BIOGRAFIA E LETTERE 1832


Al principio del 1832, Wieck e Clara si assentano per qualche tempo. Schumann, rimasto solo, misura tutto il vuoto lasciato nella sua vita dalla lontananza di quei due esseri tanto prodighi di affetto, di incoraggiamenti e (perché no?) di rimproveri.


Wieck imoartisce lezioni di piano alla figlia Clara

Per mettere a profitto il relativo isolamento in cui è caduto, pensa di fare il punto della situazione. Incomincia a domandarsi dove sia arrivato, che progressi abbia compiuto nella conoscenza musicale e nella conoscenza del cuore umano. Si esamina con ansietà, ma non riesce a formulare di se stesso un chiaro giudizio. È ancora troppo vicino alla linea di partenza; non ha ancora potuto superare la zona d'ombra. Continua a ripetersi: «Dunque? dunque?» e cerca di sfogarsi scrivendo lettere a Wieck: «Ha forse Lei conosciuto nella sua vita una alternativa come questa di luce e di tenebre? Fra coloro che l'hanno sperimentata, alcuni, come Mozart, sono riusciti a sfuggirvi; altri, come Hummel, ne hanno derivato una vera e propria lotta; altri, come Schubert, vi son restati immersi; altri, come Beethoven, ne hanno sempre riso». E aggiunge per Clara: «Ha scritto qualcosa? Sento ogni tanto della musica in sogno; dunque Lei compone».
Per conto suo ha appena terminato una Sonata in si minore e un quaderno di Papillons. Per ben comprendere queste seconde composizioni, bisogna immergersi nell'ultimo capitolo dei Flegeljahre di Jean-Paul. Schumann stesso indica le varie scene che ha voluto dipingere e i personaggi che ha inteso rappresentare: Danza delle larve, Walt, Vult, Maschere, Wina, Le danze di Vult, Lo scambio delle maschere, Confessioni, Collera, Rivelazioni, Partenza precipitosa, Scena finale e partenza del fratello. Checché Schumann ne dica, si tratta tuttavia di echi piuttosto che di illustrazioni del testo. Quando pretende descrivere, il musicista sembra smarrirsi: la sua ispirazione egli l'attinge dove gli piace, e il suo scopo è raggiunto non appena gli altri son costretti a condividere i suoi stati d'animo, son costretti a respirare le atmosfere sconvolgenti che la lettura di un sonetto o la contemplazione di un lago hanno suscitato dentro di lui. Non c'è dunque descrizione; c'è solo il propagarsi di un'emozione.
I Papillons sono dedicati alle cognate di Schumann: Terese e Rosalie. Ma possiamo esser sicuri della sincerità di questa dedica o non abbiam diritto di pensare che l'opera sia destinata in realtà soltanto a Rosalie?
Rosalie ha la stessa età di Robert ed è con lui molto affettuosa; si interessa della sua salute, del suo lavoro, dei suoi amori. La sera, quando nella prima oscurità tutto si fa più pacato, essa rivolge un tenero pensiero al ragazzo che immagina accanto al pianoforte, intento a comporre. Robert, in cambio, gode nel rievocare il dolce viso di lei, la morbida andatura; a poco a poco la colloca a fianco di Nanni Patsch e di Agnes Carus.
In maggio, al suo ritorno, Wieck fa l'elogio dei Papillons e Clara li suona in maniera incantevole. Invece
Dorn, per ragioni ignote, rifiuta di continuare a dar lezioni a Schumann. Questi, allora, decide di proseguir da solo nel cammino intrapreso. Apre il trattato del Marpurg [Friedrich Wilhelm Marpurg (1718-179), compositore, teorico e scrittore tedesco.] e ritorna con ardore al Clavicembalo ben temperato di Bach. Analizza Fughe e Preludi con minuziosità straordinaria, con rispettoso fervore e s'accorge che codesto esame, oltre che un eccellente esercizio musicale, costituisce uno studio morale e corroborante sull'umanità. Bach, infatti, fu veramente un uomo; un uomo in cui nulla rimase incompiuto, un uomo in cui nulla si trovò di malsano.
Sia la riscoperta del Clavicembalo, sia il presentimento di una sventura vicina, fatto è che Robert, in questo momento, dà ben poca importanza al suo avvenire di pianista e si sente terribilmente portato verso la composizione. Confessa che preferirebbe poter scrivere «Opera 20» in fronte ad un lavoro ispirato, tale da poter determinare la sua sorte, piuttosto che correre per l'Europa a dare concerti.
Ma con uno di quei movimenti contraddittori che gli sono abituali, Schumann si applica intanto a dominare la tastiera del pianoforte. Vuole che l'istrumento stia obbediente e scrosciante sotto le sue dita. A un tratto, gli viene l'idea di immobilizzare l'indice della mano destra, convinto che, se riuscisse ad eseguire con quattro dita soltanto i pezzi di bravura contenuti nei Concerti di Hummel, quando adoprerà tutte le dita l'effetto e il risultato saranno addirittura stupefacenti. Chi può il più, può il meno, dice il proverbio. Schumann è talmente sicuro della sua trovata che si accanisce a fare esercizi ciclopici in grande segreto, fino al momento in cui la sua casa si trasforma in una farmacia. Il dito, immobilizzato a forza, minaccia di cadere in paralisi. Il professor Kuhl, chiamato a consulto, lascia intravvedere una speranza di guarigione, ma non prima che passino sei mesi...
L'infermo viene curato con cataplasmi ed è anche costretto a stare ore ed ore con la mano a bagno nell'acquavite. La notte deve portarla al collo, legata a una fascia piena di erbe.
Proibizione di suonare. Partiti Wieck e la figlia per Parigi, il giovanotto si annoia. Il caso si congiunge alla vocazione per fargli allora capire che la gioia e l'espressione del suo genio non potranno trovarsi se non nel rifugio sublime della composizione. Passa così definitivamente, dal campo degli interpreti a quello dei creatori. Avendo terminato sei Intermezzi, gli Studi per pianoforte sui Capricci di Paganini, la Toccata dedicata ai fratelli, si accinge ora a una Sinfonia. L'opera si costruisce d'un fiato; ma Schumann è assai imbarazzato per quel che riguarda la strumentazione. In novembre si rivolge a G. W. Muller per pregarlo di fargli da guida attraverso quella foresta che è un'orchestra. Devono sbrigarsi tutti e due perché è stabilito che Clara darà un concerto a Zwickau, e che, allora, verrà eseguito almeno un tempo della Sinfonia.
Triplice momento di felicità: Zwickau, Clara, la Sinfonia! Schumann lavora senza posa, poiché per la partenza tutto è pronto, all'infuori della Sinfonia. Avverte la madre della sua prossima visita e della sua inclinazione sempre più forte per il silenzio: «Se parlo poco, non è per malumore né per malinconia; taccio volentieri quando sono assorto nei miei pensieri, nella lettura di un libro, nella considerazione di un'anima». Parla anche della sua mano che considera inguaribile e dell'intenzione di rimettersi al violoncello.
Il concerto ha luogo il 18 novembre. L'atteggiamento di Clara, sotto lo scrosciar degli applausi, è commovente. Schumann ne resta incantato, ma, nello stesso tempo, è desolato di constatare la freddezza con cui il pubblico ha accolto la sua giovane Sinfonia.
Schumann passa a Zwickau tutto l'inverno. Se ne allontana soltanto per qualche breve visita a Schneeberg, dove abitano Carl e Rosalie Schumann.
I prati fra cui scorre la Mulda sono bellissimi sotto la neve, e i sentieri familiari hanno il massimo incanto che hanno in estate. Quando la temperatura è inclemente, Robert si tappa nello studiolo caro alla sua infanzia per lavorare e sognare in piena libertà. Sua madre non ha mosso una sola delle partiture ammucchiate in un angolo; i libri dormono come bastimenti e i sigari hanno il profumo della Virginia. È lì che Schumann si prepara a spedire gli Intermezzi all'editore Hofmeister; lì rifà da capo la Sinfonia e medita un Concerto per pianoforte e orchestra. Attualmente, la sua ambizione è quella di tornare a Lipsia per febbraio, con la Sinfonia finita sotto il braccio e di dirigerla lui stesso per portarla al successo. Sente in sé la vocazione del direttore d'orchestra.

***

Il 4 gennaio 1832 completò una serie di variazioni su un tema originale scritte per Clara Wieck e, contemporaneamente, una serie di pezzi per pianoforte formata dai valzer dell'anno precedente, da versioni rivedute delle polacche a quattro mani del 1828 e da composizioni nuove; i pezzi furono intitolati Papillons e collegati agli episodi del ballo mascherato nel romanzo di Jean Paul Flegeljahre. Kistner li pubblicò in aprile come op. 2.
Nell'aprile 1832 Heinrich Dorn decise di non proseguire le lezioni di basso continuo e contrappunto. Schumann fu costretto a continuare i propri studi sull'Abhandlung von der Fuge di Marpurg per la parte teorica, facendo riferimento al Wohltemperirte Clavier di Bach per gli esempi pratici. I Wieck fecero ritorno agli inizi di maggio, ma Schumann non tornò ad alloggiare presso di loro (aveva lasciato la casa alla loro partenza), né sembra che si riprendessero le lezioni di pianoforte. Intorno a questo periodo cominciò ad avere seri problemi con le dita; la cosa è stata attribuita spesso all'uso di un apparecchio meccanico come aiuto all'esecuzione pianistica. A questo congegno si fa risalire anche la menomazione a un dito che pose fine alle ambizioni di intraprendere una carriera virtuosistica; può anche darsi però che la debolezza dell'indice e del medio della mano destra, anteriore all'uso del congegno meccanico, derivasse da un avvelenamento da mercurio prodotto da una cura per la sifilide.
Le composizioni della primavera e dell'estate 1832 comprendono un Exercice fantastique op. 5 (che risulta perduto), dedicato a Kuntzsch e a volte confuso con il precedente Etude fantastique op. 6 (cioè la Toccata op. 7, la cui seconda versione fu completata appunto in luglio); trascrizioni per pianoforte di sei Capricci di Paganini per violino solo; una raccolta di Pièces phantastiques (o Intermezzi) per pianoforte, per lo più nuove, ma contenenti parti di precedenti composizioni; un Fandango: fantaisie rhapsodique pour le pianoforte, Oeuv. 4,

poi ampliato nel primo movimento della Sonata per pianoforte in Fa diesis minore; una serie di «XII Burlesken (Burle) nello stile dei Papillons» che più avanti, nel corso dell'anno, Schumann propose invano a Breitkopf & Härtel, delle quali una è sopravvissuta forse come op. 124 n. 12 e altre probabilmente come op. 124 nn. 1, 3 e 15; e l'Intermezzo del terzo movimento della Sonata in Fa diesis minore. Gli Studi da Paganini, gli Intermezzi e la Toccata furono pubblicati da Hofmeister di Lipsia. In ottobre Schumann si imbarcò in un'impresa molto più ambiziosa; in luglio aveva confidato al suo vecchio insegnante Kuntzsch l'intenzione di studiare «lettura della partitura e strumentazione» e il 2 novembre si rivolse a Gottlieb Müller, violinista del Gewandhaus e direttore d'orchestra dei 'concerti Euterpe', con la richiesta di «lezioni di strumentazione» e di «esaminare insieme a Lei un movimento di sinfonia di mia composizione», su cui aveva «lavorato quasi interamente seguendo le mie idee e senza una guida». Circa quindici giorni dopo portò con sé la partitura di questo movimento in Sol minore a Zwickau, dove trascorse i quattro mesi dell'inverno (recandosi anche nella vicina Schneeberg) e dove Clara Wieck e il padre diedero un concerto il 18 novembre; nell'occasione fu eseguito anche questo movimento sinfonico. [ABRAHAM]

***

A Federico Wieck (Francoforte sul Meno)
Lipsia, 11 gennaio 1832

Io potrei facilmente, mio venerato Amico e Maestro, cominciare la mia lettera con: «E così via...» poichè io Le ho scritto per lo meno ad ogni ora del giorno - mentalmente, s'intende. Oggi, finalmente, ho presa la ferma risoluzione di non riporre la penna prima che questa lettera sia terminata. In primo luogo, riceva tutti i miei migliori rallegramenti per i successi di Clara. È vero che, per quanto il mondo dimentichi sin troppo facilmente, è tuttavia raro che lasci passare inosservato ciò che è straordinario. Oserei paragonarlo ad un branca di vacche che quando lampeggia alza gli occhi verso il cielo e poi si rimette tranquillamente a pascolare; quei lampi si sono chiamati Schubert, Paganini, Chopin ed ora Clara.
Lei non può immaginare quanto ardentemente io desideri rivedere essa e Lei. Mi devo sempre far incoraggiare da qualcuno: tra i miei pari o tra coloro che non posso autorizzare a giudicarmi, divengo facilmente superbo ed ironico. Con Dorn [33]
non mi potrò mai amalgamare: egli vorrebbe farmi considerare la «fuga» come musica. Cielo! sino a qual punto gli uomini differiscono di opinioni! Tuttavia io riconosco che gli studi teorici hanno una buona influenza su di me. Mentre prima tutto era dovuto all'ispirazione del momento, ora vedo più chiaramente il gioco del mio entusiasmo, e m'arresto talvolta per constatare ove sono arrivato. Ebbene, Lei forse ha avuto un simile chiaroscuro nella Sua vita. Qualcuno vi sfugge, come Mozart; altri lottano, come Hummel: altri vi restano imprigionati, come Schubert; altri ne ridono, come Beethoven. Senza dubbio, quest'è un'opinione.
Ma che cosa ne è di Lei? Non si spaventi se la mia lettera non segue un ordine logico; ho tante cose da dirLe che so a mala pena da dove incominciare. Dunque: ho tra le mani la prima opera di Chopin (io credo che sia veramente la decima). Una signora direbbe ch'essa è molto graziosa, molto piccante, quasi «moschelesca». Io credo che Lei la farà studiare a Clara; è una composizione piena di spirito e presenta poche difficoltà; ma io sostengo modestamente che tra quest'opera e l'op. 2 non corrono meno di due anni dintervallo e forse una ventina di produzioni [...].

Acclusa a questa lettera c'era la seguente per Clara

Cara e stimata Clara,

Come avrei potuto trattenere un leggero sorriso leggendo ieri nella didascalia: Variazioni di Herz. ecc., suonate dalla signorina Clara Wieck? Oh, mi scusi, rispettabilissima signorina! C'è tuttavia un modo di designare le persone che è il più bello di tutti - ed è quello di non anteporre nulla al loro nome... Chi si sognerebbe di dire: il signor Paganini o il signor Goethe? Io so che Lei ha un cervello posato e che comprende il Suo vecchio e lunatico mittente di sciarade. Dunque, cara Clara, io penso spesso a Lei, non come il fratello pensa alla sorella o l'amico all'amica, ma come un pellegrino pensa alla lontana immagine dell'altare. Durante la Sua assenza sono stato sino in Arabia, per poterLe narrare al Suo ritorno tutte le favole che potranno piacerLe: sei nuove storie di sosia, cento e una sciarade, otto scherzosi indovinelli e infine le più terribili e belle avventure di briganti e quelle d'uno spettro bianco. Oh, come rabbrividisco!
Alvino [34] è divenuto un giovane gentile; il suo nuovo vestito blu e il suo berretto di cuoio, che rassomiglia al mio, gli stanno a perfezione. Di Gustavo ho poche cose sorprendenti da narrare, se non che egli è cresciuto in modo così stupefacente che Lei ne rimarrà meravigliata. Clemente è il ragazzo più comico, più amabile e più testardo ch'io conosca: egli non parla che in musica ed ha una voce assai sonora; anch'egli è cresciuto molto. Per parlare del cugino Pfund, egli è, a Lipsia, colui che (eccettuato me) ha la maggiore nostalgia di Francoforte.
Ha composto qualche cosa? E che cosa? In sogno sento talvolta della musica. Dunque, Lei compone. Con Dorn, sono arrivato alla fuga a tre voci. Oltre a ciò, ho terminato una «Sonata in si min.» e un quaderno di «Papillons ». Quest'ultimo verrà stampato tra 15 giorni. Dorn darà un concerto tra quattro settimane. Al concerto polacco trecento persone hanno dovuto rinunciare ad entrare, talmente piena era la sala. Oggi il tempo è magnifico. Le piacciono le mele di Francoforte? E come sta il fa sottolineato tre volte nelle «Variazioni primaverili» di Chopin?
Il foglio di carta è alla fine. Tutto termina, fuorché l'amicizia con la quale io rimango il più ardente ammiratore della signorina C. W.

A Enrico Dorn [35]
Lipsia, 23 aprile 1832

Egregio Signor Direttore,
che cosa ha potuto indurLa ad una così brusca rottura dei nostri rapporti? Certamente io ho abusato tanto spesso della Sua indulgenza, che Le son divenuto insopportabile. Ma non avrei mai creduto che, giunto così vicino alla mela, sarei stato abbandonato dalla mia guida; ché appena ora, dopo aver aiutato due dei miei conoscenti a seguire sino alla fine il Suo insegnamento, ne ho riconosciuto la profondità e la sicurezza. E quante volte, con una parola gettata a caso, Lei m'ha chiarito ciò che al momento mi sembrava senza importanza (in ispecie a proposito degli intervalli), e che io credevo d'aver compreso, mentre non era così.
Non pensi che, dopo la nostra separazione, io sia rimasto o divenuto uno sfaccendato. Ma m'è sembrato che la mia natura respingesse tutti gli impulsi che venivano dall'esterno, e che dovessi trovare da me stesso l'ispirazione per poi elaborarla e collocarla al posto giusto. Ho dunque continuato con circospezione il lavoro dalla pagina in cui eravamo rimasti, e non abbandono la speranza (glielo confesso) di udire ancora una volta da Lei le regole del canone. Io riconosco l'assoluta necessità della teoria; lo sbaglio pericoloso sta unicamente nell'esagerazione o nell'errata applicazione. In un rifacimento per piano del Capriccio di Paganini, ho sentito la mancanza della Sua collaborazione, perchè ero spesso incerto sulle note basse, e mi son tratto d'impaccio a mezzo della semplicità. Inoltre, ho terminato sei Intermezzi con alternative, un Preludio con una fuga finale a tre Temi in vecchio stile (si figuri!) che sarei felice di sottoporre al Suo giudizio. Ora mi rivolgo la domanda: «Perchè è stata scritta questa lettera?» Devo rispondere: «Per la mia soddisfazione personale». Non è ciò egoismo?
Ma mi scusi, e perdoni al Suo devoto scolaro.

Alla madre
Lipsia, 8 maggio 1832

Mia adorata mamma,
ho riletto ora le tue tre ultime lettere, di cui due sono del gennaio, per rispondere fedelmente a tutto ciò che forse potrei aver dimenticato. Per darti un quadro esatto dei miei pensieri e del mio modo di vivere nei mesi trascorsi e forse per fornirmi una scusa, vorrei trascriverti qualche pagina del mio diario, ma, durante questi mesi, esse sono rare e insignificanti. «L'artista deve mantenersi in equilibrio con la vita esteriore; altrimenti viene sommerso». Fu proprio ciò che io stesso feci anzitutto; forse questo contribuì a ricondurmi verso il mio intimo, che prima, causa i viaggi ed una vita esteriore animata, si soffermava piuttosto sulle cose esterne.
Ma siccome tuo figlio è piuttosto smoderato, sia nelle cose ragionevoli che in quelle assurde, accadde lo stesso con quest'auto-indagine, che divenne un'osservazione attenta d'ogni mio sentimento e degenerò in ipocondria. Essa m'impedì di riconoscere chiaramente la posizione che avrei dovuto occupare in futuro; ma, da per sè, era deleteria e opprimente. Inoltre, per quanto l'arte avesse per me nella sua azione e nelle sue tendenze, che non hanno mai posa, un'attrattiva enorme, tuttavia ero tanto vanesio da credere che nell'altra vita - quella pratica - non adempiessi completamente il mio compito. Rientrai in me stesso, ed esaminai più attentamente la mia esistenza trascorsa; cercai di farmi un quadro esatto delle mie attitudini, della mia importanza, delle mie possibilità produttive e passive, senza arrivare ad alcun resultato positivo. E siccome le cose più belle e più sublimi, quando non sono poste al giusto livello o quando si abusa di loro, producono il disgusto o l'indifferenza, riconobbi ben presto che soltanto lo studio intelligente, profondo, sincero e scrutatore facilita il progresso e mantiene all'arte il suo fascino. Ciò è particolarmente vero per la musica, che attrae con tanta facilità, ma poi, a lungo andare, esaurisce l'interesse. È perciò che io, da molto tempo, provo grande insofferenza per la mia vita borghese.
Wieck, il solo che frequento spesso e volentieri, perché c'interessiamo l'uno all'altro, era partito per Parigi; Lühe [36] veniva a trovarmi tutti i giorni, ma le sue opinioni convenzionali sulla vita, per quanto sagaci, non m'inducevano a legarmi più intimamente con lui; Maurizio Semmel, che ho sempre stimato per il suo giudizio, la ferma volontà e la predilezione per lo studio, era il solo che mi soddisfacesse per la sua visione chiara e serena della vita; ma le mete totalmente opposte delle nostre esistenze ci allontanano vicendevolmente, cosa che a me riesce inesplicabile, perché invece ognuno di noi potrebbe dare all'altro ciò che gli manca. Allora mi sentii sempre più solo, e questo stato di cose finì col farmi piombare in un'atonia, che fu bilanciata soltanto dall'odio che ho sempre nutrito per l'inattività.
Usciranno ora due opere mie. Wieck, al cui giudizio, sotto certi riguardi, ci tenevo molto perché è raramente unilaterale, era assente. Dorn, il mio professore di teoria, ha fatto maturare il mio spirito, aiutandomi ad acquistare, per mezzo di uno studio assiduo, la bella chiarezza che spesso m'era mancata, ma di cui avevo già intuito il valore. Da allora la mia vita è cambiata; io sono solo. Quasi esitante, consegnai il mio manoscritto; ma ora, eccolo stampato, messo sotto gli occhi di tutto il mondo, sottoposto al giudizio di tutti. Qualche voce s'alza per parlarne, le une con moderazione, altre per elogiare, altre ancora per criticare. In certe notti insonni, vedo un quadro lontano, come un miraggio. Mentre trascrivo i «Papillons», sento svilupparsi in me una certa personalità, che non piace ai critici. Le farfalle volano ora nel vasto e superbo mondo primaverile: la primavera stessa, un bel fanciullo dagli occhi azzurri come il cielo, si arresta alla mia porta e mi guarda. Ed io comincio a comprendere lo scopo della mia esistenza, rompo il silenzio, e la mia lettera giunge a voi...
Tu hai ora, mia cara mamma, il quadro della mia vita e delle lotte della mia anima: i miei silenzi e le mie lettere ti sono stati chianti. Quante volte ho pensato a te, e tu mi sei apparsa in sogno quantunque sempre minacciosa e sotto una forma terribile. Prendevo allora il tuo ritratto, ne vedevo l'espressione affettuosa e mi Sembrava che tu sorridessi. Credimi, che non t'ho voluto mai scrivere per non turbarti lasciandoli intravvedere le mie debolezze, le continue oscillazioni tra l'intenzione e l'esecuzione che erano una conseguenza di quella crisi. Ma la tua ultima lettera era così riboccante di tenerezza, che un più lungo silenzio sarebbe divenuto una colpa.
Se volessi dipingerti la mia vita domestica, dovrei forse dirti che essa è italiana al mattino e fiamminga la sera; sarebbe perfettamente esatto. La mia abitazione è decorosa, spaziosa e comoda. Verso le cinque del mattino salto dal letto come un capriolo, poi mi occupo del mio libro dei conti, del mio diario e della mia corrispondenza. Fino alle undici studio, compongo e leggo un poco, alternativamente. Alle undici, ogni giorno, viene Lühe, che è per me un perfetto modello di ordine e di puntualità. Poi faccio colazione, e nel pomeriggio leggo un po' di francese o i giornali. Dalle tre alle sei vado regolarmente a passeggio, quasi sempre solo e verso Connewitz. È veramente stupendo, ed io ti chiedo, come chiedo a me stesso: «Non si può vivere come in paradiso, conducendo una vita semplice, frugale e senza pretese?» Allora posso incrociare le braccia e confessare a me stesso che non è necessario cercare il vero benessere in America! Rientro verso le sei in casa, fantastico sino alle otto, e vado generalmente a mangiare il mio pasto serale da Kömpel e Wolff. Infine ritorno a casa.
Siccome sono sincero con te, mia buona madre, ti confesserò senza arrossire che questo programma di esistenza fu spesso disturbato nel febbraio e nel marzo, e dovette subire spesso delle eccezioni che quasi divennero regola. Tu stessa hai chiesto a Rascher se davvero bevo troppo. Credo che egli abbia preso le mie difese: io non l'avrei fatto, poichè c'era in ciò un fondo di verità. E siccome la birra bavarese era per me piuttosto un'abitudine prosaica che una passione poetica, non fu cosa facile il disabituarmene; è infinitamente più semplice liberarsi da una passione che da una vecchia consuetudine... E se tu mi chiedi se l'ho dimessa, ti risponderò con la mia voce più ferma: «Sì»...

Alla madre
Lipsia, 14 giugno 1832

Mia cara mamma,
Rosalia ha certo chiacchierato, perchè tu hai scelto per l'appunto gli oggetti che desideravo e di cui avevo bisogno. Il fazzoletto da taschino è splendido, soprattutto con l'abito blu. Ricevi tutti i miei affettuosi ringraziamenti per la tua cara lettera e per i tuoi doni così belli e utili. Tali manifestazioni idilliche - come pure il denaro - mi rallegrano più di una dozzina di poesie sentimentali in occasione del compleanno o molte elocuzioni morali. Se non ho risposto subito alla tua lettera, ne è colpa la tarda ora in cui l'ho ricevuta. Ieri sera, dopo una passeggiata con Edoardo, Wieck e Clara, abbiamo bevuto insieme una bottiglia di Laubenheim sino alle undici, assai contenti e in piena cordialità. Nel pomeriggio, ero andato solo a Zweinaundorf, col cervello e il cuore pieni d'una gioia divina e di progetti felici per l'avvenire. In quali disposizioni diverse son venuto tre anni fa in questo stesso luogo! Quanto indeciso, incerto era allora il corso dei miei pensieri! E come mi sento ora più fermo e più sicuro; come sono in equilibrio la fantasia e la coscienza e come son divenuti inseparabili i miei pensieri e i miei sentimenti!
Quando, rientrato in casa, trovai le vostre lettere, fui veramente felice, e pregai il mio angelo custode di continuare a guidarmi in modo da potervi dare le più grandi gioie. Gli affari di Edoardo e il lutto che affligge così profondamente il cuore di Rosalia m'avevano spesso preoccupato, e avevo preso la risoluzione d'incoraggiare Edoardo con la speranza in tempi più felici, che gli permetteranno di considerare come un beneficio il ricordo delle sciagure trascorse. Edoardo sembrava, malgrado le numerose speranze deluse, così calmo, così dignitoso, tanto attivo e ponderato, che non sentivo nessun timore per lui. Ma non potrei dipingerti meglio la sua gioia, quando gli consegnai il denaro che lo salvava dall'urgente crisi in cui si dibatteva, che dicendoti d'aver veduto dinanzi a me gli occhi pietosamente rassegnati d'un uomo depresso che ritrova d'un tratto la felicità di vivere, riempirsi di splendore e di speranza! Ieri, questa in per me una scena indimenticabile... Volevo dapprima scriverti una lunghissima lettera, ma oggi non posso trascurare Giulio, Rosalia ed Emilia, che mi pensano e mi scrivono spesso con tanto affetto. Nelle lettere che scrivo a loro, potrai seguire quasi in ogni dettaglio la mia vita intima.
Troverai acclusa una lettera di Hummel, la prima che mi capita tra le mani. Secondo la data dovrebbe essere la sua ultima.
Sento dire da tutte le parti che i «Papillons» piacciono ovunque. Ne parlo estesamente nella mia lettera a Giulio, e gli mando una recensione gentile che ne è stata fatta. Wieck e Clara mi dimostrano molto affetto; Edoardo prova per essi una simpatia, che è d'altronde reciproca.
Egli ti parlerà della strana disgrazia che m'ha colpito [37]. A causa di ciò, lunedì prossimo dovrò andare a Dresda. Wieck m'accompagnerà. Quantunque io faccia questo viaggio per consiglio medico ed anche per distrarmi, ciò mi costerà lo stesso un notevole sforzo. In ogni caso, vi scriverò da Dresda. T'abbraccio con tenerezza e rispetto.

Alla madre
Lipsia, 9 agosto 1832

Cara mamma,
tutta la mia casa è divenuta una farmacia. La mia mano m'impensierisce, ma a bella posta ho esitato prima di consultare un medico, tanto temevo un'operazione. Per dire il vero, temevo soprattutto ch'egli mi dichiarasse l'incurabilità del male. Facevo già in segreto dei progetti per l'avvenire. Ero deciso a dedicarmi allo studio della teologia (non della giurisprudenza!) e ornavo già la mia abitazione parrocchiale di immagini viventi, la tua ed altre ancora. Alla fine, sono andato dal professore Kühl e gli ho chiesto di dirmi in piena coscienza se potevo guarire. Dopo aver alquanto tentennato il capo, mi disse: «Sì, ma non tanto presto, cioè non prima di sei mesi».
Quand'ebbi udito il «sì», un peso mi cadde dal cuore e feci con gioia tutto ciò ch'egli mi ordinò; e lion era poco! Cioè, fare dei «bagni animali» (fatti spiegare ciò da Schurig), tenere tutto il giorno la mano tuffata in un bagno d'acquavite calda, e la notte tenere il braccio fasciato in un impacco d'erbe, e suonare il piano il meno possibile. La cura non è delle più piacevoli, e temo che si trasmetterà in me qualche cosa della natura animale...; ma del resto è molto fortificante: sento in tutto il corpo tanta forza e tanta vitalità, che... ho sempre voglia di bastonare qualcuno!...
Perdonami, cara mamma, questa chiacchierata! Non ho bisogno di dirti che, date queste circostanze, non posso pensare ad un viaggio a Zwickau. Che però il tuo figliolo ti verrebbe incontro a braccia aperte se tu venissi a fargli una visita, puoi star sicura! Fanne la prova! Tu non potresti abitare da me - Edoardo lo sa -, ma perchè non andresti all'albergo ? Vi si possono trovare delle stanze magnifiche per un mese a un prezzo assai moderato. Sarebbe molto comodo. Io provvederei a tutto. Emilia non avrebbe forse voglia di venire con te o per lo meno di accompagnarti? Ho un vivo desiderio di rivederla.
Per la medesima ragione, anche il viaggio a Vienna è per il momento rimandato. Se guarisco del mio male, vi andrò dopo un soggiorno da voi. A Dresda si può andare soltanto quando si ha nome e fama; due cose che lì è assai difficile conquistare. Reissiger [38] non mi seduce; egli segue un cammino diverso dal mio. Io considero ancora la musica come il più nobile linguaggio dell'anima; a taluni essa colpisce, come un brusio, l'orecchio; per altri è un'operazione matematica, e la esercitano in tal maniera. Tu scrivi molto giustamente: «Ogni uomo deve agire per il bene di tutti». Io aggiungo: «Ma non sino alla volgarità». È salendo che s'arriva in cima alla scala. Per nulla al mondo vorrei che tutti gli uomini mi comprendessero...
Ti raccomando di leggere eon attenzione l'ultimo numero della «Cometa», in cui io ho scritto dei «Ricordi sui concerti di Clara Wieck». Forse tu riconoscerai il mio stile.
Ti prego di trattare con rispetto la vecchia musica rimasta in camera mia; più tardi essa servirà a distrarmi. La giornata di domani sarà seria, consacrata al passato. Penso a mio padre con un ardente e rispettoso ricordo.
Abbraccio te e tutta la famiglia con cuore devoto.

Alla madre
Lipsia, 6 novembre 1832
ore 2 del mattino

Mia cara mamma,
quante cose liete ho da raccontarti oggi! La prima - la certezza che noi ci rivedremo tra 14 giorni - m'ha talmente assorbito durante la notte, da farmi balzar presto presto giù dal letto per scrivere e lavorare. La seconda è che Wieek e Clara daranno un concerto da voi, e la terza che una mia sinfonia vi verrà eseguita. Troverai in ciò, mia buona mamma, la scusa della lunga pausa nella mia corrispondenza. Da 15 giorni lavoro indefessamente, e temo e dubito di non essere pronto per quell'epoca. Ho disdetto il mio alloggio per due mesi (se tu consenti a tenermi così a lungo presso di te) e ho dato a nolo a Lühe il mio pianoforte. In breve, tutto è pronto per la partenza... eccetto la sinfonia. Qualche cosa m'opprime: ho ancora da pagare circa cinquanta talleri e ho poca speranza di potermeli procurare. Come? Se tu o i miei fratelli poteste privarvi di tanto ora, mi fareste un piacere infinito. Vi chiedo una risposta immediata in proposito.
Per ciò che riguarda la mia mano, il dottore mi consola sempre. Io per parte mia, Sono completarnente rassegnato e la ritengo inguaribile. A Zwickau riprenderò a studiare il violoncello (per il quale non si adopera che la mano sinistra); mi sarà molto utile per comporre sinfonie. Intanto la mano destra si riposerà, poichè il riposo è la sola buona cura. Ciò che t'ho scritto sulla teologia era soltanto un'idea passeggiera, nata senza dubbio durante un accesso d'ipocondria; ora non vi penso neppur più. Conduco una vita molto regolata e lavoro giudiziosamente e tranquillamente. Non aver dunque mai timore per l'avvenire. Quanto mi rallegro al pensiero di rivederti, mia buona, ottima mamma.
Ancora una cosa: se talvolta sono silenzioso, non credermi malcontento o melanconico. Parlo poco quando sono immerso nei miei pensieri, in un libro o in un cuore. Negli ultimi tempi ho appreso da varie parti notizie rallegranti e piacevoli. Clara ti darà molto da pensare. Wieck è sicuro (come pure io) che Edoardo non gli rifiuterà il suo piano a coda. Io lo chiedo a lui e a Teresa, in nome mio e di Wieck, verso il quale ho tanti obblighi.
Addio, buona e cara mamma.