Ralph

 

 

Una serata da Verdi

 

[Frangois-Joseph Méry]

L'«Art Musìcal», Parigi, VII, 8: 22 febbraio 1866, pp. 92-93

CONATI, pp. 43-51
[con taglio di quasi
tutte le note]

 

Marcello Conati

INTRODUZIONE

Non si tratta di un'intervista, né di una vera e propria testimonianza diretta sulla personalità di Verdi. È il documento di un avvenimento alquanto singolare per il carattere e le abitudini dell«orso di Busseto», la cronaca succinta di una serata in cui si dà convegno in casa sua un frammento del caleidoscopico mondo culturale parigino dei Secondo Impero, una di quelle serate che Verdi schivava e che in questa occasione accetta di buon grado, infondendole però uno stile tutto suo. Si tratta in definitiva di una serata in onore dello scultore Dantan, riservata a pochi intimi. L'occasione è fornita dallo scoprimento di un busto di Verdi scolpito da Jean-Pierre Dantan (Parigi 1800 - Bade 1869), detto Dantan le jeune per distinguerlo dal fratello Antoine-Laurent, pure scultore, maggiore di due anni. La sorpresa della serata è però costituita da una caricatura dello stesso Dantan, una delle più belle fra quante hanno avuto per oggetto il compositore. Alberti ci descrive il Dantan come «parigino di bell'ingegno», amicissimo del compositore Pierre Zimmermann (1785-1853), pure parigino, maestro di Thomas, Bizet, Franck, in casa del quale si riunivano compositori, cantanti e musìcisti d'ogni genere e d'ogni paese. Il Dantan cominciò a modellare con molto spirito le caricature dì alcuni di loro, illustrandole con epigrammi in versi scritti sulla base. A poco a poco arrivò a fare una cornicissima raccolta, che egli esponeva ai dilettanti nella sua palazzetta in via Bianche, nº 41, e che mano mano cercò di completare.
Il busto di Verdi scolpito da Dantan verrà collocato dopo la prima rappresentazione del «Don Carlos» nel foyer dell'Opéra. È il 14 febbraio 1866. Verdi si trova a Parigi dall'inizio del dicembre 1865: dopo aver cambiato casa tre volte, si sistema alla fine dell'anno in un appartamento al n. 67 dei Champs Elysées con la moglie Giuseppina. Frequenta i teatri, ascolta per la prima volta la musica di Wagner, va a visitare Rossini (e al ritorno dalla visita Giuseppina annoia sul proprio diario: «Madame Rossini plus désagréable que d'habitude»). A sua volta Rossini, in data 27 dicembre, accompagna una lettera del segretario del Conservatorio, Beauchêne, con un biglietto così indirizzato: «A Mr. Verdi / Célèbre Compositeur de Musique/ 5.me Classe!!! / Paris», e così firmato: «Rossini / Ex Compositeur de Musique / Pianiste de La 4.me Classe», sul quale biglietto si è esercitata la fantasia di qualche biografo. Come mai Verdi a Parigi? Lo spiega egli stesso in una lettera all'Arrivabene in data 31 dicembre 1865:
[...] Io giro in lungo ed in largo Parigi e ne esamino attentamente la parte nuova che è veramente bellissima. Quanti boulevards, quante Avenues, quanti giardini etc. etc. Peccato non splenda piú frequentemente il sole! Sono stato quattro volte all'Opéra!!! Una o due volte in tutti i teatri di musica e mi sono annoiato dappertutto. L'«Africaine» [la cui prima rappresentazione era avvenuta il 28 aprile 1865, a un anno circa dalla morte dell'autore] non è certamente la miglior opera di Meyerbeer. Ho sentito anche la sinfonia del «Tannhäuser» di Wagner. È matto!!! Tu sai che son venuto qui per mettere in scena subito «La Forza dei Destino» e scrivere un'opera nuova alla fine dei '66. Vi era troppo da fare per la «Forza» ed era impossibile per me far tanto lavoro nello spazio d'un anno. Abbiamo combinato di dar prima l'opera nuova che sarà il «Don Carlos» tratto da Schiller. Il poeta sarà Mery. Una volta combinate bene le cose coi poeta tornerò a S. Agata per lavorare quietamente e sarò qui di nuovo, sul finir d'agosto o ai primi di luglio.
Tre giorni prima aveva scritto a Clara Maffei:
Sono qui da un mese e più, come sapete, e veramente non ho ancora avuto tempo d'annojarmi. Il dafar mio è stato ed è tuttora, grande. Immaginate: ho cambiato tre volte di casa: sono stato quattro volle all'Opéra: una e due volte a tutti i teatri di musica: a sentir Theresa!!... e perfino in un concerto popolare per una Sinfonia di Vagner [sic]. Così so un po' di tutto, e non so niente del tutto. [...] Faremo il «Don Carlos»: il Poeta sarà Mery: staremo attaccati a Schiller, ed aggiungeremo solo tanto per far spettacolo. Diavolo! Les machines dell'Opéra devono ben far qualche cosa!...
Frangois-Joseph Méry (Marsiglia 1797 - Parigi 1866) - che nella cronaca di Ralph troviamo già ammalato, probabilmente affetto, dal male che di lì a pochi mesi lo condurrà alla tomba - fu giornalista, poeta, librettista, romanziere, drammaturgo: «poligrafo meno illustre ma altrettanto fecondo dei suoi contemporanei A. Dumas ed E. Sue», lo definisce sull'«Enciclopedia dello Spettacolo» François Lesure, che cita in proposito una frase di Barbey d'Aurevilly: «Questo spirito multicolore ha sempre avuto la facilità del genio, anche nei giorni in cui non ne aveva la potenza». Viaggiò in Italia, che definì in omaggio al suo genio artistico «il Conservatorio di Dio», fondò diversi giornali liberali a Marsiglia e con l'arma della satira combatté la Restaurazione e la Monarchia di luglio. Fu fervido ammiratore di Rossini di cui tradusse il libretto della «Semiramide». Fra i suoi libretti si segnalano quelli scritti per David e per E. Reyer. Aveva chiamato al suo fianco come collaboratore nella stesura del libretto del «Don Carlos» Camille Du Locle, destinato poi a terminarlo.
Ed ecco la cronaca della serata in casa Verdi dei 14 febbraio 1866 descritta dalla penna di un giornalista del'«Art Musical», il periodico fondato nel 1860 da Léon Escudier, editore di Verdi in Francia.
Una serata da Verdi
Tutti i giornali hanno parlato di una piccola riunione intima che ha avuto luogo mercoledì scorso in avenue Champs-Élysées da Verdi. Quei lettori dell'«Art musical», che non avessero letto gli altri giornali - non vi sono assolutamente obbligati - permetteranno che io descriva loro in poche righe l'oggetto di quella riunione dal maestro, che paventa assai le serate e i ricevimenti con il pretesto di preferire le mille volte parlare amichevolmente, tranquillamente con un piccolo gruppo di intimi, senza essere obbligato a coricarsi all'ora in cui i veri lavoratori si levano.
Il direttore dell'«Art musical» si limitò, una quindicina di giorni fa, a pubblicare in un trafiletto, che in fatto di laconicità gareggia con un dispaccio telegrafico, questa breve notizia: «Il celebre scultore Dantan ha ora terminato il busto di Verdi.» Ma gli amatori, i critici d'arte, gli ammiratori di Verdi rizzarono le orecchie. Vi fu chi andò a bussare alla porta dell'incantevole Folie-Dantan, in rue Blanche, e che domandarono di vedere il lavoro serio di codesto autore di statue, il quale tiene due corde al suo arco ovvero due arnesi in mano, l'abbozzatoio del caricaturista per le caricature, il cesello dello scultore per i marmi d'arte.
Qualche giorno più tardi si parlava del busto di Verdi sui grandi giornali. «La Patrie», per esempio, diceva questo:
Il busto che Dantan ha testè finito, di grandezza naturale, benché sembri più grande che in, natura, l'avete indovinato al primo colpo d'occhio, è quello dell'autore del «Trovatore». La rassomiglianza è sorprendente. È ben quella la fronte vasta e pensosa che avrebbe fatto la gioia di Gall; sono quelle le arcate sopraccigliari così accentuate, quelle linee spezzate e contrastate che lo studio, il lavoro, la lotta, la forza di volontà hanno scavato fra le due sopracciglia; quel naso forte dalle narici vivamente arricciate, la sua folta barba, quei capelli disposti o meglio gettati a ciocche diverse; tutto, fino allo sguardo che si crederebbe incerto e perduto e che non è che sognatore allorché la bontà lo addolcisce e l'ispirazione lo anima. - È ben quello Verdi tal quale lo vedremo nel foyer di tutti i teatri italiani dei due mondi... È forse il solo lavoro di Dantan che non sia popolare, - o piuttosto che non lo sia ancora. Non potrebbe esserlo oggi, che esce appena dalle mani del modellatore. Lo sarà domani.» (M. de Thémines)
Questo domani è arrivato. La prima ora è suonata nel salone stesso di Verdi, dove il maestro aveva riunito mercoledì un piccolo numero, di amici, per la maggior parte artisti: S.na Adelína Patti, Sig. Strakosch, Sig. e S.ra Fraschini, Sig. e S.ra Delle-Sedie, Ronconi con sua figlia, S.ra e S.na Tamberlich e Sig. Tamberlich, fratello del celebre tenore, S.ra Esther Sezzi, Sig. du Locle, il collaboratore dì Méry per il libretto di «Don Carlos» che Verdi mette in musica in questo momento, Sig. e S.ra Léon Escudier, Sig. de Lauzières (ovvero Sig. de Thémines), critico di «La Patrie», infine S.ra Dantan - e Sig. Dantan, l'eroe della festa - - perché era per inaugurare l'opera e festeggiare l'autore che si era preso appuntamento dal maestro.
Solamente Méry mancava a questa incantevole riunione; e si sa quanto ne fosse dispiaciuto. Ma il poeta ha pagato per l'oratore. Egli è rinchiuso fra quattro mura nella sua camera e imbacuccato nelle sue maglie dopo la famosa serata in cui volle difendere, nella sala Valentino, il signor Annibale, cittadino cartaginese, accusato dal maestro Frédéric Thomas di non essere andato a Roma. Ecco cosa capita quando ci si occupa di coloro che non vanno a Roma!
Ma Méry ha saputo riempire tutta la serata della sua stessa assenza. Sapete come: collocato il busto sul caminetto dei salone, Léon Escudier domandò un minuto di silenzio, molto facile a ottenere, e lesse una lettera dei poeta. Méry qualche volta scrive in prosa le sue lettere... quando è raffreddato . La lettera spiegava il motivo della sua assenza e accompagnava l'invio di un brano in versi che oggi tutti hanno letto [...] Fu Léon Escudier che lesse-quei bei versi fra gli applausi dell'uditorio. [... ]
Ma una nuova sorpresa ci attendeva. Dantan scoperse una delle caricature pìù spiritose che siano uscite dalla sua penna. - Era Verdi, l'autore della «Forza del Destino», metà uomo metà leone. È al pianoforte e compone; per quanto caricate, le linee del suo volto conservano la rassomiglianza... Che Verdi, mi perdoni! La criniera leonina termina i capelli del musicista e avviluppa il suo torso della sua ricca pelliccia; la coda dei leone, ritorta come un serpente, percuote con l'estremità i tasti del pianoforte. Vi è ben della forza!...
Le partiture sono sparse intorno al pianoforte. Su di una si legge: «Il trouve à tort», libera pronuncia del nome italiano del capolavoro di Verdi [«Il trovatore»]. Dantan l'ha scritta come antifrasi dell'insegna che piú in basso si legge sullo zoccolo: «trovar è il suo, trionfo».
Ecco la quartina spiritosa incisa sullo zoccolo:

Il a des Fiers lions la Griffe et la Crinière:
Trouver est son triomphe, à ce maître hardi;
Il suit à travers champs, des chemins sans ornière,
L'art fleurira toujours tant qu'il aura Verdi.

Vi lascio immaginare gli scoppi di risa e le manifestazioni d'entusiasmo. [...]

Voi crederete, che con artisti come Adelina Patti, Fraschini, Ronconi, Delle-Sedìe e Strakosch, - senza contare Verdi stesso, accompagnatore naturale in casa sua, - si facesse della musica? Ah bene! No! Il maestro non lo permise. Si avrebbe avuto il buon gusto di scegliere la sua musica, ed egli non ama che si esegua la sua musica in casa sua. Ci si vendica bene eseguendola altrove dappertutto.
Ho visto allora per la prima volta in vita mia un fatto strano: dei celebri artisti che volevano a tuttì i costi cantare e il padrone di casa che glielo impediva. Tutto il contrario di quel che sempre succede.*

Ralph

Camille Du Locle (Orange 1832 - Capri 1903), genero di Émile Perrin, direttore dell'Opéra, ed egli stesso segretario dei grande teatro parigino; nel 1869 fu nominato direttore aggiunto; dal 1870 al 1876 diresse l'Opéra-Comíque, commissionando fra l'altro a Bizet la «Carmen». Come librettista aveva esordito nel 1856 per un'operetta di J. Duprato; fra i suoi libretti piú importanti oltre al «Don Carlos» (in collaborazione con Méry) sono da citare «Sigurd» e «Salammbô» per Ernest Reyer. Tradusse in francese il libretto del «Simon Boccanegra» e i primi due atti dell'«Otello». Il suo nome è soprattutto legato all'«Aida»: fu il principale artefice dell'operazíone che condusse alla scelta di Verdi, su una terna di compositori comprendente Gounod e Wagner, per un'opera nuova da rappresentarsi al Cairo su un argomento suggerito da Mariette Bey. A Sant'Agata con Verdi, nel giugno dei 1870, in meno di una settimana (e non in tre settimane come affermato da alcuni biografi [...] ricavò dal «programma» di Mariette uno scenario con dialoghi in prosa. Si dolse poi nel veder scomparire il proprio nome dalla stesura definitiva del libretto, di cui si considerava autore. Ursula Günther [...] tende ad accreditare le ragioni del Du Locle. Ma a parte gli indiscutibili meriti di questi nel condurre l'intera operazione fra i committenti egiziani e Verdi, la storia della composizione dell'«Aida» non lascia dubbi: il vero autore del libretto è Verdi stesso, Ghislanzoni essendosi praticamente limitato alla versificazione. [...] D'altronde in una lettera a Giulio Ricordi, del 25 giugno 1870, Verdi è molto esplicito:

«[...] Venne subito qui Du Locle col quale estesi le condizioni, studiammo insieme il programma, ed insieme facemmo le modificazioni credute necessarie. Du Locle è partito colle condizioni, e colle modificazioni da sottoporsi al potente ed ignoto autore. Ho studiato ancora il programma e vi ho fatto e sto facendovi nuovi cambiamenti. Bisogna ora pensare al libretto, o, per meglio dire, a fare i versi, perché oramai non abbisognano che i versi. Ghislanzoni può Egli e vuole farmi questo lavoro?... Non è un lavoro originale, spiegatela bene; si tratta soltanto di fare i versi [...] (autografo: Archivio della Casa Ricordi, Milano)

Venti giorni piú tardi, il 15 luglio, Verdi informava lo stesso Du Locle:«fu qui Giulio Ricordi col poeta che verseggierà «Aida». Ci siamo accordati su tutto e spero di ricevere presto i versi del primo Atto, che così potrò io stesso mettermi a lavorare. Abbiamo fatto qualche modificazione al Duetto dei Terzo Atto tra Aida e Radames. [...] (autografo: Bibliothèque de l'Opéra, Parigi)
Adelina Patti (Madrid 1843 - Breckock, Galles, 1919), la più popolare e ricercata cantante dell'epoca. Verdi ebbe per lei una stima quale non nutrì per nessun'altra cantante, Malíbran compresa. Scriverà a Giulio Ricordi il 5 novembre 1877 (non ottobre, come erroneamente segnato sulla lettera autografa) dopo il trionfo scaligero nella «Traviata» il 3 novembre:

«Dunque successo... grande... Doveva ben essere! - Voi la sentiste dieci anni fà, ed ora esclamate: quale cambiamento; V'ingannate! La Patti era allora quella che è adesso: organizzazione perfetta; perfetto equilibrio fra la cantante e l'attrice... Artista nata in tutta l'estensione della parola. Quando la sentii la prima volta (aveva 18 anni) a Londra [nel 1862], restai stupito non solo della maravigliosa esecuzione, ma di alcuni tratti di scena in cui si rivelava una grande attrice. Mi rammento il contegno casto e pudico quando nella «Sonnambula» si posa sul letto dei militare e quando nel «Don Giovanni» sorte contaminata dalla stanza dei libertino. Mi rammento una certa contro-scena nell'aria di Don Bartolo nel «Barbiere», e più di tutto nel Rec. che precede il Quartetto del «Rigoletto» quando il padre le mostra l'amante nella Taverna dicendo: »E l'ami sempre? ... Io l'amo»: risponde. Non v'è espressione che possa esprimere l'effetto sublime di questa parola detta da Lei... - Questo ed altro sapeva dire e fare anche prima di 10 anni fà. Ma molti non volevano convenire, allora [...]. Se vedete la Patti, ditele tante cose per parte mia, e di mia moglie. Non le mando il solito, mi rallegro, perché mi pare proprio che per la Parti sia la cosa piú inutile del mondo: ed Ella sa poi, e molto lo sa, che io non ho aspettato l'esito di Milano, ma che fin da quando io la sentii la prima volta a Londra (quasi bambina) la giudicai Cantante ed attrice meravigliosa. Un'eccezione nell'arte. [...] (autografo: Archivio della Casa Ricordi, Milano)

Due giorni dopo questa serata, il 16 febbraio, Verdi informava Arrivabene:

«Non dubitare... son vivo! e so di esserlo perché sento le noie di tutti i secca c.. che inondano Parigi a flagello della povera umanità. Tanto fa essere in mezzo ai Champs-Élysées a tre miglia di distanza dal centro, od a l'Hôtel de Bade in bel mezzo ai Boulevards des Italiens. Ciò che vi ha di piú singolare si è che si dà tanto da fare, quando vi coricate la sera trovate che le 24 ore della giornata sono passate senza far nulla! Non vedo l'ora che i miei poeti abbiano finito il libretto per poter tornare a S. Agata e scrivere con quiete. Tu vedrai nei giornali, e specialmente se vi arrivano i piccoli giornali come l'«Événement», «Le Petit Journal» etc. etc. vedrai che io ho dato una serata in onore di Dantan pel busto fattomi. Veramente serata en titre non vi fu, perché io non feci invito; ma vennero l'altra sera da me le persone intime per vedere questo busto. Si voleva far musica, ma io non lo permisi per evitare la pubblicità, e ciò mi è riuscito come la quiete ai Champs Élysées. È certo che colla Patti, Fraschini, Dalle-Sedie, Ronconi etc. etc. potevamo fare buona musica. Il busto, tutti lo dicono, è veramente bello, ma Dantan mifece la sorpresa delta caricatura, che io trovo ancor piú bella. È un leone seduto, che con un diavolo di coda che passa tra le gambe suona unitamente ad una zampa il Pianoforte, l'altra zampa scrive le opere etc... Quante chiacchìere! Ti ringrazio adunque e amen. [«Verdi intimo», pp. 68-69).

rtfg