RICHARD WAGNER WEBSITE

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CARL DAHLHAUS

I MAESTRI CANTORI DI NORIMBERGA

DIE MEISTERSINGER

I

I maestri cantori di Norimberga sono il frutto d'un umorismo invero infido. (Wagner lamentava che a Liszt e a Nietzsche «non piacessero i suoi motti di spirito».) Sullo sfondo dell'idillio antico-tedesco tratteggiato da Wagner, con le sue viuzze tortuose e il profumo inebriante del sambuco, si avverte un che di prepotente. Il popolo che nel terz'atto si raccoglie a cantare le lodi della Riforma e della «heil'ge deutsche Kunst» (la «sacra arte tedesca») è lo stesso che nel secondo si scatena in una rissa furibonda e assurda, provocata da un pretesto tanto futile da far sospettare che le vere cause si celino nel profondo della coscienza collettiva. (Che Wagner, ideando questa scena, abbia preso spunto da un episodio vissuto di persona a Norimberga è circostanza irrilevante per l'opera.) Walther von Stolzing, il genio sorgivo d'una «nuova arte» che trionfa sulle rigide, antiquate regole codificate dalla corporazione dei maestri cantori, è anche un accattabrighe sempre pronto a sfoderar la spada per far piazza pulita d'ogni impaccio che gli si pari davanti, non fosse che un guardiano notturno. Non è poi tanto sorprendente che i borghesi di Norimberga ne diffidino. Quanto a Sixtus Beckmesser, oppositore e censore d'ogni novità, pedante e velenoso, ma pur sempre umanista e funzionario d'alto rango della città imperiale, a ogni piè sospinto va a ficcarsi, manco fosse indemoniato, in situazioni insostenibili, e vi fa una figura penosa. Hans Sachs, infine, nella sua abnegazione e superiorità, si presenta sotto una doppia faccia. A Beckmesser giuoca uno scherzo malevolo, un po' come Wotan a Mime: una scommessa ch'è una trappola. E come Wotan lascia a Siegfried l'incombenza d'eseguire la condanna di Mime, così Sachs abbandona Beckmesser al pubblico ludibrio: una risata ch'è un supplizio. (Abdicando rassegnati, sia Wotan che Sachs se ne lavano sovranamente le mani.) Il giubilante Do maggiore della conclusione, dopo tutto quel po' po' di trambusto che l'ha preceduto, suona tutt'altro che rassicurante, a saperlo ascoltare con orecchio insieme musicale e drammatico. Non a caso il motivo che s'insinua nell'accordo finale è quello della pubblica irrisione ai danni di Beckmesser.
Il primo abbozzo dell'azione dei Maestri cantori risale al 1845, all'epoca in cui Wagner era maestro concertatore all'opera reale di Dresda. Soltanto una quindicina d'anni più tardi, dopo il completamento del Tristano, Wagner riprese il progetto, stese un secondo abbozo dell'azione ed elaborò - a Parigi, nell'inverno 1861-62 - il testo drammatico. Ma nel lungo intervallo Wagner sarà pur andato rimuginando la materia dei Maestri cantori, tant'è vero che la descrizione del soggetto ch'egli dà nella Comunicazione ai miei amici del 1851 sopravanza per più d'un verso il primo abbozzo.
Come presso gli Ateniesi la satira comica soleva tener dietro alla tragedia, così m'apparve improvvisa l'immagine d'una commedia che invero poteva ben ricollegarsi come una satira alla mia «tenzone dei cantori sulla Wartburg». Si trattava dei maestri cantori di Norimberga, con Hans Sachs in testa.
Per alcuni caratteri di fondo, l'azione era debitrice all'opera Hans Sachs di Albert Lortzing (1840); nuova era però la prominenza nettissima data da Wagner alle questioni estetiche. «Immaginai Hans Sachs come l'ultimo rappresentante dello spirito artisticamente fecondo del popolo» - idea, questa, che Wagner deve aver attinto da Jacob Grimm - «e in questa sua valenza lo contrapposi alla borghese mediocrità dei maestri cantori: della loro ridicola, pedantesca codificazione di regole poetiche» - che Wagner, l'eruditissimo tra i librettisti, studiò a fondo sulla De civitate noribergensi [Nachwort des Faksimile-Nachdruckes von Horst Brunner] di Johann Christoph Wagenseil (1697) - «diedi la perfetta personificazione nella figura del 'Merker', del censore che teneva il registro dei loro sbagli» (per ora non si fa allusione al critico musicale Eduard Hanslick: divenuto poi questi l'oppositore accanito di Wagner, il ruolo del censore musicale, del Merker Sixtus Beckmesser, ne venne via via assumendo le fattezze). «Il decano della corporazione» - che nella versione finale è l'orafo Pogner, «ricco per volontà di Dio» - «offriva la mano della giovane figlia a colui tra i maestri cantori che sarebbe riuscito vincitore d'una pubblica tenzone canora da tenersi dill a poco. Il Merker già faceva la corte alla fanciulla, ma si vede contrapporre un rivale nella persona del giovane figlio d'un cavaliere che, appassionatosi alla lettura dei romanzi cavallereschi e degli antichi Minnesänger, abbandona il cadente castello avito e lo scarso patrimonio di famiglia per apprendere in Norimberga l'arte dei maestri cantori», ossia quell'arte che si pretendeva legittima continuatrice e codificatrice del Minnesang cavalleresco. «Il giovane, sopraffatto da subito amore per la ragazza messa in palio» -l'amore, in Wagner, è sempre e soltanto a prima vista - «chiede d'essere ammesso nella corporazione. Messo alla prova, canta un inno entusiastico in lode delle donne, che suscita però la concitata riprovazione del Merker, al punto che, giunto alla metà del suo canto, il candidato viene squalificato. Sachs, preso in simpatia il giovinotto, sventa - nell'interesse del giovane cavaliere - un piano disperato per rapire la fanciulla».
Il motivo della propensione di Sachs stesso per Eva e della sua magnanima rinunzia manca negli abbozzi del 1845 e del 1851. Concepiti nel 1845 come pendant satirico del Tannhäuser, nel 1861-62 i Maestri cantori accusano la prossimità del Tristano: Sachs - che da un libro di leggende popolari cita la saga di Tristano - rinunzia alla fanciulla per non condividere la sorte di re Marco. Tanto più spicca nel 1851 la macchinazione ai danni di Beckmesser. Non soltanto Sachs disturba a suon di «Jerum! Jerum! Hallo, hallohe!» e di martellate sul deschetto da calzolaio la serenata notturna di Beckmesser sotto il verone di Eva; gli dà pure «un componimento poetico del giovane cavaliere, fingendo di ignorare come gli sia capitato fra le mani». (Nella versione finale si tratta per metà di un furto di Beckmesser, e per metà di un ingannevole regalo di Sachs.) «Soltanto, Sachs raccomanda a Beckmesser di selezionare con cura una melodia che calzi bene sul testo poetico. Il vanitoso Merker reputa di conoscere il fatto suo in tal materia e si esibisce pubblicamente di fronte alla giuria corporativa e popolare cantando la poesia sopra una melodia affatto inappropriata e travisante» (nella versione definitiva, ne deturpa anche il testo), sicché, come già nella sua serenata, «miseramente fallisce». Furente, rinfaccia a Sachs d'averlo ingannato rifilandogli un componimento vituperoso, ma Sachs lo rimbecca: la poesia è impeccabile, ma va cantata sopra la melodia adatta. Si stabilisce di proclamare vincitore colui che la saprà individuare. Il giovane cavaliere, che la canta sull'aria giusta, conquista la mano della fanciulla, ma rifiuta l'offerta d'entrare a far parte della corporazione. Tocca ora a Sachs difendere con fervore l'arte dei maestri cantori:

Zerging' das Heil'ge Römische Reich in Dunst,
Uns bliebe doch die heil'ge deutsche Kunst! »

(Andasse anche in polvere il sacro romano impero,
a noi resterebbe sempre la sacra arte tedesca!»)

Per Nietzsche, nell'arte sta l'unica legittimazione della vita - dell'«illusione», della «follia» («Wahn! Wahn!»), come la chiama lo schopenhaueriano Wagner -: questo e non altro è il tema dei Maestri cantori di Norimberga.


II

La filosofia dell'arte che, esplicitamente o implicitamente permea i Maestri cantori è tuttavia più intricata e contraddittoria di quanto non paia a prima vista. Sotto il profilo drammaturgico spicca in primo piano il contrasto tra Beckmesser da un lato e Walther e Sachs dall'altro. Filosoficamente, però, esso è pressoché irrilevante; Beckmesser infatti non è il portavoce di un'arte - neppure dell'arte dei maestri cantori, rappresentata semmai da Sachs -, sibbene una mera caricatura del critico. E l'azione drammatica che lo riguarda è allegorica: l'invidia per il «genio nativo» Walther, la miserevole fattura della sua serenata notturna, l'incapacità di comprendere e riprodurre la canzone da concorso di Walther (il Preislied), sono la trascrizione scenica dei più diffusi pregiudizi alimentati dal volgo nei confronti della critica, e da Wagner condivisi senza troppi scrupoli: il sospetto d'essere invidiosa, l'accusa di sterilità, l'imputazione di non saper apprezzare il nuovo, ciò che devia dalle regole risapute. (Parrebbe che oggidì la situazione si sia capovolta, visto che è ormai la critica - quantomeno la critica d'un certo rango - a propugnare il nuovo di fronte a un pubblico che si adagia volentieri nella consuetudine; ma permane immutato il motivo cruciale dell'ostilità contro la critica, ossia la diffidenza verso la comprensione riflessiva e razionale, ed è cambiato soltanto l'oggetto: il sospetto di mera inanimata meccanicità grava ora sulla Musica Nuova, non più sull'antica.)
Beckmesser non è un maestro cantore: il tema dei Maestri cantori all'inizio del preludio non potrebbe essere più remoto dalla sfera musicale che compete a Beckmesser. E la contrapposizione tra Sachs e Beckmesser, seppur domina sulla scena, è secondaria. Al contrario, i motivi principali sono piuttosto dissimulati che scenicamente ostentati. Se, per dirla con le parole dell'abbozzo del 1851, Sachs è «l'ultimo rappresentante dello spirito artisticamente fecondo del popolo» - e come tale lo apostrofa sprezzantemente l'umanista, l'intellettuale Beckmesser -, egli è però anche colui che giustifica il codice artistico della corporazione (che egli rappresenta agli occhi di Walther) come il presupposto del magistero artistico, un magistero di cui Wagner stesso intorno al 1860, composto il Tristano, si sentiva saldamente in possesso. In Sachs, ben radicato nelle tradizioni popolari vetuste e però elevato all'altezza di un'arte consapevole di se medesima, s'incarna teatralmente una delle idee vagheggiate con nostalgia dalla filosofia romantica: l'idea che la «poesia naturale» e la «classicità», le origini remote e la tardiva perfezione, nella loro vera essenza si identifichino. Hans Sachs è l'autoritratto «classico» di Wagner.
Ma all'immagine consapevole e dichiarata che Wagner delinea di se stesso se ne contrappone una inconscia, problematica e recondita. Nella canzone di prova di Walther, il Probelied che - senza che ben se ne capiscano i perché - suscita la furia censoria di Beckmesser, Wagner segretamente rivela la formula basilare della sua stessa opera compositiva. L'idea del «genio sorgivo» di Walther è un'illusione smentita dal Probelied. Difatti lo schema dei suoi versi e delle sue rime è tanto complicato che l'arte necessaria ad eseguirlo impeccabilmente presuppone un'ardua applicazione, una ponderata perizia. Siffatta contraddizione, inutile dirlo, è tutto fuorché un banale, irrilevante abbaglio dell'autore; essa racchiude anzi il nucleo esoterico della filosofia dell'arte inverata nei Maestri cantori, ben distinto dal suo nucleo essoterico, di cui Sachs è il portavoce (per non dire poi del contrasto tra Beckmesser e Walther o Sachs). Nell'estetica di Wagner - come in quella di Kant - è essenziale che l'arte, per esser tale, dissimuli se stessa ed appaia come natura. I mezzi e gli espedienti dell'arte non debbono riconoscersi, la riflessione deve convertirsi in spontaneità, in immediatezza di secondo grado, ogni traccia di difficoltà va cancellata. Ne consegue un paradosso: solo mediante la tecnica si può rinnegare la tecnica. Ma in Walther le contraddizioni sono risolte in un'immagine utopica: in lui l'arte si accresce per dote di natura, ed è improvvisando ch'egli attinge ai frutti della riflessione. Quella immediatezza di secondo grado che tanto travaglio costava a Wagner, per Walther è immediatezza pura e semplice. E Sachs, riandando con la mente al Probelied di Walther, descrive l'effetto che la musica di Wagner, nelle intenzioni dell'autore, suscitava sui contemporanei:

Ich fühl's - und kann's nicht verstehn; -
kann's nicht behalten, - doch auch nicht vergessen;
und fass' ich es ganz, kann ich's nicht messen.

(Lo sento e non lo posso capire...
e non posso ricordarlo ... e neppure dimenticare;
e se tutto lo comprendo, non lo posso misurare.)


III

Quando s'impossessò di Wagner nell'autunno del 1861, l'idea dei Maestri cantori era di già una concezione drammatico-musicale unitaria. Sarebbe erroneo e dogmatico scindere l'intima connessione del fattore drammatico e del musicale per stabilire quale dei due abbia preceduto l'altro, al solo fine di teorizzarne l'appartenenza alla categoria dell'opera anziché a quella del Musikdrama o viceversa. Wagner non ha né rivestito di musica un testo preconfezionato, né ha corredato di un testo una musica preesistente. La documentazione intorno alla storia compositiva dei Maestri cantori risulterà confusa e contraddittoria fintanto che non si rinunci a porle il quesito fuorviante della precedenza di poesia o musica. (La tesi della precedenza cronologica della musica, da cui poi con dubbia logica s'argomenta ipso facto un suo presunto primato, ha intento apologetico: essa intende salvaguardare il Musikdrama dall'accusa d'essere privo di una forma musicale autonoma, laddove invece la vera difesa da un'accusa siffatta competerebbe semmai all'analisi formale.)
La decisione di mandare ad esecuzione il progetto dei Maestri cantori del 1845 Wagner la prese - difficile immaginare contrasto più crudo - durante una breve sosta a Venezia, in uno stato d'animo cupo e tetro. Durante il viaggio di ritorno a Vienna, dice Wagner nel Mein Leben (La mia vita),

l'idea dei Maestri cantori - di cui rammentavo soltanto il mio primitivo abbozzo testuale - mi si accese in mente dapprima nella sua veste musicale; d'un tratto e con ogni precisione ebbi concepita la sezione principale dell'ouverture in Do maggiore.

Ma uno dei temi in Do maggiore, la marcia della corporazione (che taluni esegeti designano come fanfara di Re Davide), proviene dalla cronaca norimbergense del Wagenseil, che Wagner studiò soltanto di lì a qualche mese. E in una lettera a Mathilde Wesendonck del dicembre 1861 Wagner espone le cose con minor enfasi che nella Mia vita: «Risuonava in me qualcosa come una possibile ouverture per i Maestri cantori di Norimberga». Poco importa se i frammenti che egli concepì allora avessero contorni netti o ancora fluidi: conta ch'egli aveva individuato il «tono» dell'opera che gli aleggiava nella mente, un «tono» determinante per lo svolgimento del testo tanto poetico quanto musicale. Non esagererebbe chi nel «Do maggiore» di cui parla La mia vita ravvisasse la quintessenza di quella sfera, tutta gravi e solenni processioni e contrappunti arcaicizzanti, ch'è caratteristica dei Maestri cantori.
L'ouverture, abbozzato l'inizio nel novembre 1861, Wagner la completò nel febbraio o marzo del 1862, e cioè - in deroga alla norma vigente nella composizione operistica - prima ancora d'aver composta una sola riga della musica del dramma. L'«immagine tematica» dell'intera opera, che nel Vascello fantasma era racchiusa nella ballata di Senta, nei Maestri cantori sta nell'ouverture, in un brano di musica strumentale. (La forma è quella d'un poema sinfonico di foggia lisztiana. I normali quattro movimenti della sinfonia classica sono condensati in un unico movimento: alle sue quattro parti - tema principale, tema secondario, sviluppo, ripresa - Wagner attribuisce i caratteri dei quattro tempi di sinfonia, Allegro, Andante, Scherzo e Finale.)
Nel frattempo, dicembre e gennaio 1861-62, Wagner aveva steso il testo poetico dei Maestri cantori (che subirà ancora modifiche). Nulla meglio di quest'alternanza tra stesura del testo e stesura della musica illustra come Wagner procedesse da un'idea complessiva dell'opera che non ammette una distinzione netta dei fattori musicali e poetici secondo un rapporto di «prima» e «dopo». Era per l'appunto la nitidezza dell'immagine drammatico-musicale complessiva a consentire la parallela, simultanea messa a punto delle concezioni poetiche e musicali, che è illusorio voler separare.
La cosa si potrebbe documentare perfin nei particolari. Il tema secondario dell'ouverture, la melodia in Mi maggiore che fa le veci del tempo lento, venne poi assunta come Abgesang, come «epodo», nel Preislied (la canzone da concorso) di Walther. Un'anomalia nella declamazione e nell'articolazione delle frasi alle parole «in himmlisch neu verklärter Pracht» («in celeste, trasfigurata, nuova magnificenza») rivela che il testo fu aggiunto a musica già composta. (È escluso che Wagner, al momento di comporre questa sezione dell'ouverture nel febbraio-marzo 1862, avesse in mente i particolari del testo poetico - steso nel gennaio precedente -, giacché il testo del Preislied del 1862 è affatto diverso, anche nel suo assetto metrico, da quello della versione finale.)

Ma esso tema rappresenta tuttavia una sfera, una sostanza sonora, ch'era ben definita fin dall'inizio. Le parole, i particolari del testo, saranno stati aggiunti in via secondaria: il senso drammatico era però connaturato al tema ab origine.


IV

Escluso Rienzi, di tutte le opere di Wagner I maestri cantori di Norimberga è l'unica dotata di un'azione che si colloca in un tempo storico ben determinato, non in un imprecisato passato mitico o leggendario. (L'Anversa del X secolo è, nel Lohengrin, un mero fondale, sostituibile ad libitum: nulla impedirebbe allo scenografo di collocarne l'azione davanti a una cattedrale gotica. Dei Maestri cantori, invece, la Norimberga del XVI secolo è un ingrediente sostanziale, non un accessorio.) La storia, poi, nei Maestri cantori, non è inerte frammento di un passato morto e sepolto, sibbene preistoria del presente, quasi che la memoria collettiva della modernità borghese risalisse su su fino al Cinquecento. La musica ha una sonorità che pare riaffiorare dalla memoria, vicina eppure remota ad un tempo.
Per Wagner e, in genere, per l'Ottocento «musica antica» veniva a dire Bach e Händel. (E del nostro secolo, e speculare agli sviluppi sempre più rapidi e radicali della nuova musica, la riconquista critica di territori sempre più remoti della musica antica.) Il tema dei Maestri cantori ha un portamento che, a volerne individuare il modello storico, allude alla gravità tipica della sezione lenta delle ouvertures alla francese di Bach: lo stile «antico-tedesco» è insomma il calco d'uno stile internazionale, o francese. Ma i Maestri cantori si tengono ben discosti da quel tipo di «pittura storica» sonora che fu una delle aberrazioni del secolo XIX.
La melodia wagneriana per l'inno della Riforma - componimento autentico di Hans Sachs, dal compositore citato testualmente («Wach' auf, es nahet gen den Tag» / «Svegliatevi! il giorno s'avvicina») - non è un corale «tradotto» nel linguaggio musicale del XIX secolo, nello stile di quell'artigianato musicale arcaizzante che dai tentativi di «traduzione» risultò e che alligna nei libri di canto delle chiese protestanti: essa melodia è una cantilena che non rinnega per un solo istante l'età della propria composizione eppure sembra portar seco un'eco del passato. «Es klang so alt und war doch so neu» («Suonava così antico e pure era così nuovo»), dice Sachs rimuginando perplesso in cuor suo il Probelied di Walther: ma il paradosso, invero, si applica a tutta la musica dei Maestri cantori.
L'infiltrazione dell'arcaico nel moderno, l'aura di un'antichità che viene di lontano sono - vaghe quanto si voglia - pur sempre caratteristiche descrivibili in termini tecnico-musicali. Nella condotta armonica più avanzata del XIX secolo, di cui l'armonia del Tristano rappresenta il paradigma, la progressiva complicazione dei procedimenti dissonanti che nel secolo XX condurrà alla schönberghiana «emancipazione della dissonanza» dall'obbligo della sua regolare risoluzione - era strettamente collegata con la tendenza alla cromatizzazione degli accordi, al «trascolorare» di singole note per alterazione all'insù o all'ingiù. Ipso facto, la musica più dissonante era anche la più cromatica. Ma una, e forse la decisiva, delle peculiarità stilistiche dei Maestri cantori sta nel divario tra il trattamento delle dissonanze, avanzatissimo, e la repressione del cromatismo. Da lì l'aura dell'antico del nuovo. Esemplare dell'interazione di questi due fattori è l'inizio del coro «Wach' auf».

Dilazionare la risoluzione delle settime (su «gen» e «Tag») mediante interpolazione d'altri accordi è procedimento indubitabilmente moderno ma d'effetto tuttavia arcaicizzante, per via dell'assenza del cromatismo - ossia dell'altro e complementare fattore «moderno» - e in virtù delle sequele di accordi che da esse interpolazioni risultano, inconsuete all'armonia tonale e perciò evocatrici d'una fattispecie musicale vetusta, anteriore alla regolamentazione tonale delle concatenazioni d'accordi.
Nei Maestri cantori il contrasto tra l'antico e il nuovo è - nella rivalità tra Beckmesser e Walther - uno dei motori dell'azione. Ma nella realizzazione musicale esso contrasto risulta confuso. È bensì vero che nelle esibizioni di Beckmesser - la serenata, la storpiatura del Preislied non mancano i tratti musicali ostentatamente obsoleti: le colorature rigide, i giri melodici modali, un accompagnamento liutistico arido (pochi accordi, poche formule), danno l'idea di una musica antiquata ossia, per Wagner, difettosa e scarna. (Per progresso, in musica, s'intendeva un progresso orientato verso una sempre maggior dovizia.) Viceversa, pur senza limitarsi ad essere quell'ingenua cantilena che può parere a un ascolto superficiale, il Preislied di Walther tutto è fuorché musica «nuova». L'impressione di copiosa cantabilità che la canzone di Walther suscita è procurata sì da un'articolatissima tecnica della sintassi melodica (in musica, lo slancio, il respiro ampio vengono dall'elaborazione meticolosa dei particolari): ma per il tardo Ottocento «nuova» era la musica «caratteristica» e descrittiva, non certo la musica «cantabile». E nei Maestri cantori un caso esemplare di musica «caratteristica», e di progresso stilistico, lo dà proprio la musica per la pantomima del misoneista Beckmesser nel terz'atto: una musica che tratta la tradizione
musicale - o le sue vestigia - con la stessa cinica disinvoltura con cui l'azione drammatica tratta il censore Beckmesser.
La musica arcaicizzante è, nell'accezione schilleriana della parola, «sentimentale», frutto non istintivo della riflessione. Nessuna maschera stilistica le consentirà mai di sottrarsi al presente cui essa volge le terga; il linguaggio del passato, restaurato, equivale a un'inflessione dialettale del linguaggio moderno. Lo stile arcaicizzante esprime nostalgia: se la rinnega, scade al rango di mero artigianato estetizzante.
Il carattere «sentimentale» dei Maestri cantori - che soltanto gli allestimenti scadenti hanno talvolta degradato verso l'artigianato - è palese. In termini di tecnica musicale ciò significa che il cromatismo moderno, sia pur attenuato ed attutito, non è però rimosso dal loro orizzonte: Tristano - che i Maestri cantori citano - ne costituisce il principio stilistico latente. Che i Maestri cantori ripristinino gli antichi, precromatici diritti del diatonismo è mera illusione. L'oggetto della negazione, impronunziato, è pur sempre incombente: e in più d'un caso lo si avverte esplicitamente. Così, per esempio, nel secondo tema dell'ouverture - la cantilena in Mi maggiore che prefigura l'«epodo», l'Abgesang del Preislied di Walther - il cromatismo, espunto dalla melodia, riaffiora nelle «voci» secondarie. Quel cromatismo che altrove è sottinteso nella struttura musicale - e tocca allora all'ascoltatore «percepirlo» concettualmente - qui è dichiaratamente «composto» in essa.

Il diatonismo dei Maestri cantori - un diatonismo un po' onirico, e intorno al 1860 invero poco credibile - rappesenta non tanto una restaurazione quanto piuttosto una ricostruzione. Si tratta di un diatonismo di secondo grado, nel senso della natura (o dell'immediatezza) «di secondo grado» cui alludeva Hegel. Mai, neppure nel Parsifal, la musica di Wagner è stata tanto artificiale quanto nell'aura di apparente semplicità che la circonfonde nei Maestri cantori.


V

La tendenza arcaicizzante che pervade i Maestri cantori s'imprime anche sulle forme musicali. I tipi morfologici dell'opera tradizionale, rigorosamente banditi - quasi fossero cedimenti del dramma alle esigenze della musica - dalla tetralogia nibelungica, tornano a risaltare nei Maestri cantori. Monologhi, canzoni, concertati, cori e danze dilagano per ampi tratti; ciascuno dei tre atti sfocia in un finale di massa, alla stregua di un grand-opéra; e talvolta pare addirittura esautorato o quantomeno insidiato il principio che ravvisa nel dialogo la vera sostanza del dramma musicale (non meno che del dramma letterario). Se di tutti i Musikdramen di Wagner il testo dei Maestri cantori è il più prossimo al realismo ottocentesco, la realisticità della sua declamazione musicale è invece attenuata al massimo. Il che non significa però affatto che Wagner abbia rinunziato all'idea dell'opera come dramma e abbia retrocesso il dramma a opera: al contrario, Wagner padroneggia ormai il carattere drammatico della propria musica al punto da riconoscerle la facoltà di manifestare il contenuto drammatico anche attraverso forme apparentemente antidrammatiche. E nessuno dubiterà che dal quintetto del terz'atto, dove l'azione è sospesa e il dialogo è momentaneamente raggelato in un monologo multiplo, promani un'efficacia drammatica e non soltanto musicale: non si tratta certo d'un brano da concerto interpolato nel dramma.
Per altro verso, fraintende il senso del ricorso alle forme e ai moduli musicali del passato chi non percepisce il tono ironico-sentimentale d'esso artificio. L'affinità della musica dei Maestri cantori con la Barform storicamente documentata dei Meistersinger - una struttura strofica costituita di due Stollen (strofe, o piedi) musicalmente identici ma poeticamente diversi e un Abgesang (epodo) conclusivo diverso per musica e per testo dai due Stollen - è invero un giuoco. Dalla tecnica compositiva, il principio della mascheratura stilistica si estende anche alla forma. E misconosce radicalmente la peculiarità formale dei Maestri cantori colui che - come Alfred Lorenz nel suo libro sul «segreto» della forma wagneriana (Das Geheimnis der Form bei Richard Wagner) - erige la Barform, lo schema tripartito A A B, a principio strutturale fondante di tutti i Musikdramen e, grazie ad analisi di volta in volta addomesticate o violentanti, la riscontri per ogni dove.
Il Probelied, la canzone di prova di Walther nella scena finale dell'atto i («Fanget an!» / «Cominciate!»), è una Barform di dimensioni inconsuete: più di 160 battute complessive. I due Stollen, musicalmente eguali, sono articolati in due sezioni ciascuno: la prima chiude su una cadenza regolare, financo enfatica, e si distingue nettamente dalla seconda («In einer Dornenhecken» / «In una siepe di spini») anche nel carattere melodico. Difficile dunque rinfacciare al Merker Beckmesser cui per così dire Wagner rende musicalmente giustizia - di non percepire la tendenza di Walther alla Barform (A1 B1 A2 B2 C) e di interromperlo a metà del secondo Stollen (dopo A2) per aver inteso lo Stollen e mezzo, nella sua esorbitante lunghezza, come una forma tripartita e simmetrica d'un tipo diverso (A1 B1 A2). Dopo una lunga disquisizione dei Meistersinger, perplessi, Walther termina il Probelied («Aus finst'rer Dornenhecken» / «Dall'oscura siepe di spini»), senza peraltro riuscire - scenicamente - a sopraffare lo scompiglio dei maestri cantori. (Sotto il profilo musicale, però, la melodia del tenore Walther sovrasta trionfale sopra il cicaleccio del concertato: neanche dal drammaturgo di gran lunga più severo tra tutti gli operisti si potrà mai esigere che sacrifichi la melodia, che per amor di verosimiglianza scenica la soffochi sotto una recitazione tumultuosa.)
La forma è dunque ambivalente. L'ascoltatore ignaro prenderà dapprima il Probelied, proprio come Beckmesser, per una forma tripartita in sé conchiusa: per un'aria col daccapo. Ma l'apparente ricorso a uno schema operistico vetusto è illusivo. Il Probelied, finito di cantare soltanto in seguito (e in barba) all'interruzione, rivela che quella forma col daccapo (A1 B1 A2) era soltanto il torso iniziale d'una Barform regolare: la continuazione (B2 C), a differenza dall'inizio, non è in sé conchiusa, né autosufficiente, sicché per intenderne e motivarne il senso formale occorre riferirla ad esso inizio, scavalcando idealmente l'interruzione drammatica (che musicalmente equivale a un'interpolazione). Proprio in quanto forma musicale interrotta, di cui l'ascoltatore è costretto a ricostituire mentalmente l'integrità, il Probelied di Walther rappresenta l'impalcatura che tiene saldamente insieme l'intiera scena, per centinaia e centinaia di battute. Il fraintendimento di Beckmesser, vero motivo drammatico della scena, ha nel contempo un ruolo costitutivo essenziale nel suo assetto formale.
Wagner giuoca con la forma musicale fin dentro i minimi particolari. Non sarà certo casuale che la critica di Beckmesser a una canzone di cui egli per impazienza misconosce la corretta Barform adotti a sua volta lo schema formale della Barform, e però lo faccia nelle dimensioni consuete anziché nelle dimensioni esuberanti della melodia di Walther. Due motivi, quello del Cavaliere (o di Stolzing) e quello dell'Invidia di Beckmesser,

si raggruppano in un periodo d'otto battute, ripetuto con poche modifiche in modo da costituire Stollen e Gegenstollen, strofa e antistrofa: una terza sezione inizia col motivo cavalleresco ma termina diversamente, sicché è legittimo intenderlo come epodo (che secondo le regole dev'essere diverso ma non totalmente dissimile dalle strofe). Ora, nulla sarebbe più erroneo che voler ravvisare nella Barform - da Wagner usata eccezionalmente e, in questo caso, come umoristica, polemica «battuta» di spirito nel discorso musicale - un principio normativo valido per tutto Wagner. L'errore delle summenzionate analisi di Alfred Lorenz sta nell'equiparazione della Barform con un procedimento che invece deriva dalla tecnica dello sviluppo nel primo tempo di sinfonia: quel procedimento che consiste nel ricavare da due o tre motivi diversi un «modello», per poi trasporlo su altri gradi della scala, e per scinderlo infine in frammenti da elaborare separatamente. Chi chiama Barform, chi sigla A A B questi tre elementi - il «modello» originario, la sua ripetizione trasposta mediante progressione armonica, infine la sua scissione ed elaborazione - disconosce la radicale incompatibilità tra la forma del Lied e la forma sinfonica (per dirla con una formula: la Barform è «plastica», lo sviluppo sinfonico è «dinamico»).
Quel che qui s'intende dire lo si verifichi sulla sezione che segue immediatamente la protesta di Beckmesser testé citata («Ein Wort, Herr Merker» / «Una parola, signor Censore»). A prima vista sembrerebbe che - giusta i dogmi del Lorenz - il motivo del Cavaliere e quello dell'Invidia, raggruppati in altra guisa, costituiscano di nuovo una «strofa» e un'«antistrofa» (di nove e rispettivamente sei battute). Ma i motivi vengono alterati, non soltanto modificati, e la continuazione altro non è che una trasposizione delle ultime tre battute dell'«antistrofa», sicché non la si potrà rubricare come «epodo». Il passo in questione è un'elaborazione motivica di carattere sinfonico, non certo una canzone coniata nella Barform dei Meistersinger.


VI

Lo stesso intreccio di arcaicismo e modernità che dà la cifra stilistica complessiva dei Maestri cantori caratterizza anche l'uso della tecnica leitmotivica (ch'è però modificata al punto da rendere incerta l'adeguatezza medesima del termine Leitmotiv). Per dirla in poche parole: si può sì parlare d'una restaurazione melodica, ma d'una restaurazione procurata non tanto regredendo ad uno stadio anteriore quanto piuttosto - assai paradossalmente - desumendo l'espansione melodica dalla sua stessa antitesi, il motivo. I Leitmotive, che nell'Anello del Nibelungo e nel Tristano tendevano a estrema brevità e densità, quasi formule allegorico-musicali, nei Maestri cantori si combinano a comporre lunghi temi, distese melodie, senza che si possa mai pertinentemente decidere se il motivo sia un frammento della melodia o viceversa la melodia uno svolgimento del motivo. Ii rapporto resta indefinito.
Che i motivi non siano formule rigide bensì segmenti mobili e intercambiabili di temi e melodie è il presupposto necessario di quel fitto reticolo di rapporti motivici che all'interno delle singole scene collega a vicenda i temi. Paradigmatica la «scena del battesimo» nell'atto III, la scena in cui la prima versione dei Preislied, annotata da Hans Sachs, viene battezzata coi nome - invero sintomatico di quei certo manierismo che Wagner insinua nel proprio mondo «antico-tedesco» - di «melodia felice dei sogno svelato dei mattino» («selige Morgentraumdeut-Weise»). A un ascolto distratto parrà che i temi fondamentali della scena - il corale del Battesimo, il tema dei Maestri cantori, il motivo dell'Arte, gli accordi del Sogno di Walther, il motivo della Fanciulla - siano allineati l'uno all'altro come tante figure singole fortemente individuate, senza venir strettamente allacciati a vicenda. Una tale giustapposizione sarebbe perfettamente legittima sotto il profilo morfologico-musicale ove i temi si raggruppassero in una forma plastica e perspicua, etichettabile mediante uno schema alfabetico. Riesce però difficile leggere nella successione dei temi una qualsiasi forma chiusa (e sia pure dai contorni fluttuanti). La coesione musicale non risulta dalla subordinazione a uno schema formale, bensì dai raccordi motivici: la sua struttura - per ripetere una distinzione cara a Jacques Handschin - è «logica», non «plastica».
I temi, per quanto individuati e diversificati, sono raccordati da caratteri e ingredienti comuni.

Il motivo dell'Arte (b) non è altro che un frammento del tema dei Maestri cantori (a) con diversa prosecuzione. Il tetracordo ascendente ricompare nella prima frase del corale del Battesimo (c), che peraltro inizia con un intervallo di quarta discendente come il tema dei Maestri cantori. Ambo gli elementi, quarta discendente e tetracordo ascendente, compaiono invertiti nella seconda frase del corale (d), ch'è una variante della prima. E nel motivo della Fanciulla, infine (e), la quarta è bensì dilatata a una quinta, ma resta il tetracordo. L'unico motivo ad esser privo di siffatti raccordi con i motivi vicini sono gli accordi del Sogno, emblema musicale della «melodia del sogno svelato».
Il principio del raccordo motivico è strettamente connesso coi principio dell'elaborazione motivica - la tecnica dello sviluppo sinfonico -: in ambo i principii si imprime il conio di una musica concepita «logicamente» e non «plasticamente». È sintomatico che l'elaborazione motivica coinvolga financo un tema per sua natura estraneo e anzi refrattario alla tecnica sinfonica, il corale del Battesimo. All'inizio della scena («Ein Kind ward hier geboren» / «Qui è nato un bambino») vengono enunciate due righe dei corale: la prima viene indi ripetuta due volte da sola, infine la prima battuta viene scissa e ripetuta: il pensiero corre al procedimento della segmentazione progressiva nello sviluppo sinfonico. Gli estremi vengono a combaciare, ma senza violentarsi. L'arte - che solo i dilettanti presumono separabile dall'artificio - non è soltanto il tema dei Maestri cantori: n'è anche la caratteristica saliente.