JOHN C. G. WATERHOUSE

LA MUSICA DI
GIAN FRANCESCO MALIPIERO

PRESENTAZIONE DI FEDELE D'AMICO
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ISBN 8839704442
FUORI COLLANA ERI
1990

Fra i compositori italiani della cosiddetta «generazione dell'Ottanta», Gian Francesco Malipiero spicca per la sua originalità e per l'estro ricco e capriccioso delle sue creazioni. Anche se non ha raggiunto la popolarità dei lavori di Respighi, la sua musica ha destato l'ammirazione di molti autorevoli colleghi italiani e stranieri: Luigi Dallapiccola lo definì «la più importante personalità che l'Italia abbia avuto dopo la morte di Verdi».
Malipiero fu però un personaggio sconcertante, e fra gli aspetti più problematici del suo carattere va senza dubbio annoverata la sua smisurata fecondità creativa, che rappresenta un vero e proprio ostacolo alla giusta valutazione della sua opera.
Come ha ben detto Massimo Mila, «un compito immenso spetta alla storiografia musicale: che qualcuno si metta lì di fronte a questa enorme massa di musica, e ne tragga un bilancio valutativo». Questo libro - primo studio completo e approfondito di tutta la musica dei compositore veneziano - mette in pratica, appunto, ciò che Mila raccomandò.
John C.G. Waterhouse, professore all'Università di Birmingham, è noto per i suoi numerosi saggi sulla musica italiana dei primo Novecento, pubblicati nel New Grove Dictionary ofMusic andMusicians e su riviste inglesi e italiane. Studia la musica diMalipiero da più di un quarto di secolo, ed è forse la sola persona nel mondo che conosca ormai la totalità della sua produzione. Nel volume, che l'autore stesso vorrebbe definire a music-loving book, Waterhouse fa necessariamente un lavoro di vaglio, nell'immenso corpus stampato e inedito e dà risalto soprattutto alle composizioni migliori. Un libro fondamentale sulla musica di questo singolare e affascinante compositore.

PRESENTAZIONE DI FEDELE D'AMICO

Ancora alle soglie della seconda guerra Fausto Torrefranca tuonava contro l'imperante musicologia germanica, rea d'aver falsificato la storia tenendo l'apporto di troppi compositori italiani nell'ombra, o fraintendendolo in forza di categorie di giudizio sciovinisticamente determinate; e insieme contro quella italiana, rea invece - si direbbe - d'essere ancora in fasce e perciò incapace di mettere, o rimettere, le cose a posto. Certo il senso della misura non era la virtù principale del nostro glorioso pioniere, che particolarmente su questo punto dette in qualche eccesso; ma alla base, diceva il vero.
Un vero però che oggi, grazie a Dio - e non poco anche a lui - non è più tale. La musicologia italiana è uscita di minorità da decenni, e alla conoscenza del passato musicale italiano dànno ormai larghissimamente mano studiosi innumerevoli d'ogni paese, e privi affatto, salvo casi ben rari, di diaframmi nazionalistici. Soltanto che questo riguarda i secoli passati, sino a Puccini incluso: del nostro Novecento la saggistica non italiana rimane praticamente ignara, tranne che per Dallapiccola - gratificato di contributi cospicui, e normalmente accolto nelle storie generali come figura rilevante dell'epoca - e per l'avanguardia postbellica. Ma questa seconda eccezione è poi più apparente che reale, perché i Berio, i Donatoni, i Nono, i Maderna, non sono visti come specificamente italiani, ma piuttosto come cittadini - accanto ai Boulez, Stockhausen e via dicendo - di una comune patria darmstadtiana. Comunque, le eccezioni si fermano qui. A tutto il resto del nostro Novecento non si elargiscono che briciole.
Gradevole sorpresa fu dunque quella che un quarto di secolo fa mi portò la visita di un giovane inglese di nome John C.G. Waterhouse, che cercava informazioni e consigli utili alla tesi a cui stava lavorando; giacché l'argomento di questa tesi era appunto la tanto trascurata musica italiana del periodo 1910-1940. Senonché durante il colloquio la sorpresa divenne presto stupore, e ad un certo punto imbarazzo; perché non c'era libro o saggio o partitura di cui gli consigliassi la lettura che costui già non conoscesse, ed evidentemente a fondo: citava con esattezza giudizi di questo e di quello e, quanto alle musiche, ne commentava particolari minuti. Perfino di quelle che non aveva letto, ma appena ascoltato una volta, e anche di alcune di rilevanza non certo primaria, e poco diffuse. Insomma, già ne sapeva più di me.
I nostri incontri si rinnovarono, durante i molti anni che il lavoro richiese; e anche dopo, fino a ieri, a oggi. Ma checché l'ex-giovanotto cortesemente oggi dichiari, io non credo d'essergli tornato utile molto più che per avergli raccontato dell'ambiente, del costume musicale, dei personaggi di quegli anni; ch'erano stati quelli della mia adolescenza e giovinezza. A parte che scambiarsi giudizi e opinioni avrà pur giovato a tutt'e due (a me, di certo).
Comunque il lavoro riuscì tale da non trovare rìscontri sul tema, non si dice all'estero ma neppure in Italia: su una grossa parte dei compositori trattati il lettore ne può ricavare di più, e bene spesso di meglio, che in qualunque scritto monografico sul rispettivo argomento. Sì che ci si augura che, debitamente tradotto, possa trovare prima o poi l'editore disposto a superare la paura delle sue dimensioni: fatalmente ragguardevoli, anche per la copia degli ineliminabili esempi musicali, ma non poi proibitive.
Intanto, il presente volume; che di quello inedito è un frutto maturo, dunque ben altro che un semplice estratto. Non per questo mira ad esaurire l'argomento Malipiero sotto ogni aspetto - e già il titolo ci dice qualcosa in proposito. Sulla biografia, per esempio, il nostro autore s'accontenta di cenni, più i pochi riferimenti che lungo la strada gliene tornano indispensabili. Così pure si astiene dall'affrontare il problema, per verità quasi insolubile, di mettere il significato dell'inafferrabile outsider in rapporto con la musica europea, o anche soltanto italiana, del suo tempo (benché la sua notevolissima conoscenza del Novecento musicale tutto gli permetta di annotare puntualmente, via via, derivazioni da questo e affinità con quello).
La base del libro, ciò che lo renderà indispensabile a chiunque tornerà sull'argomento, sta in un'analisi stilistica e formale tale da avvicinarci al senso specifico di ogni pezzo, e al tempo stesso permettere, del corpus complessivo, una periodizzazione plausibile. Naturalmente, data la mole allarmante del catalogo (qui ancora accresciuto dall'avere il Nostro posto mano per il primo su opere giovanili dall'autore dichiarate distrutte), quest'impegno non poteva essere assolto in modo capillare. Tuttavia è stato portato a termine con competenza, riuscendo poi singolarmente meritevole grazie a due punti: l'uso di lenti d'ingrandimento che pazientemente tentano, non di rado con successo, di scoprire differenziazioni in ciò che a occhio nudo ci pareva indifferenziato; il rifiuto di imprestare all'iter di Malipiero caratteri evoluzionistici, di «progresso» linguistico. Per il Nostro la fase «cromatica» di Malipiero non costituisce, rispetto a quella «diatonica», né avanzamento né arretramento; e così la cosiddetta «forma a pannelli» rispetto a quella fondata sul discorso continuo. Il che esattamente corrisponde alla cosciente poetica di Malipiero; per il quale la ricerca linguistica perseguita indipendentemente da significati determinati, di volta in volta suggeriti dal suo estro, era un nonsenso.
Ed è sulla base di questo rifiuto che il nostro autore valuta il livello estetico dell'opera singola, o del singolo passo, giusta il suo proposito dichiarato di discriminare il grano dal loglio: cioè badando alla loro valenza intrinseca, non sulla loro «importanza» nell'ambito d'una evoluzione personale o collettiva, non sul loro potere o meno di determinare «svolte», promuovere discendenze. Nel che è un atto di coraggio, rispetto al positivistico costume del potere culturale vigente, da segnalare in sé e per sé: si vogliano poi caso per caso accogliere le sue discriminazioni o no.

CAPITOLO I

Caratteristiche generali: forma mentis, idee,
ossessioni; influenze formative