RICORDI E PENSIERI

DI G. FRANCESCO MALIPIERO

RACCOLTI DAI SUOI SCRITTI


IV

LA TRAGEDIA DEL RUMORE
E RUMORI SENZA TRAGEDIA


L'OPERA DI G. F. MALIPIERO
pp. 311-320

Non sono riuscito a diffondere il rispetto per il silenzio. Eppure il rumore è una forza distruttrice. La luce si può dominare, il rumore no.
Nella vita talvolta mi sono abbassato a supplicare di concedermi un po' di silenzio. Inutilmente, ché per i bruti il rumore è uno sfogo necessario, un sollievo. E poi per certa gente tollerare il rumore vuol dire avere i nervi ben temprati dell'uomo moderno; dunque in tal caso la maleducazione è virtù.
Gli animali sono molto più musicali: la loro voce, siano muggiti, ragli, nitriti e abbaiamenti, si fonde alla natura, è la voce della terra. L'uomo essendosi completamente staccato dalla natura, con essa non s'intona più nemmeno quando canta o crede di cantare.
Ho sempre sognato di vivere in campagna per sfuggire il rumore, invece fu proprio la campagna che m'ha fatto soffrire di più. Quando vivevo randagio, negli alberghi, il rumore, anche il più insopportabile, lo tolleravo perché lo consideravo provvisorio, invece nella mia casa, senza via di scampo, spesso mi sono sentito come un topo in trappola.
Ho ritrovato alcuni appunti (Asolo, 1925-1940) nel quali il rumore spesso è il tema.
Campane nuove, Scampanio. Disperazione.
Tutti i campanari sono accorsi dal contado, per dare un saggio della loro capacità. Chiudono gli occhi per concentrarsi, si ispirano, ma anziché tirar le corde, sono le corde che li alzano da terra come fantocci. Aspettano il turno, man mano che scendono dal monte o salgono dalla pianura
Il parroco mi chiede se le nuove campane mi sembrano intonate. È preoccupato perché i suoi parrocchiani sono fini d'orecchio. (Ascensione sul campanile, esperimenti coi ferri del mestiere: effettivamente la terza campana è calante).
Qualche settimana più tardi egli mi confessa che non aveva ritenuto opportuno incomodare il fonditore e che aveva preferito fargli scontare il suo errore quando gli saldò il conto.

Asolo, luglio 1925.
Un vecchio ombrellaio asolano si dilettava di scolpire nel bosso, seguendo i capricci dei rami o delle radici di questo strano arbusto che spesso hanno forma di animali, draghi, uomini diformi, ecc. ecc. I forestieri acquistavano le sue sculture. Dio sa a chi, - in qualche lontano museo -, le avranno attribuite!
Un emulo del doganiere Rousseau (di mestiere falegname) abitava nel versante opposto del sistema collinoso di Asolo e non era meno ingenuo né meno appassionato dell'ombrellaio. Il falegname viaggiò il mondo, ebbe varie avventure essendo devoto a Bacco e a Venere, finì nella miseria senza riuscire a vendere nemmeno una delle sue pitture. Questi poveri primitivi non fanno male a nessuno fin che non si danno alla cosidetta musica; infatti il silenzioso e innocuo ombrellaio generò un suonatore di trombone che teneva sotto la sua giurisdizione parecchi metri quadrati della pace asolana. Quando egli soffiava nel suo istrumento il paesaggio, che non può vivere che nel silenzio, scompariva come avvolto da una nuvola di fumo.

Asolo, settembre 1925
Le capre nane sono troppo prolifiche e i poveri maschi (per il profumo che emanano) nessuno li vuole; meglio ucciderli appena nati affidandoli alle cure del macellaio. Alla prima esecuzione il macellaio si è intenerito, non ha avuto il coraggio di uccidere un piccolo essere innocente, se lo tenne per allevarlo col poppatoio. Tre mesi più tardi mi felicitavo con lui per il suo buon cuore e gli chiedevo notizie del suo protetto. «Carne squisita, tenera come il burro», mi rispondeva. Asolo, dicembre 1925.
Per parecchio tempo ho guardato con grande amore, presso un antiquario di Asolo, un caminetto che per quanto ridotto in quattro pezzi, potei ricostruire nella mia mente. Proveniva da un giardino di Castelfranco Veneto ed era rimasto per parecchi anni alle intemperie perché la villa andò distrutta da un incendio che rispettò il solo muro col caminetto della sala a pianterreno.
Un pittore americano l'avrebbe acquistato a caro prezzo se la «patina» non gli avesse fatto balenare il sospetto che si trattasse di un oggetto da giardino, di poco valore. Egli riuscì a convincere l'antiquario il quale, deluso, ridusse il prezzo tanto che io potei acquistare i quattro pezzi e a costruire il più bel caminetto che ora adorna la mia casa di Asolo.»Asolo, marzo 1926.
Ogni sera al Caffè Florian, a Venezia, fino all'inizio della guerra mondiale un mediocrissimo pittore si divertiva a fabbricare disegni di Francesco Guardi. Con la penna tracciava i contorni della composizione e intingendo il dito nell'inchiostro disponeva le macchie caratteristiche e perciò indispensabili per completare l'opera d'imitazione.
Tutti i falsificatori sono incoscienti. Inconsciamente riproducono per eredità le opere del passato. Il fenomeno è interessante anche perché i conoscitori analizzano la materia e di questa si fidano.
Molti artisti, specialmente i musicisti, hanno falsificato se stessi ripetendosi. Asolo, 23 gennaio 1930.
Questa notte Gabriele d'Annunzio rievocò una sua visita a Francesco Liszt, nella villa di Tivoli: le mani del grande Liszt sulla tastiera d'avorio, un raggio di luna, il canto dell'usignolo. Più di quanto avesse cantato per il poeta quell'usignolo nella lontana notte di Tivoli, l'amico cantava per me solo in una notte in cui molto mi parlò anche di Eleonora Duse e di Claudio Monteverdi.

Asolo, 20 aprile 1910.
Claudel ricorda nelle «Figures et paraboles» i «rimproveri» di Strawinsky alla musica di Wagner. Strawinsky dice che è una «pasta». Mai suoni puri, tutto è «amalgamato». Mai all'orecchio è dato il piacere di un «timbro» limpido. Mai si può sentire un flauto, una viola o la voce umana, ma sempre una mescolanza di tutto.
Claudel si domanda se ci sarebbero due musiche, una attiva e l'altra passiva, una che è voce, l'altra orecchio, una musica in ascolto. Anche Debussy scriveva che in Wagner non si distingue mai un violoncello dal clarinetto. Claudel ritiene ingiusta questa osservazione: si può biasimare un uomo perché ha la voce da basso anziché da tenore? Così dicendo egli dimostra di non aver compreso perché Strawinsky e Debussy reagirono contro le sonorità wagneriane. Come la luce troppo intensa guasta la vista, così le sonorità troppo cariche guastano l'udito.
Claudel è convinto che le critiche di Strawinsky e Debussy sono troppo «materiali», decide perciò che il corno è «l'istrumento romantico per eccellenza» e che l'ottava Sinfonia di Beethoven è la «Sfida alla vecchiaia»!

Asolo, 23 gennaio 1931.
Le pitture che rappresentano suonatori di vari istrumenti, cantori con la bocca spalancata e in mano il libro aperto, si considerano pitture musicali. Più musicali sono quelle pitture che «cantano» senza richiami materiali alla musica.
Così per i poeti. Nell'antica poesia italiana troviamo in qua e in là accenni musicali, ma la musicalità è espressa dal suono, dal ritmo del verso e non da divagazioni che si riferiscono direttamente alla musica.
Nel 1923 lasciai la città perché il rumore è sempre stato il mio più grande nemico.
Purtroppo il destino mi perseguita coi rumori.
M'innamorai della casa che ora abito perché è ai piedi di una collina dominata dal sagrato di una chiesetta fra i cipressi. A mezzogiorno una vallata tranquilla e verde scendeva verso la pianura: sul ciglio della strada una villa patrizia coi suoi campi e i suoi boschi. Sono stato ingannato dal desiderio di scoprire quello che cercavo e che forse non troverò mai. Il sagrato è il luogo più profanato di Asolo dove si giuoca urlando e si urla giuocando, grandi e piccoli si esercitano al lancio delle pietre. Gli uccelli han capito e sanno che da me la caccia è proibita, essi mi consolano col loro canto quando non sono sopraffatti dalle grida.
La vallata tranquilla e verde non esiste più. Sono sorte come per incanto cinque casupole tutte eguali che sembrano marciare verso la pianura, e invece purtroppo non si muovono. Urla, bestemmie, femmine che litigano, canti di ubriachi. Addio canto degli uccelli. Le doppie finestre, le chiusure ermetiche e gli alberi piantati di recente ci proteggeranno? Gli alberi cresceranno, ma noi invecchieremo. La chiesetta mia vicina anni fa venne trasformata in deposito per le salme dei soldati caduti in guerra. Confesso che il martellare dei macabri falegnami che confezionavano le bare mi disturbava meno degli urli dei profanatori del sagrato.
Oggi s'è messa in moto una macchina infernale: scoppiano mine, tremano le case, il finimondo. Che accade? Si costruisce un acquedotto (l'acqua di quello romano, purissima e fresca, non la berremo più) e per rendere più difficili e costosi i lavori si è scelto un percorso attraverso le rocce. Son già crollati muri, tetti, schiantati alberi. La mia casa si salverà? Asolo, 15 dicembre 1931.
Sulla musicalità di Mozart non v'è più mistero per me; ho acquistato un piccolo volume (composizioni di W. A. Mozart scritte all'età di 8 anni) che cancella ogni dubbio, annulla tutte le critiche, tutti gli apprezzamenti. W. A. Mozart è rimasto un fanciullo sino alla morte.
Come il cataclisma che spezza le montagne, fa straripare i fiumi, può rispettare una piccola sorgente lasciandola scorrere incontaminata e limpida fra le rovine, così egli ha sopportate le amarezze, le difficoltà, le delusioni, senza lasciarsi toccare nella sua arte. L'uomo ha sofferto, il musicista non si è compromesso, ha riso e sorriso anche quando avrebbe dovuto piangere e disperarsi. Asolo, 18 marzo 1932.
A dir il vero non istimo quei sapienti che spacciano essere stoltissima ed impudentissima cosa il lodar se medesimo. Sia pur follia quanto si voglia, dovranno tuttavia convenire costoro che è cosa molto decorosa l'aver cura del proprio buon nome». Il saggio Erasmo ha ragione, ma come difendersi contro i malintesi. Asolo, 18 maggio 1932.
Nel 1908 ho assistito, alla Hochschule di Berlino, a cinque o sei lezioni di Max Bruch, le quali consistevano nella lettura al pianoforte e analisi di opere classiche. Beethoven rappresentava per i bruchiani il più scapigliato fra i musicisti tollerati. Mi pare ancora di vedere un'allieva brutta quanto sciocca, confessare arrossendo, di aver acquistato i posti per tutta la Tetralogia all'Opernhaus. Ottenne dal «Maestro» l'assoluzione quando s'impegnò a farne un dono alla domestica. Wagner era la bestia nera di quel Max Bruch che deve la sua celebrità a un concerto per violino e orchestra di cui hanno abusato i violinisti grandi e piccoli. In quell'ambiente come avrei potuto non sentirmi a disagio?
Ciò nonostante spesso si legge sui dizionari musicali e sui programmi dei concerti ch'io sono stato allievo di Max Bruch! Asolo, 25 maggio 1932.
Ho incontrato l'altra notte un facchino ubriaco e che diceva alla moglie, perché cercava di sostenerlo e di trascinarlo a casa: «Che volgarità! che volgarità!». E ruzzolava, sui ponti, vomitando.» Venezia lo agosto 1933.
Spesso vedo la faccia delle persone che mi guardano decomporsi: il teschio rimane senza carne né pelle ma conserva l'espressione ambigua che è nel volto di tanta gente.

Asolo, 2 settembre 1933.
Sognai che passeggiando nel mio giardino trovai il cammino sbarrato da una casupola mezzo diroccata, sorta come per incanto. Si udiva un sommesso bisbigliare. Mi - avvicinai cautamente e attraverso un finestrino socchiuso potei osservare uno spettacolo veramente strano. Nel mezzo della stanza, tutta nera dal fumo, su una rozza seggiola da cucina sedeva un vecchio vestito di nero. Intorno a lui alcuno, femmine fingevano di lavorare: fregavano pentole immaginarie, sciacquavano panni, scopavano senza granate, insultando tutto e tutti, raccontando le storie più inverosimili. Il vecchio ascoltava soddisfatto. Improvvisamente le femmine ammutolirono: vidi allora entrare una vecchia che ostentava un contegno quasi regale. Tutti i suoi gesti erano solenni. Si avvicinò al vecchio e gli parlò all'orecchio. Le femmine non respiravano quasi, tanto speravano di afferrare almeno una parola. A un tratto il vecchio, che aveva ascoltato inebriandosi di quello che la megera gli andava raccontando, scattò in piedi e rivolgendosi alle femmine disse col suo fare sornione: «Brave figliole mie, lavorate», e mi svegliai.
Riconobbi la verità di questo sogno, quando riuscii a individuare i due protagonisti; e per ricordo sopra la porta della mia casa feci murare una lapide:

OMNIA
IMMUNDA IMMUNDIS
MUNDA MUNDIS

Asolo, 22 settembre 1933.
Il critico di un giornale romano, dopo una rappresentazione al Teatro Reale dell'opera della «Gioconda» di Ponchielli, scrisse che questo melodramma era brutto e che non valeva la pena di rappresentarlo con tanta cura e larghezza di mezzi. Seguirono proteste, polemiche, un vero putiferio. Per placare gli animi il direttore del giornale invitò i musicisti a rispondere ai quesiti di un referendum ponchielliano. lo risposi (febbraio 1933): «Ringrazio di avermi invitato a prender parte al grande torneo in onore della «Gioconda». Purtroppo dopo tante 'manifestazioni' io nulla ho più da manifestare e son diventato muto come un pesce».
Seguo l'esempio di un certo Alessandro Pronzinsky che entrando un giorno a Varsavia col suo tiro a quattro udì una forte sparatoria e pensò: sarà festa. Era la rivoluzione? Gli portarono via il tiro a quattro e lo malmenarono.
Qualche anno più tardi Alessandro Pronzinsky ritornava a Varsavia con un altro tiro a quattro. Grande sparatoria. «Che cosa succede?», chiese a un passante. «Fuochi d'artificio!». Esclamando: «Alessandro Pronzinsky non è uno scimunito», egli fece dietro front e si portò in salvo insieme al suo tiro a quattro. Asolo, 14 aprile 1934.
I pittori del Rinascimento non riprodussero materialmente Venezia come quelli romantici, ma formarono la grande scuola veneziana che non si può confondere con altre scuole, né italiane né straniere.

Asolo, 10 maggio 1935.
Rigido, scheletrico, gli occhi semichiusi, mi guarda ancora e m'interroga. Mi chiede forse sepoltura, e degna di colui che per quindici anni dominò la mia casa e quelle del vicinato. Il suo richiamo, il suo canto d'amore nelle notti di marzo risonava per le valli, si fondeva col sibilo dei venti, lugubre quanto la voce degli uccelli notturni. Lo seppelliremo vicino al suo regno, dinanzi alla porta della cucina.

Asolo, ottobre 1935.
Nell'ottobre del 1933 mia madre è venuta ad abitare con noi nella casa di Asolo. Le inevitabili delusioni non hanno turbato la mia soddisfazione. Mi lasciavo trasportare, anzi vivere, grazie alla vicinanza di mia madre, in un mondo che a malincuore vedevo sparire. I ricordi di un passato che essa amava rievocare mi davano uno strano senso di pace, ma se parlava di ciò che la interessava della vita quotidiana, e dei suoi amici, mi irritava, e pur dì tenerle compagnia silenziosamente, giuocavo con lei alle carte. Non aveva perduto i suoi modi signorili, perciò la voleva muta.
Ora riposa nel mio giardino, fra gli ulivi, ora mi parla come avrei sempre voluto sentirla parlare.

Asolo, 10 settembre 1940.
Sono stato lontano da Venezia fra gli undici e i diciassette anni. Quando ritornai, uno dei miei fratelli per prima cosa mi chiese misteriosamente che gli regalassi un piccolo coltello che aveva veduto esposto nella vetrina di non so quale negozio. Son passati quarantaquattro anni, non ho mai dimenticato l'aria sorniona con la quale egli mi chiese in dono una cosa da poco ma molto importante, ché essa mi ha sempre diviso da lui.
Quasi automaticamente leggo un numero: 34, e poi la indicazione della strada: Salizzada San Pantalon.
In questo palazzo ho vissuto quasi cinque anni. Qui un pittore fallì la sua vocazione e il suo primogenito si fece saltare le cervella macchiando di sangue le tele del padre.
Qui una donna sperperò un patrimonio e la figlia fece un pessimo matrimonio. Quì la mia arte non avanzò di un solo passo. Tutti morti quelli che trent'anni fa vivevano con me in questo palazzo. Venezia, 20 marzo 1942.
Dietro la Chiesa di San Rocco un gruppo di alberi altissimi indica che le mura che li circonda proteggono un giardino. Da molto tempo desideravo penetrarvi per curiosità e per il bisogno dì un po' di verde. Oggi trovai la porta aperta della casa attigua. Entrai. Per le scale non incontrai anima viva, ma non appena entrato nella sala, misteriosamente escono dalle celle come api dall'alveare, cinque, dieci, cento vecchie donne che mi guardano con diffidenza. Si fanno coraggio e mi spiegano che sono «ricoverate». Ognuna ha la sua stanza, i suoi mobili, la sua storia. Mi circondano, parlano tutte insieme. Finalmente posso far loro capire che desideravo penetrare nel giardino. Mi dicono che purtroppo non appartiene a loro, ma a un collegio vicino. Entro una brutta cornice, una pergamena sgualcita ricorda che la casa fu donata nel 1804, per ricoverarvi le vecchie decadute, dalla nobile famiglia Badoer, che è una famiglia patrizia estinta e della quale fra poco sparirà pure il ricordo di questo atto munifico. Venezia, 25 luglio 1942.
Riuscii a strappare dalle mani crudeli di un piccolo delinquente un povero grillo che chiusi entro un boccale di vetro abbondantemente provvisto di insalata fresca. Il canto del grillo esiliato in una città di acqua e di pietra, mi trasporta lontano: immagino prati, boschi, montagne. È un canto che certamente dispiace a quelli che vivono fra pareti non trasparenti, in uno spazio molto più angusto di quello riservato ad un povero grillo prigioniero in un vaso di Murano.

Venezia, 26 luglio 1942.
Non ho mai osato tirar le somme per rendermi conto se la quantità e la qualità dei miei amici possono controbilanciare l'antipatia che ho incontrato in certi ambienti musicali e non musicali.

Senza data né luogo.