MARIO LABROCA

LA CORPORAZIONE
DELLE NUOVE MUSICHE


L'USIGNOLO DI BOBOLI
pp.97-101

[...] Era ancora dura la vita musicale in quei giorni anche se alcune organizzazioni (e ricordo l'Accademia di S. Cecilia, grazie all'azione del suo presidente Conte di San Martino e del direttore stabile dell'orchestra Bernardino Molinari) aprivano cautamente le porte alle nuove voci. Non era ancora molto per un paese come il nostro, ma era già qualche cosa; tuttavia sentivo che le argomentazioni, gli attacchi, le polemiche, avevano una forza relativa. Ne parlavamo con Casella e ogni volta arrivavamo alle stesse conclusioni: che bisognava creare un organismo destinato esclusivamente a far conoscere le musiche di oggi e quelle quasi ignorate di tutto il periodo pre-romantico; un organismo che diventasse la «pietra di paragone» per tutte le altre istituzioni musicali esistenti, sì da costringerle ad un cambiamento di indirizzo, ad un aggiornamento dei loro programmi; ne parlavamo ma, ad onor del vero, cercavamo anche di realizzare qualche cosa. Ci mancavano i mezzi, ma non ci perdevamo d'animo; e dàgli oggi, dàgli domani, cominciammo a intravedere qualche possibilità. Stava per nascere la «Corporazione delle nuove musiche» e fu, questo, avvenimento molto importante. L'aggettivo «storico», per questa volta, non lo scomoderemo.
Fu nel 1923, alla fine dell'estate: in una lettera da Asolo, Casella e Malipiero mi scrissero che sotto l'egida di D'Annunzio era stata creata la «Corporazione delle nuove musiche». La notizia era laconica e non conteneva indicazioni circa i denari necessari per farla funzionare; ma Casella arrivò presto a Roma e mise in atto il suo piano strategico: chiedere denaro per la divulgazione della musica non è cosa che tocchi la dignità del questuante e, forte di questa morale, Casella si rivolse alla signora Coolidge ed a Riccardo Gualino. Ti ricordo questi nomi perché legati anch'essi all'attesa trasformazione della vita musicale italiana.
Quell'anno, e mi riferisco sempre al '23, lo ricordo come il primo nel quale il nostro Paese entrò a far parte di quella speciale comunità internazionale che è il mondo della musica. In primavera venne in Italia per la prima volta in forma ufficiale la signora Elisabetta Sprague Coolidge. Quell'anziana e solenne signora americana aveva destinato parte della sua ricchezza ai musicisti, e commissionava loro delle composizioni che compensava con uno chèque di mille dollari; questo tuttavia non le bastava, ed ogni anno intraprendeva un viaggio in alcuni paesi europei trascinandosi dietro un gruppo di compositori e di esecutori, ed organizzando in alcune delle città visitate, dei concerti privati comprendenti generalmente le opere da lei commissionate. La strana comitiva si radunava ora a Roma, ora a Parigi, ora a Ginevra e di lì, in treni di lusso, partiva per le città prestabilire, dove tutti scendevano nello stesso albergo (naturalmente di lusso); i fasti dei principi del Rinascimento tornavano a vivere e, questa volta, a vantaggio dei musicisti.
La conobbi in quell'anno, grazie a Casella. Arrivò a Roma ai primi di maggio ed aveva al suo- seguito De Falla, Kurt Schindler (il direttore della Schola Cantorum di New York), Malipiero ed un giovane compositore americano scomparso, oltre che dalla vita, anche dalla memoria di tutti. De Falla era già celebre e fui colpito dalla sua timidezza e riservatezza; aveva vissuto a lungo a Parigi ma non aveva perduta nessuna delle caratteristiche spagnole; piccolo e magro, parlava poco; assorto in qualche pensiero che lo dominava non lo vedevi mai sorridere; era religiosissimo e ricordo che ogni mattina andava a messa.Roma lo commosse più che altro perché centro del cattolicesimo, e quando entrava in una chiesa ti accorgevi che si accendeva in lui il desiderio della preghiera, e che la curiosità e l'interesse erano più che altro un atto di gentilezza verso chi gli mostrava cose degne di suscitare l'ammirazione e l'entusiasmo. Durante quel soggiorno nella casa che allora Casella abitava in via Ennio Quirino Visconti ebbe luogo una grande riunione di compositori; tra giovani e giovanissimi eravamo in parecchi: Casella, Malipiero, Alfano, Rieti, Massarani, Mario Castelnuovo Tedesco. La Coolidge era seduta sopra una sedia tronale (mi si perdoni l'aggettivo) nello studio di Casella e ciascuno di noi a turno sedeva al pianoforte ed eseguiva la propria più recente composizione. Imperterrita la Coolidge ascoltava. In noi tutti quella strana accademia risuscitava ricordi recenti o lontani di esarni, di diplomi, di concorsi per cui, - e la ragione c'era, - eravamo dominati dal nervosismo e dalla confusione. Quella anziana signora che tendeva l'orecchio per ascoltare meglio (proprio in quegli anni ebbe inizio la sua sordità) suscitando in tutti la speranza del premio dei mille dollari, suscitava anche una profonda agitazione; e le note false che era facile percepire ne erano la conseguenza.
Ciascuno, appena eseguita la propria musica e ricevuta la stretta di mano della Coolidge, si ritirava in un'altra stanza dove regnava, in reazione alla severità dello studio di Casella, un'allegria che tendeva al frenetico. Tutti ci sentivamo scolari liberati dall'incubo dell'aula e del professore, sicché scoprimmo che quella curiosa festa aveva servito a ringiovanirci. De Falla eseguì alcune parti del «Retablo», che da poco aveva terminato, e durante quella esecuzione ci facemmo attenti, e ci spingemmo silenziosi fino alla soglia dello studio. Nel suo lavoro, De Falla era lento e tormentato, ed ancora ritoccava quella preziosa partitura che dovevamo ascoltare finalmente tre anni dopo al Festival di Zurigo. Ebbi il piacevole incarico di cercare per De Falla un luogo tranquillo fuori Roma perché voleva fermarsi a lavorare qualche tempo. Gli piacque Tivoli e si adattò felice in una modesta pensione che per la sua nudità e austerità faceva pensare a un convento. La serata da Casella ebbe termine, ma o perché aveva stabilito di non fare elargizioni o perché le musiche ascoltate non le erano piaciute, nessuno ricevette dalla signora Coolidge il sospirato chèque.
Ti ho parlato di quella serata perché altre ne organizzò la signora Coolidge in varie città europee e furono spesso serate importanti in quanto valsero a far conoscere opere di grande valore che oggi hanno raggiunto la popolarità. La benemerita signora americana non fu sorda alle richieste di Casella e versò alla «Corporazione delle nuove musiche» una buona somma che fu integrata da altra somma versata da Riccardo Gualino, sicché la nostra organizzazione poté mettersi in moto nello stesso 1923. Ebbe inizio proprio quell'anno la mia vita di organizzatore che dura ancora oggi; ma non è di questo che ti voglio parlare, né farti l'elenco delle opere eseguite nei nostri concerti: mi interessa solo segnalarti le prime esecuzioni italiane dell'«Histoire du soldat» e dell'«Ottetto» di Strawinsky, la tournée del «Pierrot lunaire» di Schönberg diretta dall'autore, e la presentazione in Italia di Bartók e di Hindemith, fino a quell'ora assolutamente sconosciuti. C'è qualcosa da mettere in luce dopo quanto ti ho narrato: nel 1923 ebbe luogo in Italia non solo l'incontro di musicisti italiani e stranieri, ma anche, proprio in quell'estate, l'ingresso dell'Italia nella Società Internazionale per la Musica Contemporanea (S.I.M.C.), ingresso che assicurò ai musicisti italiani una continuità di rapporti con il mondo esterno, ed alle opere contemporanee italiane un largo respiro internazionale. Anche cotesto allacciamento fu dovuto ad Alfredo Casella che si era recato espressamente a Salisburgo, dove la Società ricevette i natali e il battesimo. Come vedi, stavamo guadagnando terreno; palmo a palmo ed ogni volta dopo lotte piuttosto dure. Eravamo diventati l'oggetto di una campagna che chiamava in causa i valori nazionali, le glorie nazionali, i caratteri nazionali e sì che non era difficile in quegli anni essere accusati di dir male di Garibaldi; certi critici, specialmente, tentarono di impostare la polemica sul piano politico e questo fu il lato più triste della lotta; non già perché ce ne venissero dispiaceri politici, ché continuammo la nostra azione sostenuta a volte anche dalle autorità governative, ma perché rivelò un costume che non sai definire, un modo di agire che certo costituì l'immissione di un'arma sleale in un leale combattimento.
Devo aggiungere che realizzammo, più tardi e come ti ho già detto, un accordo con il teatro di Pirandello, dove noi ci inserimmo, riuscendo così a fare di quella stagione una raccolta di grandi avvenimenti non solo drammatici ma anche musicali; e per me che ho sempre sognato un teatro dove sia possibile raccogliere tutte le forme dello spettacolo, quello parve un felice tentativo, e a quello guardo ancora con nostalgia e, perché no?, anche con speranza. Non si sa mai.