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14 GENNAIO 1900

PRIMA RAPPRESENTAZIONE DI TOSCA

A ROMA

 

Mosco Carner così evoca la prima rappresentazione di Tosca nella sua monumentale monografia dedicata a Puccini:
Nello stipato Teatro Costanzi gli interpreti, alcuni dei quali avevano ricevuto minacciose lettere anonime, quella sera del 14 gennaio ebbero l'impressione di sedere su un barile di polvere, e non erano molto lontani dal vero. Infatti un quarto d'ora prima dell'andata in scena, un funzionario di pubblica sicurezza si presentò nel camerino di Mugnone e lo informò della minaccia, giunta all'orecchio della polizia, che durante l'esecuzione fosse buttata una bomba in teatro - in questo caso il direttore d'orchestra avrebbe dovuto attaccare immediatamente l'inno nazionale! Il fatto che fossero attesi la regina Margherita, membri del governo e senatori rendeva plausibili le voci di un attentato.
Mugnone tenne saggiamente nascosta la cosa a Puccini, ma, timido per natura e avendo avuto pochi anni prima la triste esperienza di vedere parecchie persone uccise dalla bomba di un anarchico durante una rappresentazione da lui diretta al Liceo di Barcellona, scese nella fossa d'orchestra come un condannato a morte. L'opera cominciò con un presagio di malaugurio. Le prime battute furono accolte da bisbigli e rumori che aumentarono con l'entrata in scena di Angelotti e presto giunsero a una tale intensità che era impossibile sentire l'orchestra e il cantante. Dal pubblico si levarono grida di «Basta! Giù il sipario!»; e Mugnone si fermò di botto e si rifiutò tremante dietro le scene. Ma la causa della confusione risultò essere del tutto innocente: numerosi ritardatari avevano cercato di forzare uno degli ingressi in sala e, tentando di raggiungere i propri posti, avevano sollevato le violente proteste di coloro che erano già seduti. Ristabilita la calma, l'opera ricominciò da capo e la rappresentazione si svolse indisturbata fino alla fine.
Alcuni biografi di Puccini parlano di una fazione rivale alla quale attribuiscono l'intenzione di far colare a picco la prima della Tosca gettando una bomba. Non è una spiegazione campata in aria, perché a metodi simili per sistemare le rivalità private si era già fatto ricorso nella storia del teatro italiano. Solo poco tempo prima, nel marzo 1894, durante un'esecuzione di «Otello» al Teatro Nuovo di Pisa diretta dal giovane Toscanini, era stata gettata una bomba in palcoscenico, senza peraltro perdite umane. Il mancato assassino non era mai stato scoperto, anche se si nutrivano sospetti su uno degli artisti protestati dal direttore.
È egualmente possibile collegare le voci del lancio di una bomba durante la prima di Tosca col clima politico che regnava in Italia in quell'epoca. Dalla fine della guerra sfortunata contro l'Abissinia nel 1896, il paese irrequieto e scontento, soprattutto a causa del peggioramento della situazione economia, era lacerato dalle lotte politiche. C'erano stati torbidi nelle industrie del Nord e del Sud che il governo del re Umberto I aveva represso brutalmente. Il parlamento era stato sciolto per decreto reale alla fine del giugno 1899. Perfino Puccini, nonostante il suo disinteresse per tutto ciò che esorbitava dalla sfera della sua arte (e della sua caccia), era stato costretto a prender nota, per quanto superficialmente, di questi avvenimenti; specialmente quando, mentre era a Parigi nella primavera del 1898, c'erano stati a Milano dei moti che gli avevano fatto temere per la sua famiglia, rimasta lì.
Gli anarchici avevano attentato già due volte alla vita del re, l'ultima nel 1897. Ora, la Regina aveva fatto sapere che sarebbe stata presente alla prima della Tosca (e arrivò dopo il primo atto) - ottima occasione per chi volesse tentare un assassinio; effettivamente il re fu ucciso sette mesi più tardi, a Monza (il 19 luglio). Esaminate alla luce della situazione politica, le voci che circondarono l'andata in scena dell'opera appaiono perciò in una luce più sinistra di quanto si sia ritenuto finora.
Non c'è dubbio che l'atmosfera eccezionale in cui Tosca ricevè il suo battesimo esercitò un'influenza negativa sulla qualità dell'esecuzione e tenne il pubblico coi nervi tesi. Tuttavia non basta a spiegare i commenti sfavorevoli di tanta stampa, sebbene le recensioni romane, paragonate a quelle torinesi della «Bohème», siano meno aspre. Quella più sensibile non venne da Roma ma da Colombani sul «Corriere della Sera» [Cfr. Prime recensioni]. In ogni modo la misura dell'importanza che la stampa accordava alla nuova opera può essere valutata dal fatto che il «Corriere d'Italia» le dedicò l'intera prima pagina nella quale ci si congratulava con l'autore «pur lamentando che egli si sia cimentato in un tentativo la cui inanità non gli doveva sfuggire».
Questo per quel che riguarda la stampa. Quanto a Puccini, pensava che la «Tosca» fosse stato un mezzo fallimento; ma come per la «Bohème», sia lui sia i critici furono smentiti dal pubblico. Al Costanzi si ebbero più di venti repliche a teatro esaurito, e l'anno stesso l'opera andò in scena in molte altre città italiane.
Mosco CARNER, «Giacomo Puccini», Milano, Il Saggiatore, 1981, pp. 168-169.
Giuseppe Tarozzi riprende Carner con qualche aggiunta:
Tosca va in scena al teatro Costanzi di Roma la sera del 14 gennaio 1900. È una serata particolare, piena di tensione. Alcuni fra i principali interpreti dell'opera hanno ricevuto misteriose lettere anonime, corrono voci secondo le quali i rivali di Puccini e i loro seguaci sono pronti a disturbare la prima esecuzione e a fischiare come dannati. Si temono gli attentati degli anarchici, poiché è risaputo che Sua Maestà la Regina Margherita presenzierà alla prima. Un quarto d'ora prima che si alzi il sipario, un funzionario di pubblica sicurezza si presenta nel camerino di Leopoldo Mugnone, il direttore d'orchestra, e gli fa questo discorsino: può darsi che nel corso della rappresentazione qualche scriteriato e senza patria lanci una bomba. È già successo in altre città. In tal caso, però, nessuna paura. Smetta subito di dirigere lo spartito pucciniano e attacchi con prontezza la marcia reale.
Mugnone, che è un tipo sensibile e non molto combattivo, si sente venir meno. Ha una paura dell'accidente. In effetti, si stanno vivendo momenti eccezionali. La vita dell'Italia è piena di sussulti. Umberto I è stato più volte fatto oggetto di attentati (l'ultimo è del 1897), il parlamento è sciolto per decreto reale dal giugno del 1899. E quella sera, a teatro, oltre alla presenza della augusta sovrana, c'è il presidente del Consiglio Pelloux, il ministro dell'Istruzione Baccelli, tutta la più selezionata nobiltà romana. E poi gli inviati dei principali giornali di tutto il mondo. E fra i musicisti fanno spicco Mascagni, Franchetti, Cilea, Marchetti. Quale migliore occasione per suscitare uno scandalo, per fare scalpore? Non succederà nulla di grave.
È vero, la rappresentazione inizia male, fra zittii e mormorii della parte avversa. E sono così insistenti e forti che Mugnone, già terrorizzato dalle disposizioni ricevute in camerino, abbandona il podio e sospende la recita. Dopo un po', calmatesi le acque, si riprende. Puccini è nervosissimo e pallido come un cencio Non sa affrontare situazioni del genere, sono fuori dalla sua comprensione, non ha grinta. Ma poi, via via, si rinfranca, il pubblico si scalda, batte le mani, applaude e chiede il bis della romanza «Vissi d'arte». Anche «E lucean le stelle» viene bissata. La melodia di Puccini si dimostra, ancora una volta, infallibile. È come una sorta di stregoneria. Alla fine ci sono sette chiamate, tre delle quali per il solo autore.
I giudizi della stampa, al solito, sono un po' vaghi: non stroncano e non esaltano. Alessandro Parisotti, sul «Popolo Romano», dopo una minuziosa analisi dell'opera, così conclude: «Tosca è una lotta ai ferri corti fra le situazioni eminentemente passionali e i colori della tavolozza melodica. Non sempre la vittoria rimane alla tavolozza.» Il che è un bel masticare aria fritta. Per il critico del «Messaggero»: «C'è la vigoria dell'istrumentazione, la virtù del chiaroscuro; c'è soprattutto il suo stile che affascina e che conquide; ma non c'è l'intima fusione, la corrispondenza esatta fra amore e musica.» Per l' «Avanti!», senza menare troppo il cane per l'aia: «Tosca non è adatta al temperamento di Puccini.» E il Colombani sul «Corriere della Sera», dopo aver paragonato quest'opera alla «Bohème», conclude: «Nella Tosca tutto è nero, tragico, terribile [...] e meno vario, meno appariscente, meno leggero.»
Il giorno dopo la prima di Tosca, Luigi Illica invia una lettera all'editore, nella quale attacca a fondo Puccini, tacciandolo di autoritarismo e affermando che «ha mancato di rispetto al lavoro degli umili suoi collaboratori». Puccini pensa subito a un mezzo fallimento. Ma si sbaglia. Così come si sono sbagliati i critici con le loro riserve. Ancora una volta il musicista ha trovato la chiave giusta per conquistare il pubblico. Forse retorica, ma giusta. Al Costanzi si danno più di venti repliche a teatro sempre esaurito. Nel corso dell'anno l'opera verrà data in moltissimi teatri italiani e verrà rappresentata al Colon di Buenos Aires e poi al Covent Garden di Londra. A un successo segue un altro successo. Ovunque applausi e osanna.
Giusepe TAROZZI, «Puccini. La fine del belcanto», Milano, Bompiani, 1972, pp. 69-71.
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