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CONTAMINAZIONE DI GENERI MUSICALI
E RAPPORTI CON LA MASSONERIA

 

 

Claudio Casini

Amadeus. Vita di Mozart

Milano, Rusconi, 1990, pp. 312-314

 

Il «Flauto magico» fu l'ultima opera teatrale di Mozart, dato che seguì di poche settimane la rappresentazione praghese della «Clemenza di Tito». Le circostanze in cui nacque furono dovute alle restrizioni nei confronti della massoneria, già attuate da Giuseppe II e aggravate dal suo successore Leopoldo II, e alle accuse rivolte contro quell'ala della massoneria che era costituita dall'Ordine degli Illuminati e che era considerata, non a torto, favorevole alla Rivoluzione francese. Una tradizione vuole che il soggetto sia stato discusso al capezzale di Ignaz von Born, grande scienziato cui facevano riferimento i massoni dell'Impero asburgico, fra cui quelli della loggia viennese «La Nuova Speranza Incoronata», alla quale apparteneva Mozart e a capo della quale si trovava quel Gebler che gli aveva commissionato le musiche di scena per il proprio dramma «Thamos re d'Egitto».
Born aveva studiato la liturgia dell'antico Egitto, che era considerato la culla della massoneria; e sembra che si debba a un suo soggerimento il 'rovesciamento' dell'azione nel «Flauto»: la Regina della Notte, che in un primo tempo sembra benefica, si rivela malefica, mentre il severo Sarastro (identificato con lo stesso Born) appare, in qualità di sacerdote del culto solare, come una sorta di redentore e di emblematico rappresentante dell'Ordine degli Illuminati. D'altra parte, il soggetto del «Flauto» magico deriva da un racconto, Lulu, di Christoph Martin Wieland: il celebre romanziere tedesco aveva avuto molto a che fare con i progetti massonici di un teatro nazionale, all'epoca in cui Mozart si era trattenuto a Mannheim. E non è senza significato che Mozart, prima di dedicarsi al «Flauto magico», si fosse recato a Monaco, dove aveva ritrovato gli amici musicisti conosciuti appunto a Mannheim.
Emannel Schikaneder, l'accorto impresario che Mozart conosceva dal 1780, non si limitò a redigere un libretto di argomento massonico: vi inserì anche l'indispensabile elemento comico, gradito al pubblico viennese e, in particolare, a quello popolare del suo teatrino Auf der Wieden. Si ebbero così, nell'azione, diverse vicende: quella iniziatica di Tamino e Pamina, ostacolati dalla Regina della Notte e dal negro Monostato e accolti alla fine nel santuario di Sarastro; quella di Papageno, l'uomo-volatile, che segue inconsapevolmente l'avventura di Tamino e, proprio grazie alla sua schietta natura umano-animale, è alla fine premiato con l'amore, vale a dire con la trasformazione favolistica di un'orrida vecchietta nella bella Papagena, la sua futura compagna.
In genere, «Il Flauto magico» viene considerato come uno spettacolo fiabesco, in cui Mozart affermò la sua fede non soltanto nella massoneria ma anche nel futuro dell'opera tedesca. In realtà, come sempre negli ultimi lavori mozartiani, la concentrazione di vari stili mira a superare la secolare distinzione dei generi musicali e teatrali.
Nella parte della Regina della Notte, ad esempio, vi sono le due arie più virtuosisticamente italiane dell'intera creatività di Mozart, «Zum Leiden» e «Die Hölle Rache», presentate alla maniera seria, con l'immediata uscita del personaggio. All'altro estremo, la parte di Papageno, che si annuncia con l'aria «Der Vogelfanger bin ich ja», è imperniata sulla caratteristica melodia austriaca, per non dire salisburghese, fortemente improntata al ballo campestre, la contraddanza, di cui Mozart era un maestro. Le parti di Tamino e di Pamina sono in stile italiano sentimentale ed elegiaco, che si può definire 'napoletano', con riferimento al 'mezzo carattere' tipico dell'opera comica internazionalizzata; Sarastro e i personaggi legati all'ambiente sacerdotale provengono dalla musica sacra di tradizione tedesca: il cosiddetto 'corale degli uomini armati' è un esempio palmare di questo prestito contratto da Mozart.
Nei finali dei due atti, la tecnica sinfonica acquisita nelle tre opere 'italiane' viene combinata con quella del vaudeville usata nel «Ratto», data la presenza, accanto ai personaggi «nobili», di personaggi favolistici come Papageno e Monostato, i due avversari naturali, in quanto esclusi per loro natura dal consorzio delle creature umane: con la differenza che Papageno sarà redento e Monostato verrà inghiottito nelle voragini infernali insieme con la Regina della Notte. La loro sorte è decisa dalla qualità della loro natura: ingenua quella di Papageno, malevola quella di Monostato.
Rimembranze dei piccoli ensembles di «Don Giovanni» e di «Così fan tutte» affiorano negli episodi in cui compaiono le tre accompagnatrici della Regina della Notte, per mettere il lucchetto alla bocca di Papageno e per contrastare il passo a Tamino, e ancora quando arrivano in scena i tre paggi di Sarastro apportatori del Glockenspiel, col quale vengono domati gli animali e i negri al seguito di Monostato. E non si può non ricordare, nel variegato impianto del «Flauto magico», l'impiego del coro e perfino della musica per strumenti a fiato, con cui si apre il secondo atto. Infine, la presenza di due strumenti-simbolo, il Glockenspiel e il flauto che accompagna l'itinerario di Tamino verso l'iniziazione.
È difficile affermare che «Il Flauto magico» rappresenti soltanto una fase del teatro musicale tedesco; in realtà, è un'opera nazionale in virtù di tutti gli elementi popolareschi, fiabeschi, meravigliosi che sono anche strettamente legati alla lingua e alla forma del Singspiel; ma dal punto di vista musicale è il riepilogo dell'esperienza mozartiana, ne contiene tutti gli aspetti sublimati e, come la restante arte dell'ultimo Mozart, non ebbe eredi immediati né diretti. Rappresenta soltanto la perfezione di una breve e fulminante carriera d'artista, con la quale si conclude il secondo Settecento e se ne celebra la straordinaria varietà di generi musicali in una sintesi universale.
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