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Del Pellicano
".. il nostro pellicano" (Dante, Paradiso,
XXV, 113)
"Pie Pelicane, Jesu Domine" (Antico
canto sacro citato da Hans Biedermann)
La Simbologia.
Sembra che l'uccello
bianco d'Egitto con questo nome, dal caratteristico lungo becco,
nutrendo attraverso un'apertura del collo i suoi piccoli, abbia
dato luogo alla leggenda del sacrificio delle proprie carni per
la vita dei figli fino a divenire "emblema di carità"
(O. Wirth) ovvero di devozione parentale fino al sacrificio. Più
realisticamente, l'incurvare del becco verso il petto per cibare
i piccoli con pesci trasportati nella sacca indusse a credere che
addirittura l'animale si squarciasse il petto per dare loro
nutrimento col proprio sangue. L'analogia di forme e affilatura
del becco e scure, l'assonanza con le parole greche e sanscrite
con il significato di ascia (pelekus e paraçu rispettivamente),
segno simbolico del sacrificio di sangue, potrebbe far risalire l'origine
della leggenda a tempi antichissimi. Il reperimento di sue
rappresentazioni in epoche assai diverse, dalla scultura
messicana in pietra vulcanica del 600-1000 d.C. ai numerosi
riscontri europei non solo medievali, dimostra la sua rilevanza
simbolica.
Dal Bestiarum Christianum.
Il pellicano compare solo una volta nell'Antico Testamento (Salmi, 102.7) e
non viene mai nominato nei Vangeli. Troppo poco forse per
meritare la citazione nel Dizionario delle immagini e dei simboli
biblici delle Edizioni Paoline, che non ne riporta alcun cenno.
Si deve soprattutto al Physiologus (II-IV secolo?) - il
pellicano è al n°4 del suo inventario - la diffusione della
leggenda, in termini alquanto più complessi; narrando della
resurrezione dei piccoli (dopo tre giorni) ad opera della madre,
che li ha uccisi, vi è l'adattamento diretto alla simbologia di
Cristo "che è salito alle altezze della Croce e dal suo
fianco aperto sono sgorgati il sangue e l'acqua per la salvezza e
la vita eterna". Oltre a Dante, anche S.Tommaso d'Aquino
("il pio pellicano") usa l'allegoria. Ulteriori
riscontri si reperiscono in Michael Glychas e in vari "bestiari"
medievali, fino alle ultime rivisitazioni del XVIII secolo (cfr
stampa a colori dell'epoca pag, 155, L'Arte dorata, A. de
Pascalis). Echi dell'antica credenza si possono ancora trovare in
alcuni adornamenti dell'arte religiosa cristiana nei luoghi più
vari, come, ad esempio, in un rilievo del Duomo di Münster (1235)
e, più vicino a noi, in una statua sul frontone della Chiesa
della Maddalena in Castelnuovo Magra. Un'incisione - suggestiva
nella sua essenzialità - su un elemento lapideo del cornicione
dell'abside della Chiesa di S. Felicita, in località Prelerna
nel Comune di Solignano (PR) riproduce con chiarezza il pellicano
nell'atteggiamento più classico del becco contro il petto.
Probabilmente la pietra è stata riutilizzata dai resti di un
antico convento di Gesuati e, quindi, può farsi risalire circa
al 1400. Anche opere di arredo sacro contemporanee a carattere
artigianale rappresentano il pellicano (Chiesa di Valletti nel
Comune di Varese Ligure).
Un'estensione ermetica della leggenda,
attraverso la simbologia della materia humida, che scompare con
il calore solare per rinascere d'inverno, ricollega il pellicano
al sacrificio di Cristo ed alla sua resurrezione, ma anche a
quella di Lazzaro, tanto da accoppiare talora l'immagine del
pellicano con quella della fenice. Ciò avviene anche per i
Moderni. E. Minguzzi (Alchimia, il cammino della potenza)
illustra il mito della Fenice con con la stessa immagine
rosicruciana del pellicano impiegata per ben due volte nello
stesso testo da O. Wirth (Il simbolismo ermetico) per commentare
il significato del pellicano. Ma i molti figli possono essere
scambiati per fiamme... Peraltro nella Sapientia veterum
philosophorum sive doctrina eorundem de summa et universali
medicina del XVIII secolo pellicano e fenice compaiono
rispettivamente nella figura XXVII e XXVIII per rappresentare
exaltatio essentiae e essentia exaltata. Analoga contiguità e
consequenzialità si notano fra il pellicano e la fenice,
rispettivamente immagini n° 46 e 47 nella decima delle
diciassette figure attribuite a J. C. Barchusen (databili tra il
1615 e il 1635) e nella tavola "Basilicae Philosophicae"
della "Cosmologia alchemico-rosacruciana sulla visione dell'unità",
Museum Hermeticum, Frankfurt a.M., 1677. Come dice il Fisiologo, dal
fianco aperto del Cristo sono sgorgati il sangue e l'acqua per la
salvezza eterna. Tale analogia tra piaga del Crocefisso e petto
squarciato del pellicano sono stati ripresi anche da Silesius. Si
riscontrano echi anche al di fuori della simbologia religiosa. In
letteratura, il mito viene ripreso dal Pulci mentre a Palazzo
Ducale di Venezia gli intarsi del capitello della penultima
colonna verso il ponte della Paglia rappresentano pellicani. Di
tutto ciò ben poco permano in quella che oggi chiamano coscienza
collettiva.
Dal Bestiarium Alchemicum
Il Bestiario Alchemico offre numerosi riferimenti al pellicano, alcuni dianzi citati,
sia per indicare gli strumenti dell'Arte sia per la simbologia
delle fasi dell'Opera, sia, ancora, per quella elementale. Nei
simboli alchimici (P. Bornia, La Porta magica di Roma), il
Pellicano indica il matraccio, con il caratteristico piede di
collegamento alla testa della cucurbita e con il capitello che
rientrava con un tubo a becco nella parte inferiore dell'apparecchio
(pallone). Il tubo poteva essere raddoppiato, modificando lo
strumento in due palloni comunicanti per ottenere la "circolatio"
doppia. Il Pellicano, o Pelicano, serviva dunque nella coobazione
di un liquido. Una precisa definizione si trova anche in Alchimia
Spirituale di R. Ambelain, ove, per la sua funzione, viene anche
chiamato "circolatorio". Trattasi tuttavia di strumento
non comune, certo non impiegato dai soffiatori. Infatti non è
rintracciabile nelle immagini pervenuteci dei laboratori
alchimisici, quali il disegno di Bruegel il vecchio (1558) e di H.
Weiditz (1520), la tela di H. Heerschop (1687), il dipinto di J.
Van Der Straet detto Stradanio (1570) nè nelle tavole
illustranti la strumentazione chimica antiquaria, nè nella
farmacia spagiria (Castel S. Angelo, 1600). Il Wirth spiega il
simbolo del pellicano come emblema di generosità assoluta "in
mancanza della quale, nell'iniziazione, tutto resterebbe
irrimediabilmente vano". Per altri sarebbe un'immagine delle
pietra filosofale che si dissolve per far nascere l'oro dal
piombo allo stato fluido, cui corrisponde l'aspirazione non
egoistica (il pellicano divora il pesce strettamente necessario
alla vita). Con ciò sono da riconnettere, forse, antichi gradi
di società iniziatiche come il cavaliere di pellicano (cfr. H.
Biedermann, Enciclopedia dei Simboli), e la sua effige nel
Capitolo dei Rosacroce (L. Troisi, Dizionario dell'esoterismo e
delle religioni). Il pellicano compare tra altri simboli nella
sintesi dell'Opera illustrata dalla f.92 del Rosarium
philosophorum di Arnaldo da Villanova. I Saggi preferiranno
meditare sulla figura 6 di J. D. Mylius (Philosophia reformata,
Francoforte, 1622), ove un pellicano con i figli è prossimo a un
pozzo in cui stanno immergendosi (o da cui stanno fuoriuscendo?)
bizzarre figure solari; nello sfondo centri edificati. Esse
richiamano al Filosofo il terzo sonetto di Frate Elia (Biblioteca
nazionale, manoscritto Magliabechiano, II-III-308 a carte 39)
"...in humidum ponite ut unidetur optime". In effetti
il pellicano simboleggia anche il Mercurio dei Filosofi, "il
solfo precipitato, ovvero il principio dello stato liquido della
materia" (G. Testi), ovvero "l'acqua segreta".
Osservazioni conclusive Un panorama vasto di iconografia e di
arte, cronologicamente estesa su vari secoli, si richiama all'immagine
del pellicano, con simbologie dai molteplici significati. Uno
sguardo più attento sulle vestigia d'arte, non solo sacra,
potrebbe far riscoprire al Saggio qualche altro pellicano,
rimasto inosservato, strumento di Tradizione.
A.B.
Da Algiza 6
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