RICORDI E PENSIERI

DI G. FRANCESCO MALIPIERO

RACCOLTI DAI SUOI SCRITTI


V

UN COLLEZIONISTA

L'OPERA DI G. F. MALIPIERO
pp. 320-323

È difficile illuderci che esista realmente tutto quello che appare ai nostri occhi. La realtà non esiste: la luce e il nostro stato d'animo dominano e mutano ciò che vediamo o crediamo di vedere. Le nostre impressioni sono dunque subordinate a una infinità di avvenimenti che la vita ci presenta, o rappresenta, mentre noi stessi ci trasformiamo in attori, senza che però ci sia concesso di intervenire per mutare lo sviluppo della commedia (o tragedia) che recitiamo automaticamente dinanzi a noi stessi.
Quasi nostro malgrado ci siamo messi in viaggio, e abbiamo raggiunto un paese disperso nella pianura, che, forse per curiosità, si è arrampicato sul primo rialzo di terreno incontrato fra il mare e le grandi Alpi. Appunto per la sua posizione di vedetta tutti coloro che lo abitano sono curiosi. Scopo del nostro viaggio la visita a uno strano tipo di collezionista. Ci guardiamo bene dal disprezzare i collezionisti: essi rappresentano una categoria di gente che cerca uno scopo, un pretesto per vivere. Trovare il francobollo che completa la raccolta è una soddisfazione che nella psicologia dei collezionisti non si può né classificare né condannare. Quel patrizio veneto che fece aggiungere la sigla di Alberto Durero a un quadro del Bellini perché il Bellini era già rappresentato nella sua raccolta, il Durero invece gli mancava, fu certamente il precursore dei vari collezionisti del nostro tempo.
Una casa come tutte le altre, ermeticamente chiusa, nascosta fra gli alberi. Porte, controporte. Una vera fortezza contro la curiosità e gli importuni. Riusciamo a varcare la soglia e il padrone di casa ci accoglie con ostentata cordialità. Comprendiamo che non picchiando alla sua porta gli si fa un piacere. Eccoci di fronte a un singolare tipo di collezionista. Non ci lascia il tempo di aprire bocca che egli con scioltissimo scilinguagnolo ci spiega: «Non è per ricercata originalità che ho iniziato la mia collezione. Un successo giovanile, che avrei potuto sfruttare clamorosamente, mi diede la prova che io ero condannato a subire molte inimicizie e a contare su pochi amici. Abbandonato a me stesso, nella solitudine, deluso e disgustato, non tardò a svilupparsi in me il senso del collezionista. Scartate con disprezzo le. solite raccolte, per non marcire nelle paludi dell'opportunismo mi specializzai nel raccogliere, catalogare, studiare quei tipi d'uomo che io posso considerare, con certezza, miei nemici. Sono un collezionista di nemici e vi mostrerò i pezzi più interessanti della collezione».
Scendiamo in un vasto sotterraneo, quasi buio. Entro vetrine coperte di ragnatele ci apparve un mondo di spettri, pupazzi di cera, sciupati dall'umidità, dal lavorio dei tarli e delle tignole. La nostra guida, accesa una lanterna, continuò dicendo: «Voi credete che con uno schiaffo o con le ingiurie si possa acquistare un nemico fedele? Vi ingannate. Il rispetto verso colui che domina con la forza bruta trasforma il nemico in amico devoto. Il mezzo più sicuro per acquistare qualche pezzo interessante per la mia raccolta (l'ho sperimentato) è di aiutare, di comportarsi da amico. Vedete, per esempio, questo fantoccio spettinato, dalla grande testa pecorina? Ebbene per vent'anni gli ho testimoniato la mia amicizia in mille modi (i dilettanti hanno sempre bisogno di aiuto), due volte l'ho perduto, ora lo tengo per la vita. Vi pare un uomo fiero, sdegnoso, invece è un astutissimo opportunista. Scrive articoli, di uno ne fa cinque, nessuno s'accorge delle sue rifritture.
«Guardate bene il suo vicino, si direbbe un garzone di caffè. Anche costui è maestro della penna, non costruisce però, demolisce e parla con grande enfasi. Si guarda costantemente nello specchio perché si ammira ed è il solo, a prendersi sul serio.
«Segue un uomo grande, cioè un grande interprete, ma un piccolo uomo. I suoi scatti nascondono la sua insoddisfazione, egli sa che non avendo fatto nulla per l'arte contemporanea la sua fama lo seguirà nella tomba. L pure uno, dei miei pezzi garantiti per l'eternità.
«In questa vetrina ho raccolto i sorridenti. Hanno tutti il sorriso sulle labbra, tendono la mano destra e la sinistra la tengono nascosta dietro la schiena. Mancano di originalità, non mi sono costati cari, perciò li ho tutti riuniti nella stessa vetrina.
«Vedete questi due, si guardano in cagnesco, si odiano. Per farmi a mia volta odiare ho dovuto rendere loro molti segnalati servigi. Non mi vanto di possederli, sono insignificanti. Li conservo perché sono abituato a vederli.
«In questa vetrina senza vetri sono raccolti i giovani, i discepoli. Osservate la loro posa: hanno il passo incerto, non sanno se devono rimanere o fuggire dalla mia raccolta. È la sola vetrina che vorrei vedere vuota, per questo l'ho lasciata senza vetri: i più onesti si salveranno.
«In questa grande vetrina tutti hanno gli occhi bendati.
Sono i nemici di seconda mano acquistati per sentito dire. Non mi conoscono, hanno gli occhi bendati perché vedendomi forse potrebbero cambiare opinione e diventare miei amici. Non sono pezzi di qualità, tengo a non perderli perché fanno numero».
Camminiamo per qualche minuto prima di raggiungere l'estremo limite del sotterraneo. Una sorpresa. Entro una grande nicchia fra il fumo dell'incenso e l'agitarsi dei turiboli ci appare un pupazzo quattro volte più grande del naturale: è l'immagine della nostra guida, è il collezionista in persona. «Non meravigliatevi, egli ci dice. Tutti sostengono che per la mania di aumentare la mia raccolta sono il più grande nemico di me stesso. Era dunque logico che mi rappresentassi ingrandito, e chissà quanto più grande potrò rappresentarmi nell'avvenire ché io sto scavando altre gallerie e la mia collezione aumenta di giorno in giorno».
E congedandoci egli ci volle donare una medaglia ricordo. «È d'oro, ci disse, dunque non dimenticatemi e accordatemi la vostra ingratitudine, c'è posto anche per voi».

Asolo, 1936.