ROBERT SCHUMANN

BIOGRAFIA - LETTERE 1830



Nel '30 ascolta Paganini a Francoforte e forse questa nuova esperienza lo porta alla decisione definitiva. Dopo la difficile scelta tra poesia e musica, scelta già avvenuta negli anni giovanili allorché gli era sembrato che solo il linguaggio dei suoni potesse dire l'indicibile ed esprimere quella completa comunione con il cosmo verso cui il suo essere anela, Schumann da due anni si trova ad un bivio: da un lato una solida professione borghese per cui non è portato, dall'altro l'avventura musicale affrontata oltretutto ad un'età ormai avanzata.

Ora finalmente anche questo nodo si scioglie; decide per la strada che gli è più consona e comunica ciò alla madre, avvilita e sconcertata poiché contraria ad una scelta tanto rischiosa. Nella famosa lettera del 30 luglio 1830 scrive:

Tutta la mia vita è stata una lotta di venti anni tra la poesia e la prosa, cioè tra la musica e la giurisprudenza. Nella vita pratica, come pure nell'arte, io mi sono posto il più alto degli ideali. Questo ideale consisteva per l'appunto in un lavoro pratico e nella speranza di lottare con successo in una vasta sfera di attività. Ma che cosa sono queste mire, soprattutto in Sassonia, per un plebeo senza grandi protezioni, nè mezzi, e che non prova un amore inveterato per la mendicità giuridica, nè per la lotta pel centesimo? Ho vissuto a Lipsia spensieratamente, senza preoccuparmi d'un piano per l'avvenire; ho sognato, girovagato, e non ho posto nessuna base giusta alla mia vita. Qui ho lavorato di più, ma tanto qui quanto là sono stato sempre più profondamente attratto dall'arte. Ora sono arrivato ad un bivio, e mi spavento alla domanda: dove vado? Se seguo il mio genio, esso mi condurrà verso l'arte, e questa è, credo, la mia giusta via. Ma sinceramente - non prendere in mala parte ciò che ti scrivo teneramente - m'è sempre sembrato che tu mi ostacolassi quel cammino (per delle buone ragioni materne, che io pure comprendevo; tu ed io ci preoccupavamo d'un avvenire oscillante e d'un pane quotidiano incerto). Ma più tardi? Può esistere per un uomo più grande preoccupazione di quella d'un avvenire infelice, insipido e senza via d'uscita, che egli s'è preparato da sè? D'altra parte, scegliere una direzione del tutto opposta alla precedente educazione e determinazione non è neppur facile e richiede molta pazienza, fiducia, e un rapido perfezionamento. Io sono ancora nella gioventù della immaginazione, che l'arte può coltivare e nobilitare; sono giunto alla convinzione che, con pazienza e diligenza e sotto la guida d'un buon insegnante, sarei, tra sei anni, capace di gareggiare con qualunque pianista, giacchè infine suonare il pianoforte non richiede che meccanismo e destrezza. Di tanto in tanto ho anche fantasia, e forse la capacità creatrice si svilupperebbe in me. Ed ora la domanda: l'una o l'altra via? Poichè una sola può sussistere nella vita per renderla grande e giusta. Ed io non posso darmi che questa risposta: intraprendi qualcosa d'onesto e di regolare, e arriverai alla meta con la calma e la fermezza.
A questa lotta, mia cara madre, io sono più deciso che mai, talvolta temerario e fiducioso nella mia forza, nella mia volontà, tal'altra anche inquieto, se penso alla lunga strada che potrei aver compiuto, e che devo ancora percorrere. Per quanto concerne Thibaut, è già da molto tempo ch'egli mi indica l'arte come l'unica meta per me. Desidererei che tu gli scrivessi una lettera, il che gli farebbe piacere; è partito per Roma da qualche tempo, sicchè io non posso più parlargliene. Se continuassi a studiar legge, bisognerebbe assolutamente che rimanessi ancora un inverno qui per seguire il corso di Thibaut sulle Pandette, come devono fare tutti gli studenti. Se invece resto fedele alla musica, bisogna, senza discussione, che abbandoni Heidelberg per ritornare a Lipsia. Là ritroverei Wieck, in cui ho piena fiducia, che mi conosce e può giudicare le mie forze. Con lui potrei portare i miei studi al perfezionamento. Più tardi dovrei trascorrere un anno a Vienna, e studiare, possibilmente, con Moscheles. Ora mia cara madre, una preghiera, che forse esaudirai volentieri: scrivi tu stessa a Wieck a Lipsia, e chiedigli di dirti, senza reticenze, ciò ch'egli pensa di me e del mio progetto [22]. Ti prego di darmi una risposta pronta e decisa, affinchè io possa affrettare la mia partenza da Heidelberg, quantunque mi sia assai penoso il distacco da questa città, ove lascio tante buone persone, dei sogni incantatori e una natura simile al paradiso! Se ti pare, includi questa lettera in quella che scriverai a Wieck; in tutti i casi bisogna che la questione sia risolta prima di S. Michele, e allora sicuro, forte e senza lacrime, m'incamminerò verso la mèta prefissa. Tu comprenderai che questa lettera è la più importante che io abbia mai scritto e che mai scriverò. Dunque esaudisci di buon grado la mia preghiera e rispondimi molto presto; non c'è tempo da perdere. Addio, mia cara mamma, e non temere nulla. Chi s'aiuta, il Ciel l'aiuta.
Per questa lotta, mamma carissima, sono più risoluto che mai, e fiducioso nella mia forza e nella mia volontà, ma inquieto anche, se penso alla lunga strada che potrei già avere dietro di me e che devo ancora percorrere. Quanto a Thibaut, è già da gran tempo che mi indica l'arte come quella che deve essere la mia meta. Vorrei che tu gli scrivessi una lettera, gli farebbe piacere. Se io continuassi a studiare diritto dovrei passare qui ancora un inverno per seguire le lezioni di Thibaut [...]. Se resto fedele alla musica, bisogna senz'altro che lasci Heidelberg per ritornare a Lipsia. Là ritroverò Wieck che gode di tutta la mia fiducia, che mi conosce e che può giudicare delle mie forze; egli potrebbe finire di perfezionarmi. Più tardi bisognerebbe che passassi un anno a Vienna per studiare, se fosse possibile, con Moscheles [...]
Ti renderai conto che questa lettera è la più importante di quante ne abbia mai scritte e che mai più scriverò. Esamina dunque la mia preghiera senza serbarmi rancore e dammi una risposta prestissimo; non c'è tempo da perdere!

È un momento decisivo nella vita del futuro musicista e questo scritto ce ne mostra appieno it carattere dolce, attento, timoroso di dispiacere alla madre eppure ormai deciso, cosciente del duro, lungo cammino che lo attende nonché della propria natura volubile e restia ad ogni forma di costrizione, costrizione dunque penosa (gli studi regolari di tecnica, armonia, contrappunto ecc. che lo aspettano) ma necessaria.
Inoltre vi si delinea già l'ambivalenza tutta schumanniana tra lo slancio rivoluzionario, istintivo e generoso, e l'intenso desiderio di raggiungere una meta, un punto di equilibio. L'antitesi tra il romanticismo del padre ed il senso pragmatico della madre sembra coesistere nel giovane e si esplicherà compiutamente nei due periodi del suo iter creativo, il primo innovativo e ribelle, il secondo conservatore e smanioso di trovare solide strutture formali in cui incanalare il proprio discorso musicale.
La madre comunque capisce ed accetta.


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Risulta evidente dalla lettera citata che il giovane Schumann pensa poco alla composizione e molto al concertismo. Riceve lezioni quotidiane da Wieck e lavora sodo alla sua tecnica pianistica. Dal canto suo il maestro apprezza l'allievo e promette alla madre di fame un pianista in soli tre anni. Lo indirizza soprattutto allo studio dei classici, di Bach e di Beethoven, trascurando la musica dei virtuosi come Moscheles, Hummel e Kalkbrenner, allora tanto di moda; è un aspetto importante dell'educazione musicale di Schumann, che lo porterà col tempo ad allontanarsi sempre più decisamente da quel genere di musica. Bisogna dunque riconoscere al futuro nemico del giovane musicista un gusto solido e attento ai valori fondamentali del discorso artistico, disinteressato alle facili mode anche a costo di sembrare inattuale.
Dunque Robert studia, ma ben presto il noioso ripetere aridi esercizi incide sul suo morale, lo rende nervoso, insoddisfatto, spesso apatico e svuotato. Cominciano anche a comparire i primi sintomi di quei disturbi nervosi che lo condurranno alla follia; sono solo avvisaglie che comunque costringono il giovane a periodi di dolorosa solitudine, di sofferenza e misantropia. Forse da tutto ciò, dall'ansia (già trasparente nella famosa lettera del '30) di affrettare i tempi, scaturisce l'iniziativa che sanzionerà la fine di una carriera non ancora cominciata: Schumann si fascia l'anulare della mano destra per un lungo periodo, nell'intento di migliorarne l'articolazione (a tale problema era rivolta anche la Toccata op. 7 composta in quegli anni). Il risultato è catastrofico: liberato, il dito si rivela semiparalizzato e continuerà ad esserlo nonostante le disperate cure. Non resta che la composizione.
Intorno a questo celebre avvenimento però le versioni sono molteplici: in esso si annida uno dei misteri della singolare biografia schumanniana. Quella sopra esposta è la tesi tradizionale, confortata dalla testimonianza del figlio Eugenie: " [...] siccome perdeva la pazienza - gli esercizi gli rubavano il tempo che voleva dedicare alla composizione ed allo studio dell'armonia - egli aveva immaginato di migliorare rapidamente la sua tecnica immobilizzando l'anulare per mezzo di una fasciatura che lo manteneva in aria mentre le altre dita percorrevano in tutti i sensi la tastiera. Quest'esperienza ha avuto il disastroso risultato di causare un irrigidimento del nervo e tale guasto resistette ad ogni rimedio... ". Questo racconto contrasta però con altri - compreso quello della stessa Clara - che affermano che il dito danneggiato è il medio. (e forse anche l'indice). E citando l'impossibilità ad usare queste due dita che Robert viene dispensato dal servizio militare: gli sarebbe impossibile sparare.

Il musicologo inglese Sams, notate queste contraddizioni e basandosi sul parere dei medici Slater e Mayer, ha addirittura avanzato l'ipotesi che non sia avvenuto alcun incidente e che il difetto alla mano destra in generale sia stato causato da un'intossicazione di medicinali al mercurio usati da Schumann in quanto probabilmente affetto da sifilide. Tale tesi spiegherebbe l'insorgere, molto più tardi, a partire dal '44, dei sintomi di quella paralisi generale che l'avrebbe ucciso nel '56. La verità su tale episodio, come su molti altri connessi alla fase terminale della sua esistenza, forse non la conosceremo mai. Certamente la distruzione del fascicolo medico riguardante il periodo nella casa di cura di Endenich ('54-'56), distruzione voluta dalla famiglia, non può che rafforzare quest'ultima versione. L'Ottocento è un secolo estremamente puritano e moralista: ci si rifiuta di associare alla figura del genio e alla sua arte una biografia imperfetta o, peggio, segnata da episodi poco " convenienti ". Il bello ed il bene devono platonicamente coincidere. Le radicali censure apportate alle lettere di Mozart e ai quaderni di conversazione di Beethoven (metà dei quali materialmente distrutti da Schindler poiché " avrebbero deturpato" l'immagine futura dell'artista) sono esempi emblematici che stanno all'origine di ricostruzioni biografiche moralisticamente falsificate tramite quelle rilevanti omissioni. Il caso Schumann avrebbe perciò degli illustri precedenti.

L'incidente accade nel '32. Già da un anno comunque Schumann riceve lezioni di armonia da Dorn, un teorico severo con cui analizza le fughe del Clavicembalo ben temperato di Bach; ma presto si stanca ditale maestro per il quale " la musica non è fatta altro che di fughe " per continuare da autodidatta studiando direttamente i capolavori di Bach, Beethoven e Schubert, evitando un lavoro teorico sistematico e scolastico. In particolare nasce in lui un vero e proprio culto per il maestro di Eisenach, che può apparire strano in un romantico; ma ciò che lo affascina non è l'aspetto cerebrale e costruttore di quella musica bensI il suo carattere trascendente, mistico, sovrumano. D'altronde la Bach-Renaissance è un prodotto di quegli anni ed avviene proprio a Lipsia. Un aspetto che sempre accomunerà Schumann e Mendelssohn è questa devota ammirazione, ricca di concrete, evidenti influenze nelle loro composizioni.
L'instabilità del carattere di Schumann si riconferma allorché manifesta a Wieck la strana idea di andare a studiare a Weimar da Hummel; ma il maestro si dimostra ovviamente seccato dalla novità e costringe l'inquieto allievo ad accantonare l'iniziativa.

Per Schumann tutto è motivo di tormento, di esaltazione, di rinuncia. Un ardore giovanile lo spinge alle conquiste; un pudore eccessivo lo trattiene e lo ripiega su se stesso. A un'estrema delicatezza si unisce, in lui, una grande avidità sentimentale; a una discrezione triste, un disperato bisogno di purezza.
Schumann ha posto la sua vita sotto il dominio di quattro sentimenti: l'arte, l'amore, l'amicizia, la natura. Essi sono essenziali per lui, e tutto il suo essere rifiuta di attribuire una qualche importanza ad altri modi di sentire o di vivere l'esistenza. Quando si hanno vent'anni e un ingegno così ardente ci si può mai occupare di ciò che è secondario? Prima di tutto il denaro, che Schumann si sforza di disprezzare. In tale atteggiamento, misto di ragione e di torto, egli ignora il potere avvilente dell'oro, ma non conosce neppure le sue virtù, la sua potenza creatrice, la libertà che esso concede. Tuttavia Schumann scrive nel suo diario: «L'artista deve tenersi in equilibrio con la vita esteriore altrimenti va a picco». Frase profonda, troppo profonda perché il giovane ne abbia afferrata allora tutta la portata. Frase esplosiva, misteriosa, in cui si pone con tragica semplicità il problema del divenire poetico. Per esser ancor più preciso, Schumann avrebbe potuto scrivere: «L'artista deve tenersi in equilibrio con la realtà, altrimenti va a picco». Due realtà infatti esistono: una realtà ch'è frutto della natura e un'altra ch'è frutto della civilizzazione. Da una parte ci sono gli alberi, gli uccelli, le montagne, la poesia spontanea delle foreste, il cantico del mare, il mormorio delle fonti; dall'altra gli uomini coi loro costumi, le loro rivalità, i loro pregiudizi, i loro amori, i loro piaceri collettivi.
Schumann si tiene in equilibrio perfetto con la natura perché in essa i suoi sogni fioriscono liberamente; invece, per diversi lati del suo carattere, egli è refrattario alla civilizzazione. È per questo che sembra tanto disorientato, quando ritorna a Lipsia nell'autunno del 1830, deciso a consacrare la sua vita al suo sostentamento. Ne deriva un certo disagio, e, più ancora, una vergognosa miseria. Schumann soffre di mille privazioni; riduce a quattro «groschen» la spesa del suo pasto di mezzogiorno, sta otto giorni senza mangiar carne, supplica sua madre di spedirgli caffè e zucchero, non osa chiamar l'accordatore per far ripassare il suo pianoforte, e lancia, suo malgrado, la moda romantica della chioma abbondante: «Ben volentieri mi farei tagliare i capelli che sono lunghi un metro, ma non ho neanche un pfennig».
L'indigenza condanna l'uomo che la subisce all'isolamento o alla compagnia dei vagabondi. Schumann, che non ha l'animo di un Villon, preferisce la solitudine. Si rinchiude nella sua camera e si compiace di tracciare di se stesso un ritratto assolutamente inaspettato: «In superficie sono rigido, aspro, sgradevole, coriaceo; ma dentro di me rido assai».
Che cosa significa questa segreta ilarità, se non che il musicista è ferito nel più profondo del suo essere sensibile? Il suo riso assomiglia a una smorfia: è una disperata difesa piuttosto che un'espressione di gioia, che egli ne rimane bruciato anziché ristorato. D'altra parte, ecco la confessione: «Dei miei entusiasmi passati, dei miei sogni, dei miei amori, restano ceneri e scorie». O ancora: «Quando non mi trovo in presenza di persone che mi siano superiori per cuore o per ingegno, divento facilmente ironico o pungente».
Giornate dure, nelle quali Schumann prova l'impressione che il mondo lo abbia respinto, che la sua povertà lo releghi all'ultimo gradino della scala sociale; giornate, tuttavia, ancora più oscure, se il poeta non possedesse infinite risorse da cui trarre dolcezza e consolazione. In primo luogo attinge un vero conforto dalla corrispondenza che intrattiene con la madre. Le lettere da Zwickau sono tenere e luminose; Johanna Schumann dà al figlio consigli spirituali, gli infonde un'energia nuova e, quantunque egli sia lontano, lo circonda di tutto il suo affetto. Dopo aver così fermamente contrastato la vocazione dell'artista, essa ora esclama: «La musica è la tua fedele amata, la tua vera amica nel dolore e nella gioia. Siile dunque costante, poiché l'hai scelta a compagna del tuo pellegrinaggio sulla terra». Schumann legge queste parole, camminando su e giù per la camera e pensando ai fiocchi di neve che si dissolvono al soffio della primavera. Come potrebbe non esser felice di scoprire in sua madre un'esaltazione che, venendo a congiungersi con la sua, non fa che accrescerla?
Poi ci sono Wieck, il maestro burbero benefico, e Clara sua figlia. Certo, essa è soltanto una fanciulla di dodici anni, ma sa affrontare le opere più ardue dei giganti della tastiera. Sotto le sue dita escono trilli, arpeggi e accordi che hanno le sonorità del cristallo; nella sua mente son come stampati innumerevoli Sonate e Concerti. Tuttavia, Clara ha sempre voglia di ridere, di scherzare, e Schumann l'ama come una sorella. Quasi ogni giorno la conduce a passeggio nei dintorni di Lipsia. Lui cammina davanti e siccome, quando parla con qualcuno, ha l'abitudine di guardare in aria piuttosto che stare attento a dove mette i piedi, la ragazza, perché non cada, lo tira per la manica ogni volta che scorge sul sentiero una pietra. Ma ciò non impedisce che, ogni tanto, anche lei faccia un ruzzolone. Allora litigano scherzosamente, tra fragorose risate piene di gioia infantile. Clara e Robert si comunicano tutti i loro pensieri; dieci volte in un'ora, la bimba avvicina il dolce viso a quello dell'amico e gli parla confidenzialmente all'orecchio. Non gli offre anelli, ma temi musicali da elaborare. Ci sono poi Flechsig, Lühe, i Carus; c'è il ricordo dei giorni felici di Heidelberg: «Dimmi di chi è innamorata la camerierina di buon cuore o chi l'ama; dimmi se l'asino verdolino spera sempre, se la vezzosa Filippina è fidanzata; dimmi tutto quello che è avvenuto da quando io sono lontano dalle sponde della Neckar.

E, finalmente, c'è l'arte. Schumann riconosce che la vita solitaria in fondo gli giova; si sente l'anima e l'intelligenza più libere, come se mille sorgenti le irrorassero dei loro rivoletti capricciosi. Lavora accanitamente e fa progressi da gigante; fra tre o quattro anni, spera, sarà pari a Moscheles. Quale vittoria sul destino, se potesse toccare quelle vette dove abita la musa del Maestro! «Ti ricordi quando a Karlsbad, seduti nella sala dei concerti, uno vicino all'altro, mi hai mormorato con gioia: 'C'è Moscheles dietro di noi'. E come tutti si scostavano, pieni di rispetto, per lasciarlo passare, e come lui appariva modesto!».
L'impressione indimenticabile agisce su Schumann come un afrodisiaco, a tal punto che, con la foga che gli è naturale, rischia di andare oltre lo scopo e affronta un lavoro superiore alle sue forze. È una pazzia per un adolescente scegliere un soggetto immenso come Amleto e cercare di farne un'opera lirica. Invano si dibatte tutto il giorno fra motivi dolci e fantastici; ben presto deve abbandonare il suo progetto. Ritorna allora a lavori meno impegnativi: dà forma definitiva alle Variazioni sul nome Abegg e aggiunge qualche numero ai suoi Papillons. Aver dovuto abbandonare Amleto e constatare così la propria fragilità, non lo scoraggia. Prega Dio che gli ottenga la grazia di restare modesto, coraggioso e sobrio, per poter condurre a buon fine la sua missione. Al Signore potrebbe però chiedere un po' più di costanza. Infatti, eccolo già che pensa di lasciare Lipsia, per recarsi a Weimar e diventare allievo di Hummel. A Weimar la madre potrebbe raggiungerlo e, insieme, potrebbero godere di una vita idilliaca in quella città piena di grandiose memorie.
Schumann, per caso, rivela le sue intenzioni a Wieck. È un dialogo concitato:
- Non ha più fiducia in me?
- Sì, Maestro.
- E allora perché parla di mettersi sotto la tutela di Hummel?
- Perché più tardi mi potrà esser utile dire che sono stato suo allievo. A Vienna, per esempio, Hummel è molto apprezzato.
- Sappia che io sono il primo professore del mondo.
Schumann è ancor più spaventato di quanto non dia a vedere dalla collera e dalla brutalità di Wieck. China il capo, la tempesta si placa. L'indomani Wieck gli dice che l'ama come un figlio.
E il 1830 termina così, in dolcezza, senza che ci si possa spiegare con chiarezza come mai Schumann abbia potuto essere tanto misero, tanto felice, tanto arido, tanto sensibile e tanto commovente.

***

[ABRAHAM] All'epoca era più interessato all'esecuzione pianistica che alla composizione; si esercitava a volte per sette ore al giorno e, nel febbraio 1830, fece un'apparizione in pubblico - l'unica a Heidelberg - eseguendo uno dei suoi cavalli di battaglia, le variazioni di Moscheles su La marche d'Alexandre, ottenendo un brillante successo che gli fruttò inviti a esibirsi a Mannheim e a Magonza, che peraltro non accolse. In quello stesso inverno condusse anche un'intensa vita sociale, partecipando a un gran numero di balli e feste mascherate.
La domenica di Pasqua dell'anno 1830 Schumann senti suonare Paganini a Francoforte; ne fu profondamente colpito, nonostante alcuni dubbi sui suoi ideali artistici. L'anno a Heidelberg era ormai trascorso ed egli avrebbe dovuto far ritorno a Lipsia per completare gli studi giuridici, ma il tutore gli concesse ancora un trimestre. Passò la maggior parte dell'estate a comporre; in aprile scrisse (o forse solo completò) una serie di valzer per pianoforte, evidentemente influenzato dai valzer di Schubert, e in maggio un Etude fantastique en doublesons in Re, in seguito denominato "Toccata" e pubblicato, dopo una revisione e trasposizione in Do, nel luglio 1832 come op. 7. In giugno compose un pezzo per pianoforte intitolato Papillote, che si basava sul Lied Im Herbste, poi utilizzato come terzo movimento della Sonata op. 22. Più avanti riprese a lavorare a un Concerto in Fa per pianoforte e orchestra: una parte di esso - oppure forse una serie autonoma di variazioni nella stessa tonalità, sul modello delle variazioni Alexandre per pianoforte e orchestra di Moscheles - fu completata in agosto per pianoforte solo, senza orchestra, e pubblicata nel novembre 1831 come definitiva op. 1, col titolo Thème sur le nom "Abegg" varié pour le pianoforte, dal nome di una fanciulla che aveva conosciuto (il tema "Abegg-Walzer" risale al febbraio 1830).
Proprio nel periodo in cui componeva le variazioni "Abegg", Schumann cercava disperatamente di persuadere la madre a permettergli di abbandonare la giurisprudenza per dedicarsi interamente alla musica. Dietro sua richiesta, il 7 agosto la madre si rivolse a Friedrich Wieck che le rispose due giorni dopo osservando che Robert, col suo talento e la sua immaginazione, avrebbe potuto diventare, in tre anni, uno dei massimi pianisti viventi, a condizione che avesse lavorato duramente e con tenacia per acquisire una tecnica. Wieck non fece mistero dei propri dubbi circa la forza di carattere di Schumann e la fermezza della sua risoluzione non solo di lavorare sulla tecnica pianistica, ma di studiare anche «l'arida, fredda teoria» per due anni, sotto la guida del Kantor della Thomasschule, C. T. Weinlig. Concludeva dunque consigliando alla signora Schumann di concedere al figlio un periodo di prova di sei mesi; il 22 agosto Robert accettò con entusiasmo questa condizione. Il 24 settembre disse addio a Heidelberg e partì per un viaggio sul Reno che lo condusse fin quasi al confine olandese. In ottobre si stabilì ancora una volta a Lipsia.
Il 20 ottobre prese alloggio presso Wieck, al 36 di Grimmaische Gasse. Sembra che le promesse di cambiare genere di vita - in particolare per quanto riguardava i sigari e il bere - non fossero poi mantenute, perché le lettere che mandava a Zwickau insistono nel registrare la sua cronica mancanza di denaro, dovuta al fatto che spendeva ben più di quanto aveva a disposizione. Fantasticò di comporre un'opera sull'Amleto e riprese gli studi pianistici con Wieck; sembra però che quest'ultimo fosse più interessato alla formazione di Clara, la figlia prodigio.

***

Alla madre
Heidelberg, 1 luglio 1830 4 ore del mattino

Mia carissima madre, nessuna gioia di uno di noi due deve costare una lacrima all'altro: io nascondo alla madre quelle del figlio. E perciò che, mentr'ero qui tra tutti gli splendori della primavera, ho scritto così poco! Non hai dunque ricevuto la mia ultima lettera? In tal caso, bisogna ch'io sollevi il velo che copre le tenebre del passato, tanto più che questo velo è sottile, fluttuante e divinamente leggero...
Tutta la primavera, che generalmente si gode più di quanto si possa descrivere, non ha avuto nulla di notevole, all'infuori di qualche bel tramonto, o del dolce canto dell'usignolo, o di un fiore nascente. La mia esistenza è stata così poetica ed eterea, che non ho avuto il coraggio di turbarla con effusioni epistolari. Quest'è la mia scusa e la migliore descrizione che io possa fartene.
Se tu fossi con me tacerei e mi accontenterei d guardarti negli occhi quando la natura vi si riflette o quando tu hai attorno a te delle persone che ti stringono la mano con affetto, come farebbero Rosen e Weber. La mia vita è ora più calma e più solitaria. Weber è partito sette settimane fa per l'Italia, e Rosen or sono quattro giorni per andare a casa sua! I loro ritratti sono appesi sopra alla mia scrivania, e mi gettano sguardi affettuosi. La primavera mi ha fatto rientrare più intimamente in me stesso, e m'ha insegnato ad apprezzare il valore del tempo, che si spreca spesso tanto facilmente. È così che, reciprocamente, gli uomini giocano col tempo e il tempo con gli uomini.
Se tu desideri un piccolo quadro del modo in cui impiego la mia vita, te lo darò volentieri. Soltanto la giurisprudenza getta una leggera brina gelata sulle mie mattine: tutto il resto brilla e splende ai raggi del sole, come le giovani e fresche gocce di rugiada sui fiori. La divina giovinezza non subisce l'influenza dell'età, ma bensì quella del cuore, e le nature rette sono eternamente giovani, come te e come i poeti. Il mio idillio è semplice, e si divide tra la musica, la giurisprudenza e la poesia. Questa dovrebbe abbellir sempre la vita pratica, come l'oro puro e brillante incastona e fa risplendere il fuoco dei diamanti.
Mi levo di buon mattino. Dalle 4 alle 7 lavoro, dalle 7 alle 9 suono il pianoforte, poi vado da Thibaut; nel pomeriggio alterno i corsi con lo studio e le letture inglesi e italiane, e la sera sto tra gli uomini e con la natura. Questo è tutto e un tutto. Se qui o là sento di non essere un uomo pratico, non ne ha colpa nessuno; è il cielo stesso che m'ha dato un'immaginazione con cui riordino e colorisco i punti oscuri dell'avvenire. Puoi credermi se ti dico che vorrei diventare un grande giurista. Non mi manca per ciò nè lo zelo, nè la buona volontà, e non dipenderà da me se non arriverò più lontano di chiunque altro, ma dalle circostanze, e, forse, dal mio cuore, che non ha mai parlato volentieri latino. Il destino solo e Dio lo voglia - la fortuna potranno sollevare il fitto velo che pesa sul mio avvenire. Thibaut per esempio non mi spinge verso la giurisprudenza, «perché - dice egli - il Cielo non m'ha fatto nascere per essere funzionario» e tutte le capacità che abbiamo in noi sono dei doni che ci vengono direttamente da Dio. Un giurista che lavora macchinalmente, senza una passione speciale per il suo mestiere, l'esercita male. Quest'è la mia opinione, e io non posso dissimulartela, ma non torturarti a foggiare dei piani per la mia vita: io ne ho una collezione, per il caso che l'uno o l'altro dovesse fallire...
Avevo deciso, quand'ho cominciato questa lettera, di scrivere rapidamente, brevemente, e di spedirtela senza ritardo; ma la prossima s'estenderà indefinitamente, e oltrepasserà tutte quelle che hai ricevuto. Sii indulgente per queste righe tracciate alla svelta, cara mamma, e rispondimi presto, perché la nostra corrispondenza riprenda la sua antica andatura galoppante. Uno scambio di lettere languenti e interrotte non val nulla, io lo riconosco, quantunque sia il solo colpevole. Che la tua vita sia piana e dolce come la mia. Addio.


Alla madre
Heidelberg, 30 luglio 1830, ore 5

Buongiorno, mamma! Come posso descriverti la felicità che godo in questo momento? L'alcool brucia e scoppietta nella macchinetta del caffè; il cielo è così puro e così dorato che verrebbe la voglia di baciarlo. Lo spirito del mattino spunta fresco e tranquillo. E davanti a me ho la tua lettera, che racchiude un tesoro di sentimenti, di comprensione e di virtù, il mio sigaro ha pure un sapore delizioso. In una parola, il mondo, a certe ore, è molto bello; voglio dire per l'uomo che ha l'abitudine di alzarsi di buon'ora.
I raggi del sole e il cielo azzurro sono sufficienti per la mia vita di qui: ma mi manca il Cicerone, cioè Rosen. Due altri dei miei migliori conoscenti, i due fratelli von H. della Pomerania, sono pure partiti da otto giorni per l'Italia, e perciò sono spesso solo, cioè molto felice o molto infelice, a seconda della disposizione del momento. Ogni giovanotto preferisce vivere senza un'amante piuttosto che senza un amico. Inoltre mi sento talvolta agitato, quando penso a me stesso.

A Federico Wieck (Lipsia)
Heidelberg, 21 agosto 1830

Mio veneratissimo Maestro,
c'è voluto parecchio tempo prima che le mie idee in ebollizione si calmassero. Non mi chieda come e quanto sono rimasto turbato nel ricevere la lettera. Appena ora comincio ad esser più tranquillo... [...] Io resto, dunque, fedele all'arte, e non l'abbandonerò: posso e devo farlo. Dico addio senza rimpianto ad una scienza che non amo e che appena stimo, ma non guardo senza timore la lunga strada che conduce alla mèta che mi son prefisso. Mi creda, io son modesto e ho molte ragioni per esserlo, ma sono coraggioso, paziente, pieno di fiducia e malleabile. Ho fede in Lei, e mi appoggio a Lei interamente; mi prenda come sono e si dimostri sempre paziente verso di me. Nessun biasimo mi scoraggerà, nessun elogio mi renderà pigro. Le numerose docce di gelida teoria non mi faranno male, e le sopporterò senza smorfie. Ho percorso con tranquilla attenzione i Suoi cinque «ma», e mi son chiesto severamente se potevo soddisfarli appieno. La mia intelligenza e il mio sentimento mi hanno risposto ogni volta: «Ma naturalmente!» Venerato Maestro, mi prenda per mano e mi conduca. Io La seguirò ove Lei andrà, e non ritirerò mai la benda dai miei occhi per non venir accecato da un troppo forte splendore. Vorrei che Lei potesse vedere nella mia anima, che è perfettamente calma; su tutto il mondo spira una leggera, chiara brezza mattutina.
Creda in me; io voglio meritare d'esser chiamato Suo alunno. Ah! venerato Maestro, perché si è talvolta così felici a questo mondo? Io lo so...


Friedrich Wieck, padre di Clara

Alla madre
Heidelberg, 22 agosto 1830

Mia venerata madre,
fu un bel giorno il 19 agosto, in cui ricevetti le vostre lettere. Tutto il mio intimo dovette apparire alla superficie e porre sulla bilancia un intero avvenire, per decidere infine di percorrere il cammino che porta più in alto. Questa scelta non mi fu difficile, malgrado la gravità del passo, dal quale dipendono tutta la mia vita futura, la mia gloria, la mia felicità e forse anche la vostra! Credimi: io so valutare appieno il tuo amore per me e il tuo cuore; perciò le tue esitazioni mi hanno fatto riflettere forse più profondamente che mai. Ma sii anche persuasa che in questi giorni ho riesaminato tutto il mio passato per trarne una risoluzione per l'avvenire.
Posso interrogare il mio cuore col mio cervello, il mio sentimento, la mia intelligenza, il mio passato, il mio presente, il mio avvenire, le mie forze, le mie speranze, le mie prospettive: tutto, sin dalla mia prima infanzia, mi spinge verso l'arte. Ripensa anche alla mia vita, alla mia fanciullezza, la mia adolescenza, la mia giovinezza, e rispondi francamente: da che cosa è sempre stato attratto il mio genio? Pensa al grande spirito del mio buon padre, che comprese la mia giovane natura e mi destinò all'arte e alla musica. Non mi serivesti tu nella tua penultima lettera che io son portato così profondamente verso la poesia, la natura, la musica, ecc.? Non ribellarti alla natura e al mio genio: essi potrebbero irritarsene e allontanarsi per sempre!
Ed ora supponi che - e ciò sarebbe svalorizzarmi - io continuassi ad apprendere una scienza che non amo, che appena stimo. Madre! Che cosa avrei allora come prospettiva, come centro d'attività? Che vita potrei attendere? Con quali uomini sarei in rapporto sino alla mia morte? La Sassonia è forse un paese ove dei servizi civili possano venir apprezzati? Non sai tu il valore che qui si dà ad un titolo nobiliare? Le mie occupazioni si limiterebbero fatalmente ad un'eterna sfilata di querele e di processi da quattro soldi, e io non avrei da fare che con forzati o pezzenti. Se anche riuscissi, che cosa potrei sperare? Un posto in una piccola città di provincia di 3000 abitanti e 600 talleri di paga. Madre, scendi nel tuo cuore e nel mio, e chiediti seriamente se credi che si possa sopportare durante tutta un'esistenza questa mortale monotonia. E puoi pensarmi seduto dalle sette di mattina alle sette di sera in uno studio? Infine, Dio m'avrebbe dato abbastanza forza e fantasia per abbellire la mia vita e renderla più piacevole, ed io esiterei nella scelta? Sprecherei tutti questi doni?
Permettimi di stabilire un parallelo. In primo luogo abbi fiducia in Wieck; egli la merita. L'arte mi dice: se sarai diligente potrai arrivare alla meta in tre anni. La giurisprudenza replica: in tre anni tu potrai raggiungere il grado di praticante e guadagnare 16 groschen all'anno. L'arte continua: io sono libera come il cielo, il mondo intero è il mio porto. La giurisprudenza scrolla le spalle e dice: io sono un'eterna subordinazione dal praticante al ministro, e giro sempre in polsini e chapeau-bas. L'arte prosegue: la bellezza è la mia dimora, il cuore è il mio universo e la mia creazione. Io sono libera ed infinita, creo e sono immortale, ecc. ecc.
Di interessi volgari il mio discorso non s'occupa, non chiede quale delle due professioni può dare un maggior reddito pecuniario. La risposta è troppo evidente.
Madre amatissima, io non posso esprimerti che debolmente e fuggevolmente i miei ben ponderati pensieri: vorrei averti presso a me affinchè tu potessi leggere nel mio cuore. Tu mi diresti: «Segui la tua nuova strada con coraggio, zelo e fiducia, e non potrai fallire. Datemi soltanto il vostro appoggio e il vostro amore, miei cari, e lasciatemi percorrere in pace il mio cammino. In verità vi dico che voi ed io possiamo ora affrontare l'avvenire con sguardo più sicuro e più fermo di prima. La proposta di Edoardo è buona e cordiale, ma tuttavia non l'accetto, perché, secondo me, in sei mesi va perduto molto di più nell'arte che nella giurisprudenza, ove so che potrei facilmente rimettermi al corrente.
La proposta di Wieck è buona! Egli dice: Roberto deve provare a lavorare con me sei mesi! Bene! Se Wieck poi dovesse dare un giudizio favorevole, allora non mancheranno i progressi e la celebrità. Ma, se al termine di sei mesi, gli rimarrà ancora il più piccolo dubbio, nulla sarà perduto: io posso studiare ancora un anno, dare il mio esame, e in tutto non avrò studiato più di quattro anni!
Ancora una cosa, madre carissima. Prega immediatamente i miei fratelli d'inviarmi, se è possibile, una cambiale, perché io mi sdebiti con Rudel. Non potrò lasciare Heidelberg senza aver pagato interamente i corsi, l'affitto, il noleggio del piano a coda, e senza aver saldato il conto del sarto. Soprattutto quest'ultimo mi preoccupa e mi tormenta orribilmente. Siccome il prolungamento del mio soggiorno a Heidelberg non mi potrebbe essere di vantaggio, ma anzi diverrebbe noioso, bisogna agire rapidamente; ogni momento perduto è irreparabile.
Dunque addio, mamma adorata e voi tutti miei cari. Questa lettera è l'ultima che vi scrivo dalla bella Heidelberg; consideratami da ora in poi come una persona che preferisce una felice povertà nell'arte ad un'infelice povertà nella giurisprudenza. il futuro è una grande parola.

Alla madre
Lipsia, 25 ottobre 1830

Mia amatissima mamma,
avrei già scritto da lungo tempo, se non mi fossero mancate, nel vero senso della parola, una penna e della carta. Una quindicina di giorni trascorsi a Lipsia, lontano dalla mia casa natale, mi avevano fatto piombare in uno scoraggiamento, un'inquietudine e una pigrizia che non mi permettevano di pensare a nulla.
Se tu sapessi ciò che le tue lettere sono per me! L'ultima soprattutto, in cui non so se devo ammirare più la madre o la donna. Nel primo impulso della gioia andai da Wieck! «Quant'è superiore questa signora al Suo tutore!» - mi disse egli. Ed in me stesso io aggiunsi anche altre cose! Sii sempre così buona con me, mia tenera madre!
Avrei molto da dirti e da scriverti sulla mia pigrizia, sul mio stato pietoso, sul mio viaggio, sugli sprazzi di giovinezza, che, di tanto in tanto, mi rischiarano l'anima, ma mi riserbo tutto ciò per una prossima, lunga lettera. Che la nostra corrispondenza rifiorisca, e non mi mancherà più nulla.
Prima di tutto, voglio parlarti delle mie fatali difficoltà materiali. Io ho assolutamente bisogno di un abito, e credo che meglio di tutto sia farlo blu cupo. Sarebbe bene, credo, comperare il panno da Rudel. Vuoi incaricartene tu? Ti prego pure di occuparti del letto che avevo l'altra volta a Lipsia (molto urgente). Mi farebbe anche piacere avere le tazze che Teresa mi ha regalato, e che credo sieno in mani vostre. Sarei riconoscente a Giulio se all'occasione mi mandasse qualche penna, ceralacca, carta ed altri arnesi dello stesso genere. il pomeriggio, mi faccio volentieri un poetico caffè con la mia macchinetta; potresti inviarmi tu un po' di caffè macinato, zucchero, ecc. ? La tua parola sull'economia e la restrizione nelle spese m'è scesa al cuore. Ho già fatto un buon debutto: il mio pasto di mezzogiorno mi costa 4 groschen, e quello della sera ancor meno. Sulle direttive della mia vita, sui miei piani, sul mio soggiorno a Lipsia ed i miei soggiorni passati a Heidelberg, riceverai tra breve belle lettere dettagliate.
Non abbandonarmi, cara mamma, e parlami con tenerezza. Ho gran bisogno di dolcezza e dl cure. Ti saluto di cuore.

Tuo figlio Roberto

Ancora una cosa: vuoi, all'occasione, rimandarmi tutte le lettere che ti ho scritto? Desidero averle per un lavoro, ed esse mi mostrerebbero incidentalmente se questi tre semestri m'hanno mutato assai. Te lo prego. Vi abbraccio tutti.

Alla madre
Lipsia, 15 novembre 1830

Mia buona mamma, le tue tre ultime lettere son qui dinanzi a me, e io non ti ho mai risposto. Anzitutto i miei più sentiti ringraziamenti per tutto: letto, biancheria, caffè, ecc. Ho gustato quest'ultimo con una semplicità idilliaca. Flechsig si fa sempre inviare (la Zwickau del caffè in bottiglia; questa economia da borghesuccio mi divertiva allora; perciò te l'ho scritto ora. In quanto alla ceralacca, Giulio ha ragione; non vi avevo pensato. Per ciò che concerne i sigari, sei tu che hai perfettamente ragione; ma io credo di fumare meno d'un tempo. Non qualificherei quest'abitudine, come fai tu, una passione; nel mio ultimo viaggio, non ho fumato neanche 50 sigari, e non ho provato che ben poco rimpianto. Mi sono d'altronde limitato il più possibile; ma non riesco a disabituarmi dall'accendere due candele la sera. Sono già stato da Barth [23], ma non ho ancora fatto nessuna delle visite domenicali. Sono capace talvolta di sacrificare ogni cosa ad un detestabile umore e a una misantropa indifferenza
Il dott. Carus [24] voleva presentarmi ad un numero infinito di famiglie. - «Le sarebbe utile per la tua carriera» - pensa egli. Anch'io lo credo, ma tuttavia non ho voglia di metterlo in pratica, ed esco poco dalla mia stanza. Generalmente, sono noioso, serio, spiacevole; internamente mi sento invece allegro. Dei vecchi entusiasmi del mio cervello vagabondo, rimangono soltanto alcune scorie. A Natale non sarai molto contenta di me. Tu mi scrivi che dopo la mia lettera che t'ha appreso la mia decisione, non sei più capace di pregare. È ciò vero e possibile? Io ti darei così poche soddisfazioni? Ma per Dio! se avessi continuato a studiare giurisprudenza, sarei divenuto assessore giudiziale, e mi sarei suicidato dalla noia! Inoltre potrebbe accadermi - che Dio mi preservi! - di diventar cieco, e la musica sarebbe allora la mia unica salvezza. Non spaventarti, è un medico che m'ha cagionato ultimamente quest'angoscia. Per ciò che concerne il mio denaro, ti ringrazio molto della tua comunicazione, ma l'ho promesso a Carlo, e glielo dò di tutto cuore. A domani il seguito; questa sera non sono affatto allegro.

La sera del 16

Dopo aver riletto le righe precedenti, mi son chiesto se dovevo mandarti la cupa lettera; tuttavia la continuo, sentendomi meglio disposto. Comincio, dunque, dal più importante: andrò ad ascoltare con piacere i corsi, e ti porterò a Natale i certificati; ma, veramente, non lo farò che per causa dei 40 fiorini [25]! Tu non puoi immaginare quanto i corsi dei professori di Lipsia siano meschini e pietosi. Io credo d'aver già scritto che soltanto gli asini potrebbero trarne profitto. Inoltre devo avere del denaro per pagarli; altrimenti non mi danno i certificati. Da 15 giorni sono senza il becco d'un quattrino; devo 20 talleri a Wieck e 30 a Lühe, e vivo davvero come un cane.
Tu scrivi che posso procurarmi dappertutto 100 talleri, ma, in nome del Cielo, dove? Io non conosco che delle persone altrettanto povere quanto me. Con l'autorizzazione di Edoardo, mi son già rivolto a Barth. Vorrei anche farmi tagliare i capelli, ma non ho un centesimo per ciò. Da 15 giorni porto cravatte bianche, perché tutte le nere sono a pezzi; le bianche saranno tra breve nello stesso stato, e sarò ridotto a dover uscire come un vecchio tedesco! Scriverei volentieri qualche lettera a Heidelberg, ma non ho i soldi per affrancarle. Che si penserà di me? Il mio piano è terribilmente stonato, e non posso far venire un accordatore. Non ho neppure di che farmi saltare le cervella! Ecco a che punto son giunto! Non arrabbiarti, dunque, se talvolta, in un accesso di vigliacca disperazione, penso d'andarmene in America o a Twer, presso mio zio, dove, per fortuna, infierisce il cholera morbus, che potrà porre termine alla mia disgraziata esistenza e farle abbandonare il mondo nella pienezza delle sue forze. C'è qualcosa di serio in tutte queste celie! Tu hai detto in una lettera precedente: un cattivo albero non può dare buoni frutti. Senza dubbio, ma un buon albero può dare cattivi frutti! Io spero che, con l'aiuto di Dio, ciò non accadrà.
La mia candela sta per spegnersi, ed io non ne ho un'altra. In fretta ancora queste due parole: «Quando arriva l'ultima rata di 40 fiorini»? Se puoi. mandameli in natura. Quest'anno devo fare il servizio militare ed ho bisogno della mia fede di battesimo. Ti prego di mandarmela al più presto possibile, poiché, malgrado la mia vista debole, m'hanno trovato abile al servizio.
La candela sta morendo. Quanto a me, io rimango, anche al di là della morte, il tuo povero figlio

Roberto

Alla madre
Lipsia, 15 dicembre 1830

Cara mamma,

lo stile della tua lettera è così giovanile come quello del mio Jean Paul, ed ognuna delle tue parole è un fiore pieno di essenze. Se il grande, grande periodo in cui viviamo e nel quale anche i vecchi sono ardenti quanto i giovani non eclissa completamente l'Olimpo dell'arte, non m'importa di venir inserito nelle «Enciclopedie» e nei «Ritratti degli uomini celebri» e quindi di veder stampato tutto il nostro Eldorado di lettere. Mio Dio! che avverrà allora di noi, io come figlio e tu come madre? Non puoi immaginare sino a qual punto le tue lettere mi rianimino, come vi attinga nuove energie e nuovi incoraggiamenti a perseguire la mia mèta. I consigli del tuo affetto mi danno forza di resistenza e una più energica elasticità di spirito. Delle parole come queste: «È la tua fedele amata, la tua vera amica nel dolore e nella gioia. Ah! le parole non potranno mai darci la dolce e riposante consolazione che ci offre la musica. Rimanile fedele, perché l'hai scelta per compagna del tuo pellegrinaggio su questa terra», tali parole risuonano sino in fondo all'anima, soprattutto quando sono sentite e scritte da una madre. Sì, io voglio restarle fedele, anche se essa dovesse tradirmi!... Vorrei scrivere moltissimo oggi, ma la penna mi trema nella mano. Camminerò su e giù per la stanza, e penserò ai fiocchi di neve, che il soffio della primavera disperde.

La sera del 15

Tutto procede benissimo per me: lavoro diligentemente e faccio progressi colossali: in tre o quattro anni spero di giungere all'altezza di Moscheles [26]. Ti ricordi che a Karlsbad, seduti l'uno vicino all'altra nella sala dei concerti, m'hai mormorato giocondamente: «Moscheles è dietro a noi!? E ricordi come tutti si scostavano al suo passaggio, e come egli camminava modestamente tra gli uomini? Voglio prenderlo ad esempio in tutto. Credimi, cara mamma, che con la pazienza e la perseveranza, io posso fare molto, se voglio. Mi manca talvolta, dinanzi al mondo, la fiducia in me stesso; quantunque, nel medesimo tempo, io sia internamente fiero di me. Che Dio m'accordi soltanto di rimanere vigoroso, modesto, serio e sobrio. La fiamma naturale e pura è sempre la più bella e la più comunicativa. Se le mie doti poetiche e musicali potessero riunirsi e concentrarsi in un solo punto, la luce non si spegnerebbe più, e io avrei maggiore fiducia in me stesso.
Non posso abituarmi all'idea di morire come un borghese qualsiasi. Mi sembra d'essere stato destinato da sempre alla musica. Sai che per l'addietro spiavo tutte le ore che tu passavi dai Ruppius, per soddisfare il mio desiderio di comporre? Com'ero profondamente felice allora, e quanto lo sarò ancora! il tuo progetto d'invito per S. Silvestro è più sollecitante di tutte le preghiere e tutti i desideri, ed anche se non avessi nessun altro motivo d'accettarlo, lo farei per te. Forse volerò sino a voi per un paio di minuti, e, simile ad un venticello d'ovest nell'inverno, giocherò e scherzerò con voi. Nell'attesa, prendi il mio ritratto e appendilo al muro.
Gradisci anche i miei ringraziamenti per l'assegno che m'hai mandato. Il disprezzo per il denaro e lo spreco che ne faccio sono lati deplorevoli del mio carattere. Tu puoi a mala pena immaginare quanto sono sventato, e come spesso getto il denaro dalla finestra. Mi faccio sempre rimproveri e prendo belle risoluzioni, ma le dimentico in un paio di minuti e ricomincio a dare mance di otto groschen. I viaggi e la terra straniera ne sono in parte la causa, ma soprattutto ne ha colpa la mia maledetta leggerezza. Purtroppo, temo che non me ne libererò.
In quanto all'aspetto «pallido e misero», era uno scherzo; io sono fiorente come una rosa e sano come un pesce. Qualche volta ho male di denti! 'Vide' il ritratto!
In quanto a Weimar [27], sarebbe veramente stupendo. Ma, in nome del cielo, come puoi dire che una tal cosa implicherebbe forse una spesa troppo forte? Abbiamo del tempo dinanzi a noi, e sino ad allora devo terminare i miei studi con Wieck. Mi sono azzardato, ultimamente, a fargli un vago accenno al mio progetto che riguarda Hummel. Egli se l'è presa a male, e m'ha chiesto se io o qualcun altro non ha più fiducia in lui e se egli non era forse il migliore insegnante. Mi spaventai visibilmente della sua eccessiva collera, ma poi siamo ridiventati buoni amici come prima, ed egli mi tratta come un figlio. Tu non puoi immaginare ciò che egli nasconde di fuoco, di giudizi e di vedute artistiche, ma quando si tratta del suo interesse o di quello di Clara diventa feroce come uno zotico...
Mille grazie per la stoffa; l'ho già portata al sarto. Non arrabbiarti e non crucciarti se non potessi venire. In ogni caso, mi vedrai ancora prima della fine dell'anno.
Sono curioso di ciò che mi porterà il Natale: ho bisogno di una veste da camera foderata, di sigari, di stivaletti e d'un paio di bottoni da polsini.
Vi abbraccio tutti. Non dimenticare mai Emilia. Arrivederci, cara mamma, e voi pure, mie graziose e buone sorelle.