Massimo Mila

Bellini, Donizetti
e il melodramma romantico

 

Il romanticismo nasce in Germania e si diffonde nei paesi europei attraverso diversi fenomeni di adattamento a circostanze locali. La ricca tradizione classica dell'Italia impone un inevitabile processo di temperamento, analogo a quello che cinque secoli prima aveva subito lo stile dell'architettura gotica, quando i maestri del duomo d'Orvieto ne correggevano l'irresistibile slancio ascensionale con una solida impalcatura di linee orizzontali.
È significativo che il piú grande esponente del movimento romantico in Italia sia stato un artista di cosí equilibrato buon senso, di cosi olimpica saggezza come Alessandro Manzoni, un romantico che anche Goethe poteva sinceramente apprezzare. Per lunga eredità di educazione classica, forse anche per naturale inclinazione favorita dal clima e dal paesaggio, l'italiano ripugna al vertiginoso approfondimento del lato notturno» della vita e alla ricerca degli aspetti segreti delle cose. S'immerge nell'evidenza sensibile dei fenomeni, piú che interrogarne il mistero. Quanto possiede, è per lui un elemento positivo, di cui godere a fondo, non una dolorosa limitazione che circoscriva fatalmente il suo possesso e stimoli in lui l'implacabile nostalgia di tutto il resto che non possiede.
Perciò, se anche in Italia il romanticismo significò potenziamento dell'individuo, chiamato in primo piano in tutti i campi dell'arte e della vita morale, questa esaltazione dell'individuo non si accompagnò a un senso profondo della sua limitatezza e al bisogno irresistibile di evaderne. L'anelito all'infinito, la ricerca disperata dell'assoluto sono gli elementi che difettano al romanticismo italiano; e la progressiva scomparsa della musica strumentale alla fine del Settecento priva l'Italia proprio di uno dei mezzi che si rivelarono piú preziosi per l'esplorazione di quei sentimenti. L'indeterminatezza semantica della musica strumentale, che ne fa l'arte romantica per eccellenza, la piú naturalmente adatta a cogliere nel profondo i moti oscuri della vita interiore, non viene sfruttata dai compositori italiani dell'Ottocento, per i quali la musica è saldamente legata a concrete vicende melodrammatiche e alla plasticità di definiti personaggi.
Che cosa rimane dell'originaria accensione romantica nell'Ottocento musicale italiano? L'affermazione dell'individualismo si traduce in un'intensificazione dei sentimenti: il melodramma esce dalla composta misura della razionalistica retorica settecentesca per entrare in un clima piú appassionato e piú ardente, che tocca da vicino gli interessi e le esperienze d'ogni uomo. Tutto ciò che nel romanticismo è ribellione all'onnipotenza della ragione ed esaltazione del cuore, del sentimento, è bene accetto alla musica italiana del secolo XIX.
Ma delle tante vie che il romanticismo tedesco esplora per evadere dalla limitatezza dell'individuo e assumerlo nella certezza dell'assoluto, l'italiano lascia cadere quelle che non facciano perno ancora e sempre intorno alla persona umana: principalmente lascia cadere il prolungamento dell'individuo nell'infinito della natura e il prolungamento dell'individuo nell'infinito della religione, o comunque della metafisica. La musica italiana dell'Ottocento è povera di aperture verso il paesaggio e non conosce l'immedesimazione panica con la natura, la rivelazione del linguaggio segreto delle acque, delle piante, delle rocce, il mormorio della foresta, il silenzio delle cose e la manifestazione della loro vita. Con un po' di esagerazione, si potrebbe dire che l'italiano non conosce la natura, ma la campagna, cioè la terra lavorata dall'uomo e trasformata dalla sua civile presenza: Virgilio stampa un'ineliminabile impronta georgica sui rapporti degli italiani con la natura.
Anche sotto questo punto di vista il «Guglielmo Tell» di Rossini (col singolare antecedente della «Donna del lago») costituisce una sorprendente eccezione. Certo il melodramma italiano dell'Ottocento riuscirà a liberarsi dall'artificioso convenzionalismo arcadico e a cogliere, nella dimensione dell'idillio, lo schietto profumo agreste; ma gli resteranno precluse le allucinanti intuizioni della natura selvaggia proprie di quella linea romantica che va dalle «Waldszenen» di Schumann alla seconda scena del «Wozzeck».
Ugualmente privo di reali aperture verso la trascendenza religiosa, il romanticismo musicale italiano si concentra tutto intorno al plastico rilievo della persona umana: non fanno eccezione a questa norma i capolavori della musica sacra nell'Ottocento, cioè la «Messa di Requiem» di Verdi, di cui è protagonista l'uomo e non Dio, e le due composizioni della tarda età rossiniana, lo «Stabat Mater» e la sorprendente «Petite Messe solennelle», dove il carattere sacro è piuttosto un raffinatissimo fatto di stile, che reale partecipazione interiore.
Di tutta la ricca tematica proposta al romanticismo dall'esaltazione dell'individuo, l'amore è l'aspetto che la musica italiana dell'Ottocento raccoglie con maggior prontezza; ma lo sottopone a una realistica semplificazione. L'amore è l'alfa e l'omega del melodramma nei primi decenni del secolo, il solo soggetto intorno a cui potesse polarizzarsi il teatro d'una società che non possedeva libertà politica né di pensiero, e appena in pochi strati piú avanzati cominciava a sentirne il bisogno.
Ma l'amore che regna nel melodramma italiano non conosce i sottintesi filosofici che, da Faust a Tristano, ne fanno uno dei cardini della concezione romantica e lo inseriscono, al pari della natura e della religione, nell'esasperazione della Weltanschauung individualistica: prolungamento dell'individuo in un'altra creatura, nel romanticismo d'oltr'Alpe appare anch'esso come uno dei mezzi da tentare per evadere nell'infinito, per rompere i limiti dell'individuo e entrare in comunicazione con il mondo esterno, con il non-Io.
Nel melodramma italiano dell'Ottocento l'amore, indagato nella naturalistica evidenza dei suoi aspetti psicologici ed affettivi, acquista soltanto in verità, intensità ed importanza. La romantica esaltazione del cuore, a danno della ragione, viene intesa dagli Italiani corne apologia dell'amore. L'amore è la sola verità della vita, unico bene, unica positività: tutto ciò che lo ostacola è inganno, menzogna, malvagità e sopruso. Le opere di Bellini e Donizetti esauriscono la patologia dell'amore infelice.
Bellini scrisse un'opera su «I Capuleti e i Montecchi», ma in realtà tutta la produzione di questi due operisti è un'immensa variazione sul tema di Giulietta e Romeo. Certamente in queste opere si ama diversamente che nel melodramma serio del Settecento, prigioniero di altezzosi schemi tragici, e in questa diversità dell'amore, in questa piú alta temperatura passionale, consiste il loro romanticismo.
Se ne rendeva conto benissimo Bellini quando scriveva al Florimo, il 30 novembre 1834, a proposito dei «Puritani»: «Il libro è d'un genere appassionato, come ti dissi, non è tragico, non ha passione di coturno; ma è tenero, passionato, e la musica credo che l'ho indovinata».
Le opere serie di Donizetti sono una languida galleria di amanti infelici: «Anna Bolena», «Torquato Tasso», «Parisina», «Lucrezia Borgia», «Maria Stuarda», «Lucia di Lammermoor», «Pia de' Tolomei». Nei casi di questi personaggi lo spettatore rifletteva la modestia borghese delle proprie esperienze sentimentali con ben altra pienezza di partecipazione che quella consentita dalla grande retorica tragica delle «Polissene», delle «Semiramidi», delle «Sofonisbe».
Anche le carriere di Bellini e Donizetti confermano la trasformazione portata dall'Ottocento nella situazione musicale italiana, cioè il declino della gloriosa scuola napoletana e la graduale unificazione del gusto nazionale attraverso il sopravvento degli ambienti settentrionali, piú colti e piú aperti all'influenza europea.
Il siciliano Bellini (Catania 1801 - Parigi 1835) è l'ultimo prodotto della scuola napoletana, ma verrà completamente assorbito dall'ambiente milanese: quando ritornerà nel Sud a visitare i luoghi della sua infanzia, dopo i trionfi della «Sonnambula» e della «Norma» (1831), lo farà quasi con la degnazione d'un turista, ostentando con orgoglio la sua amante settentrionale, la bella Giuditta Turina, moglie d'un ricco commerciante di sete lombardo.
Per contro l'arte del bergamasco Donizetti (1797-1848) non trova ostacoli nei centri di Napoli [San Carlo]e Roma. La divisione musicale del Nord e del Sud si svuota di reale contenuto stilistico, e sopravvive tutt'al piú, anche oggi, come una feconda dialettica, nel gusto musicale della nazione, di due principi - Machiavelli avrebbe detto «duoi umori» - complementari. Sul terreno pratico ne rimaneva, ben inteso, lungo strascico di gelosie, rivalità e rancori, come quelli che impedirono a Donizetti di succedere allo Zingarelli nella direzione del Conservatorio di Napoli. Gli fu preferito il Mercadante, benché fosse già quasi interamente cieco, perché napoletano; ed è significativo per la marcia dei tempi nel senso della totale unificazione, che trent'anni dopo, alla morte di quest'ultimo, il Conservatorio offrisse ossequiosamente la direzione a Giuseppe Verdi, il quale naturalmente declinò l'incarico.
Rivali in patria, e costretti a spartirsi tacitamente le zone d'influenza - al meridionale Bellini il Nord, e al settentrionale Donizetti l'Italia centro-meridionale - entrambi si trovavano a dover lottare contro le medesime diflicoltà all'estero, principalmente a Parigi dove apriva loro la strada la benefica protezione di Rossini.
Tramontata l'egemonia del melodramma italiano, nell'Ottocento si accentua il distacco tra la musica italiana e quella d'oltr'Alpe. Quasi come implicita conseguenza della semplificazione subita dal romanticismo in Italia, si afferma il luogo comune, accettato dall'una e dall'altra parte, che la musica italiana sia essenzialmente melodia e canto, e quella tedesca essenzialmente armonia e sinfonismo strumentale.
Se romanticismo vuol dire vittoria del cuore sulla ragione, gli Italiani ne deducono che la melodia sia la vera forma della musica romantica, e tacciano di astrusità cervellotica ed artificiosa l'approfondimento dei mezzi armonici e strumentali che serve ai romantici tedeschi per esplorare le regioni oscure dell'inconscio e cogliere nella sua realtà ineffabile la vita del sentimento.
Ma all'estero, anche se il pubblico è sempre avido di melodie e voci italiane, bisogna affrontare la concorrenza e la critica locale, bisogna fare i conti con il gusto nuovo di ambienti dove cominciano ad affermarsi le Sinfonie beethoveniane e i capolavori strumentali del romanticismo. Scrivendo «I Puritani» per Parigi nel 1834, Bellini è ossessionato dalla preoccupazione della strumentazione. «La Favorita» di Donizetti solleverà l'entusiasmo dei parigini nel 1840, ma Wagner ne sarà stomacato e lo stesso Schumann, insensibile alla bellezza dell'ultimo atto, la tratterà da «musica per teatro dei burattini».
All'unificazione nazionale del gusto musicale corrispondeva dunque l'accentuata frattura in campo europeo, e l'Italia stava per trovarsi in minoranza e isolata contro il progresso della cultura musicale negli altri paesi. All'interno, l'unificazione del mercato teatrale aveva imposto l'esigenza del primato individuale nell'agone operistico. Durante il Settecento il melodramma italiano era una repubblica, e il decentramento delle scuole musicali e dei teatri favoriva il pullulare di numerosi talenti.
Nell'Ottocento il melodramma italiano diventa una monarchia, e Rossini ne è il fondatore. Due galli in quello stesso pollaio non possono fare a meno di disputarsi ferocemente il primato. In questa lotta, la quantità della produzione non contava meno della qualità: la rapidità di scrittura permetteva di essere presenti in tutte le piazze, di togliere ordinazioni ai rivali; meglio un insuccesso, che il rischio di lasciarsi dimenticare. Tuttavia il fecondissimo Donizetti, oscurato in gioventú da Rossini, non potè prevalere contro la produzione lenta, rara, insolitamente meditata e accurata di Bellini. Poi la morte prematura del rivale gli consentí di occupare per un decennio il trono lasciato vacante dall'abdicazione di Rossini. E a sua volta, la malattia e la morte gli risparmieranno lo smacco d'essere spodestato dall'irresistibile ascesa di Giuseppe Verdi, la cui arte era portata sull'onda del Risorgimento.
Invece il melodramma di Donizetti è il prodotto della borghesia italiana prima del Risorgimento. La malinconia tenera e patetica dei suoi drammi («Linda di Chamonix», 1842), il tenebrore fosco delle tragedie («Anna Bolena», I830) sono un po' banali e spesso si sciolgono in arie ben tornite dove troppo prevale la facilità dell'inesauribile melodista. Ma nella passione amorosa gli eroi donizettiani trovano talora («Lucia di Lammermoor», 1835; «La Favorita», 1840) accenti di umana disperazione, dove la musica, fatta semplicissima, tocca la verità nuda e nostalgica del canto popolare. Alcune scene secondarie di opere serie («Lucrezia Borgia», 1833) si ricollegano all'ispirazione, veramente alta, delle commedie musicali «L'elisir d'amore» (1832) e «Don Pasquale» (1843), pregevoli per consistenza e naturalezza di caratteri, per vivacità e ricchezza musicale, mentre «La figlia del reggimento» (1840), scritta per l'Opéra-comique di Parigi, riuscì uno dei piú brillanti saggi di quel genere teatrale.
A differenza di Bellini e a differenza di Verdi nella sua giovinezza, Donizetti non aveva preoccupazioni per raggiungere un dignitoso livello orchestrale quando presentava opere sue all'estero: l'eleganza del suo strumentale, l'impiego sagace e raffinato dei legni, la spontanea intuizione delle possibilità espressive insite nei timbri, erano in lui una dote innata, che solo da poco tempo comincia a venirgli riconosciuta. È come se un riflesso della civiltà strumentale austriaca si prolungasse, attraverso la soggezione politica del Lombardo-Veneto, sull'arte del compositore bergamasco.