ancora chiaro se non quelli dell'arte stessa. L'esigenza espressiva di Schönberg, che non possiamo sentire con forza sufficiente - era il periodo dell'espressionismo - aveva bisogno di altri mezzi: iniziò a dipingere, a comporre poesie e a riflettere sui fondamenti del suo lavoro. Infine superò i confini, fino ad allora ritenuti insuperabili, della tonalità maggiore e minore. Questa evoluzione culmina nell'anno 1909, in cui vennero portati a termine il ciclo di Lieder, dal Buch der hängenden Gärten di George

 


Stefan George. Click to entry

 

(op. 15), e il secondo Quartetto op. 10, e vennero composti i Tre pezzi per pianoforte op. 17. Sono queste le opere che rinunciano agli strumenti della tonalità e il fatto di averla riconosciuta come un semplice strumento artistico (non conseguenza di leggi naturali) è uno dei meriti duraturi di Schönberg teorico della musica (Teoria dell'armonia, 1911).
Questo riconoscimento fu un'azione liberatoria di grande importanza. Ciò che fino ad allora veniva considerato come conseguenza di leggi naturali nell'ordine delle note, come legge immutabile, si manifestava come un semplice mezzo artistico. Certo come un mezzo straordinariamente adeguato allo scopo, di cui ci si poteva continuare a servire anche in futuro. Ma ciò che fino a quel momento veniva presupposto come naturale, l'impiego di questo mezzo, era la conseguenza di una decisione che doveva essere presa dal compositore: se gli strumenti tonali sono adatti alla rappresentazione del pensiero musicale, essi possono, devono anzi, essere usati anche in seguito; se i pensieri musicali giungono a un altro modo di rappresentazione, allora questa deve essere sviluppata dal compositore stesso.
Il modo compositivo con dodici note in relazione l'una con l'altra, che Schönberg ha sviluppato negli anni dal 1919 al 1922, è una rappresentazione di pensieri musicali di un genere tale da non poter più essere sviluppato significativamente con l'aiuto dei mezzi tonali. In effetti, che i mezzi tonali non siano più adeguati, lo ha mostrato Schönberg stesso quando ha armonizzato in modo tonale il tema delle sue Variazioni per orchestra op. 31 (1927), una delle opere più importanti: nonostante la triadi (o a causa sua) suona falso. Dopo che era riuscito a riconoscere i mezzi tonali quali puri strumenti artistici, Schönberg decise per ogni singola composizione se doveva servirsi di loro o di un altro metodo, quello cioè di dodici note in relazione l'una con l'altra. Nel grande oratorio (rimasto incompiuto) Die Jakobsleiter (1917) si è di nuovo servito ampiamente dei mezzi tonali; al contrario, nell'opera Moses und Aron (1930-31) [Testo] dei mezzi dodecafonici. I principali capolavori del periodo che segue al 1924 seguono questo metodo, sviluppato da Schönberg e diversamente impiegato in ogni opera - i Quartetti op. 30 (1927) e 37 (1936), il Concerto per violino op. 36 (1934-36), il Trio per archi op. 45 (1946) - ma anche molte opere che non sono minori, ad esempio le Variationen über ein Rezitativ für Orgel op. 40 (Variazioni su un recitativo per organo, 1941), sono di nuovo tonali. Non c'è contraddizione. I pensieri di volta in volta diversi trovano una rappresentazione di volta in volta adeguata.
Ancora una parola sulla biografia di Schönberg. Schönberg visse per lo più a Vienna (o nelle vicinanze);

 


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passò a più riprese qualche anno a Berlino: per la prima volta, nel 1901-03, come direttore d'orchestra, all'«Uberbrettl» di Woizogen; poi nel 1911-15, quando creò il famoso ciclo di melodrammi Pierrot lunaire op. 21 (1912), un capolavoro; infine di nuovo nel 1926, come successore di Busoni alla direzione di un corso di composizione all'Accademia. Durante la sua vita Schönberg ha insegnato, non sempre per sua volontà, ma è stato in ogni momento un maestro appassionato. Gli anni più proficui della sua attività didattica furono quelli in cui era un ricercatore, come quelli viennesi dopo il 1903 - in questo periodo furono suoi allievi Berg e Webern - e quelli dopo il 1918; diresse anche il 'Verein für musikalische Privataufführungen' (Associazione per esecuzioni musicali private) e indicò nuove strade alla riproduzione musicale. Nel 1933 Schönberg lasciò Berlino, prima per Parigi, dove, da protestante, passò all'ebraismo, infine negli Stati Uniti, dove insegnò all'Università, in California. Dobbiamo a questa attività che mise il compositore sessantenne di fronte a compiti del tutto nuovi, la sua tarda opera di teoria musicale, il suo testamento, la sua opera fondamentale: Die Grundlagen der musicalischen Komposition (I fondamenti della composizione musicale), un atto di devozione musicale da grande maestro, quello che oggi ci appare uno degli ultimi maestri. Proprio questo libro potrebbe, come nessun altro, contribuire a rinnovare una cultura musicale approfondita nel senso della tradizione classica a cui Schönberg rimase incrollabilmente fedele.