Jules Claretie

Una prova di 'Don Carlos'

CONATI, pp. 55-65

[con taglio di quasi
tutte le note]

Marcello Conati

INTRODUZIONE

A un anno quasi esatto dalla serata in onore di Dantan ritroviamo Verdi a Parigi, ma questa volta sul palcoscenico della «grande boutique». Lo ritroviamo nella testimonìanza di un giornalista del «Figaro», penetrato di soppiatto all'Opéra e celato nel buio di un palco, che dopo aver ascoltato il terzo atto di una prova generale della nuova opera dì Verdi, corre subito al giornale e scrive di getto l'articolo. È già la quarta prova generale (ma ne verranno ancora altre quattro prima di arrivare alla sospirata première ... ): la data, 17 febbraìo, coincide infatti con quella annotata sul «Relevé des Répetitìons de Don Carlos» a sua volta segnato sul «Journal de la régie». È passato un anno e il «Don Carlos» sembra terminato. Sembra... ma non lo è ancora; qualche giorno piú tardi il compositore opererà un ennesimo taglio alla ponderosa partitura: quello di un coro interno nel primo quadro del terzo atto. E altri tagli verranno effettuati in seguito, che richiederanno nuovi aggiustamenti. Una fatica immane, «da ammazzare un toro». Una fatica che dura da metà agosto, da quando il compositore aveva cominciato a presenziare le prove.
Ora Verdi è là, seduto sul palcosecnico, immobile come «qualche dio assiro», «pensoso», con «tutta l'anima in ascolto»... Ma quanto lavoro e quanta fatica, nel frattempo, e soprattutto quante prove e ripensamenti e tagli e aggiustamenti! ... Aveva scritto il 28 settembre 1866 ancora fiducioso, ma non troppo, all'Arrivabene:

Come tu capirai sono ingolfato nelle prove del «Don Carlos». Si va avanti ma, come sempre a l'Opéra, a passi di lumaca. Del resto tutto va regolarmente. Si sperava di poter andar in scena verso la metà di Dicembre, ma io non lo credo.

E il 10 dicembre 1867, sempre all'Arrivabene:

T'avrei scrigo prima se non avessi avuto sulla punta delle dita una quantità di note che cascavano sulla carta della partitura del «Don Carlos» e tu correvi pericolo di ricevere una lettera piena di note che valevano ancora meno che le mie parole. Ora che anche l'istromentazione è finita e che non v'è piú pericolo che ti scriva note invece di parole ti dico che l'opera è finita completamente, salvo i Ballabili, che le prove marciano regolarmente, che sono incominciate le prove di mise en scène e che spero di poter dare la 1ª rappresentazione entro la seconda metà di gennaio. Vedi che baracca è quest'Opéra! Non si finisce mai!

Dal canto suo Gìuseppina Verdi all'amico Mauro Corticelli, agente teatrale di Adelaide Rìstori, in data 7 dicembre 1866:

Il «Don Carlos», a Dio piacendo, ed alle Tartarughe dell'Opera, andrà alla fine di Gennajo! Gesú! che punizione dei peccati commessi, è per un Compositore la messa in iscena di uno spartito in quel teatro colle macchine di marmo e di piombo!

Il 15 gennaio giunge da Busseto una notizia ferale: il padre ottantaduenne del compositore, Carlo, è spirato. Verdi affoga il dolore nelle prove esasperanti del Don Carlos, e l'8 febbraio si rivolge all'Arrivabene:

Oh certo certo avrei voluto chiudere gli occhi a quel povero vecchio, e sarebbe stato un sollievo per Lui e per me! Ora sospiro il momento di ritornare a casa per vedere come son trattate quelle due povere creature rimaste; una vecchia di 83 anni ed una bambina di 7 [Fìlomena Verdi, che, ribattezzata Maria, sarà adottata da Verdi e ne diverrà l'erede]. Immaginati! nelle mani di due domestici che si può dire ora son padroni di casa!... Spero di poter andare in scena il 22 ed io partirei alla sera del 23 o del 24.

Ma il 24 sarà il giorno della sesta prova generale con scene e costumi... L'opera insomma andrà in scena solo l'11 marzo, dopo sette mesi di prove con i cantanti, con i cori, con l'orchestra, con le comparse, con il corpo di ballo, con la musique Sax, con le machines, i décors, i costurnì, la copisteria, la tipografia ecc. ecc. Sei mesi costellati da incidenti di ogni genere, come aveva informato la France Musicale nel numero del 23 dicembre:

Si parla di piccoli incidenti e di un curioso aneddoto a proposito degli studi preliminari dell'opera nuova dì Verdi. La pazienza del compositore è stata messa sovente a temibili prove; ma infine, grazie all'intervento sempre conciliante di Perrin, tutte le diffìcoltà sono state superate, e si assicura che ora tutti gli artìsti si trovano soddisfatti. Bisogna confessare che i compositori che lavorano per l'Opéra non camminano sempre su strade ricoperte di rose. Vi incontrano, ahimè!, piú spesso spine che fiori. Felici loro se possono giungere allo scopo che perseguono senza aver perduta la pazienza e senza essere stati obbligati a dare qualche grande battaglia.

Incidenti, aneddoti, prove interminabili e interminabili fatiche, una sorda ostilità nei suoi confronti... L'autore dell'articolo, Claretie, ìntuisce tante difficoltà ed è soggiogato dalla tempra dell'artista. Dal suo canto Verdi ha già tratte le proprie conclusioni; due anni e mezzo piú tardi le renderà esplitite in una famosa lettera a Du Locle:
[ ... ] helas!! non è la fatica di scrivere un'opera, né il giudizio del Pubblico Parigino, che mi trattengono; bensí la certezza di non poter riuscire a fare eseguire a Parigi la mia musica, come voglio io. È cosa ben singolare, che un Autore debba sempre vedersi attraversato nelle sue idee, e svisate le sue concezioni! Nei vostri teatri musicali (sia detto senz'ombra d'epigramma) vi sono troppo Sapienti! Ciascuno vuol giudicare a norma delle proprie cognizioni, de'suoi gusti, e, quel che è peggio, secondo un sistema, senza tener conto del carattere, e dell'individualità dell'Autore. Ciascuno vuol dare un parere, vuol emettere un dubbio, e l'Autore vivendo per molto tempo in quell'almosfera di dubbj, non può a meno, a lungo andare, di non essere un po' scosso nelle sue convinzioni, e finire a correggere, ad aggiustare, e, dirò meglio, a guastare il suo lavoro: In questo modo, si trova alla fine sotto la mano, non un'opera di getto, ma un mosaico, e sia pur bello quanto si voglia, ma sempre mosaico. Mi si opporrà che all'opéra, avvi una filza di Capi-d'opera fatti in questo modo. Sien pur Capi-d'opera finché volete, ma siami permesso dire, che sarebbero ben piú perfetti, se non vi si sentisse di tratto in tratto la pezza, e l'aggiustatura. Nessuno negherà certamente il genio a Rossini! Ebbene: malgrado tutto il suo genio, nel «Guillaurne Tell» si scorge questa fatale atmosfera dell'opérà, e qualche volta, benché piú rado che negli altri Autori, si sente che vi è qualche cosa di piú, qualche cosa di meno, e che l'andamento non è cosí franco e sicuro, come nel «Barbiere».
Con questo, io non intendo disapprovare quello che si fà da Voi; intendo solo dirvi che a me, è assolutamente impossibile passare di nuovo, sotto le Forche Caudine dei vostri teatri, avendo la coscienza che per me, non è possibile un vero successo, che scrivendo come sento io, libero da qualumque influenza, e senza riflettere che io scriva per Parigi, piuttosto che pel mondo della Luna: conviene inoltre, che gli artisti cantino non a loro modo, ma al mio: che le masse "che pur hanno a Parigi molta capacità" avessero altrettanto buon volere: che infine, tutto dipenda da me, che una volontà sola domini tutto, la mia. Ciò parrà un po' tirannico!... è forse vero. Ma se l'opera è di getto, l'Idea è Una, e tutto deve concorrere a formare quest'Uno. Voi forse direte, che nulla impedisce di ottenere tutto questo a Parigi. Nò: in Italia si può, anzi io lo posso sempre, ma in Francia, nò. Se io p. es. mi presento in un foyer d'un Teatro Italiano, nissuno osa esporre un'opinione, un giudizio, prima di aver ben capito, e nissuno, mai arrischia domande fuor di proposito. Si rispetta l'opera e l'autore, e si lascia decidere al Pubblico, Al foyer dell'Opéra al contrario, dopo quattro accordi si sussurra dapertutto "oh, ce n'est pas bon.. c'est commun.. ce n'est pas de bon gout... Ca n'ira pas à Paris.... Cosa significano mai queste povere parole di commun... di bon gout... di Paris.. se siete davanti ad un'opera d'arte, che deve essere universale!La conclusione di tutto questo si è che io non sono un compositore per Parigi.
Non so se ne ho il talento, ma so che le mie idee, in fatto d'arte son ben diverse dalle vostre. Io credo all'Ispirazione: voi altri alla Fattura. Ammetto il vostro criterio per discutere; ma io voglio l'entusiasmo, che a Voi manca, per sentire e giudicare. Voglio l'arte in qualuinque siasi sua manifestazione, non l'arrangement, l'artifizio, il sistema, che Voi preferite. Ho torto? Ho ragione? Comumque siasi, ho ben ragione di dire che le mie idee son ben diverse dalle vostre, ed aggiungo inoltre che non ho la spina dorsale, come tanti altri, tanto pieghevole per cedere, e rinnegare le mie convinzioni che sono profondissime e radicate. Sarei anche desolatissimo, di scrivere per Voi, mio caro Du Locle, un'opera, che forse dovreste mettere da parte, dopo una dozzina o due di rappresentazioni, come fece Perrin pel «D. Carlos». - [...]
Per ora Verdi è là, sul palcoscenico dell'Opéra, attorniato dallo stato maggiore musicale, composto da nomi celebri che vanno da quello dei compositore e musicologo belga Gevaert, nominato da appena quattro giorni directeur de la musique, a quelli di Massé, di Delibes, di Cormon, di Cadaux (manca Vauthrot, chef de chant, oggi diremmo "maestro di sala": forse dimenticato dal giornalista dei "Figaro", forse momentaneamente impegnato altrove per altre prove). È, ripetiamo, il 17 febbraio 1867, durante la prova della grande scena del terzo atto del «Don Carlos».

Jules Claretie

Una prova del Don Carlos