STORIA DELLA MUSICA
OXFORD-FELTRINELLI

G.F. MALIPIERO

VOL. X - pp. 271-276


Malipiero, prolifico e irregolare nella sua produzione almeno quanto Milhaud, è senza dubbio l'esponente piú notevole della "generazione dell'Ottanta". Profondamente imbevuto della musica del barocco italiano,[1] ne trasse l'austerità e la nobiltà che contraddistinguono tutta la sua opera e le sue aspirazioni artistiche. Alla musica barocca deve probabilmente in larga misura anche il suo sviluppatissimo senso melodico, mentre gli studi sul gregoriano sono avvertibili nella modalità e nella struttura libera del suo linguaggio melodico. Nei primi lavori Malipiero denunciò l'influsso della musica tedesca e specialmente di quella francese (Debussy); e sebbene con l'andar del tempo quest'ultima si sia fatta meno avvertibile, il suo stile armonico fu sempre caratterizzato da movimenti paralleli di triadi, falsi bordoni, accordi per quarte e per quinte. L'impressionismo francese è anche in parte all'origine della precisa inclinazione di Malipiero all'evocazione di particolari stati d'animo ed emozioni ispirate dalla contemplazione della natura, di genti e paesi e da una concezione nostalgica del passato.
Così, in Pause del silenzio (1917), il compositore descrive in sette "espressioni sinfoniche" i diversi stati d'animo provati durante la guerra, quando la tensione e il disordine rendevano molto difficile trovare la pace e la serenità spirituali. Qui per la prima volta Malipiero applicò il principio di non sviluppare i temi, ma di esporli e ripeterli con lievi alterazioni armoniche e ritmiche e poi abbandonarli per lasciare posto a idee nuove. Ognuna delle sette parti possiede temi propri ma, causa l'assenza di sviluppo, la struttura è frammentaria e caleidoscopica, anche se vi è un elemento comune costituito dalla fanfara iniziale dei corni, che ricorre come un ritornello al termine di ogni parte. Questa tecnica costruttiva, l'origine della quale va ricercata nelle antiche composizioni strumentali italiane e anche in Debussy, può essere paragonata al processo psicologico di «associazione per contrasto».
La piú chiara applicazione di questo metodo si ha nei primi tre quartetti per archi - Rispetti e Strambotti (1920), Stornelli e Ballate (1923) e Cantari alla madrigalesca (1931). I titoli dei primi due derivano da antiche forme poetiche consistenti di una serie di brevi poesie di contenuto e genere diversi, la cui unità è affidata solo allo stile. La musica qui rivela una struttura analoga, in quanto vi sono venti sezioni nel primo quartetto e quattordici nel secondo, tutte di carattere diverso - grave e comico, tenero e ironico, fantastico e i bucolico. In entrambe le composizioni l'elemento unificatore è costituito da una specie di ritornello, che nel primo quartetto assume la forma di accordi di quattro e di due note sulle corde vuote (primo violino e viola), che evocano il suono caratteristico emesso nell'accordare gli strumenti.
Malipiero si dedicò abbastanza tardi al sinfonismo puro, dato che la Prima sinfonia, in quattro tempi come le quattro stagioni e la Seconda sinfonia (Elegiaca) sono rispettivamente del 1933 e del 1936; a queste ne seguirono poi altre sette. La Prima sinfonia venne in parte ispirata dall'ammirazione e dalla nostalgia per il passato veneziano e in parte da Stagione, una raccolta di poesie di X. Lamberti, ed è costruita sul modello della sinfonia italiana del Sei e Settecento; vi si trova un trattamento caratteristicamente concertante di legni e corni, mentre la struttura mostra un ritorno alle forme sinfoniche tradizionali, fin qui rifiutate da Malipiero. Nella Seconda sinfonia tale caratteristica è ancora piú evidente, e la composizione è una dimostrazione della capacità del compositore di conseguire una sintesi ideale di pensiero musicale ed espressione.
Nell'opera Malipiero sviluppò uno stile diametralmente opposto a quello di Pizzetti. Mentre quest'ultimo aveva come scopi principali lo svolgimento drammatico, la continuità e la flessibilità, ottenuti mediante un genere di recitativo che stava a metà fra il declamato e l'arioso, l'estetica operistica di Malipiero esclude qualunque dialettica di tipo drammatico: l'azione e i personaggi non vengono sottoposti a sviluppo, ma assumono un carattere statico, da bassorilievo; il tempo si ferma. Il recitativo viene considerato un artificio naturalistico e un ostacolo al lirismo, e viene perciò scartato; in altri termini, il melos lirico è la principale caratteristica dell'opera di Malipiero.[2] Nonostante il veneziano abbia scritto musiche dei generi piú diversi, quelle dedicate al teatro sono senza dubbio le piú caratteristiche e le piú significative. È in queste che il suo romanticismo settentrionale, l'amore del fantastico, del soprannaturale e del mistero notturno trovano espressione piú eloquente. Questi aspetti erano già manifesti nelle composizioni giovanili, e continuarono a costituire una costante dell'estetica di Malipiero, anche attraverso i numerosi e radicali cambiamenti cui la sua arte andò soggetta, cambiamenti che vanno interpretati nel senso di una ribellione alla musica ottocentesca, e specialmente al sinfonismo tedesco e al melodramma italiano. Il suo etbos operistico è insieme idealistico, romantico e poetico - l'ideale classico di uno spirito inquieto e romantico, «come lo definì un suo biografo» [3] - e ciò si manifesta già nella scelta dei soggetti dall'antica poesia italiana a Goldoni, da Euripide a Shakespeare, da E. T. A. Hoffmann a Pirandello.
Le piú rappresentative delle concezioni operistiche di Malipiero sono L'Orfeide (1922) e Torneo Notturno (1929). La prima è una trilogia la cui parte centrale, Sette canzoni, scritta nel 1919, è forse la piú notevole. Il testo di queste «sette espressioni drammatiche» è tratto da versi di Lorenzo de' Medici, Poliziano e Jacopone da Todi, sui quali Malipiero inventò una serie di brevi episodi (alcuni dei quali ispirati da esperienze personali) che formano dei tableaux o "pannelli" indipendenti e si susseguono in rapida successione, come in una sequenza cinematografica; esposizione e conclusione si sviluppano in poche pagine. I sette episodi sono di carattere essenzialmente realistico, ma mitigato da elementi fantastici e sognanti, che oscillano fra il tragico, il macabro e il comico-grottesco. L'unità viene assicurata dal carattere della musica, quasi sempre lirica e piú o meno indipendente dall'azione, ma che riesce ugualmente a penetrare profondamente il carattere poetico e psicologico di ogni episodio. A proposito di questo fatto, Malipiero stesso commentò significativamente che «la drammaticità è data da ciò che si vede, mentre la musica esprime ciò che non si vede.» Il nucleo centrale di ogni episodio è costituito da una canzone in stile italiano antico, che riecheggia temi popolari di contadini e di pescatori.
La prima parte della trilogia, La Morte delle Maschere, sebbene scritta tre anni dopo le Sette canzoni, è una specie di preludio a queste ultime, ed è nello stile dell'antica opera buffa. L'azione è allegorica e comprende la caricatura e la condanna conclusiva degli atteggiamenti convenzionali riguardo all'arte, personificati da sette personaggi della commedia dell'arte, che alla fine, vengono simbolicamente rinchiusi, o meglio, "messi via", in un immenso armadio. Successivamente appare Orfeo, incarnazione dell'ideale dell'arte pura e idealistica, che presenta i personaggi protagonisti di Sette canzoni. La caratterizzazione musicale delle Maschere e di Orfeo è profondamente contrastante, sia come stile sia come espressione. La terza e ultima parte della trilogia, Orfeo, ovvero l'ottava canzone, è concepita come satira dell'indifferenza, dell'incomprensione o dello sterile entusiasmo che il pubblico riservò alle Sette canzoni. L'opera è una commedia nella commedia, con in scena alcuni spettatori che assistono a una rappresentazione di marionette, il cui protagonista è il pazzo e ridicolo imperatore Nerone. Alla fine appare Orfeo, che canta un'aria appassionata sul proprio infelice destino e che commuove la Regina, mentre gli altri spettatori si sono quasi assopiti per la noia. La musica è un'arguta e abilissima parodia dello stile della grande opera italiana e del lirismo pucciniano.
Torneo notturno è costruito sugli stessi schemi drammatici e musicali di Sette canzoni. Come nell'opera precedente il testo è tratto dall'antica poesia italiana, su cui Malipiero creò i soggetti per sette scene notturne, ma i personaggi sono qui molto piú statici e piú simili a burattini. Simboleggiano le passioni umane in contrasto fra loro, e l'azione si svolge nella sfera irreale e fantastica di un mito o di una leggenda fuori del tempo. Nei due personaggi principali, il Disperato e lo Spensierato, che appaiono in tutti i sette episodi, Malipiero raffigura due atteggiamenti fondamentali e diametralmente opposti: la disperazione e l'edonismo; l'assassinio conclusivo dello Spensierato da parte del Disperato è un atto simbolico, che rappresenta la vittoria delle forze mortali su quelle vitali. L'ultima scena mostra una processione funebre osservata da molto distante, e suggerisce il fatto che il Disperato continua la sua ricerca senza speranza della felicità. Come le Sette canzoni, Torneo notturno è improntato a un profondo pessimismo - la vita concepita come una valle di lacrime e come lo specchio della morte. Anche qui il lirismo ha lo scopo di dare unità e coerenza alPopera) mentre il legame musicale fra i vari episodi consiste nella ricorrente Canzone del tempo dello Spensierato, che, secondo il compositore, rappresenta il nucleo drammatico del lavoro:
Sebbene lo stile operistico di Malipiero sia eclettico, nel senso che egli attinge a fonti diverse - il canto gregoriano, l'antico arioso, le vecchie forme di danza (ballate), l'armonia debussiana e il ritmo stravinskiano - tutti questi elementi eterogenei si fondono in un tutto organico che rivela una fisionomia inconfondibilmente personale.
In Tre commedie goldoniane (1922), la cui origine spirituale va ricercata nella nostalgia del compositore per il glorioso passato della natia Venezia, Malipiero mira a ricreare la caratteristica atmosfera della città antica: le calli e i campielli in Bottega del caffè; la vita domestica con i suoi intrighi in Sior Todaro brontolon; e la confusione del porto e della laguna in Le baruffe chiozzotte. I soggetti sono tratti da tre commedie di Goldoni, ma Malipiero ne semplificò notevolmente la trama, ne ridusse il numero dei personaggi al minimo indispensabile e, nell'ultima opera, introdusse episodi tratti da altre commedie goldonaine. I tre lavori fanno rivivere lo spirito dell'opera comica settecentesca sulla base di un trattamento orchestrale piú o meno sinfonico, e mentre il recitativo è quasi completamente assente da L'Orfeide, nelle Tre commedie ha un ruolo molto piú rilevante, a danno delle parti piú schiettamente liriche. In Le baruffe chiozzotte vi è anche un canto in dialetto veneziano e l'imitazione dei gridi dei venditori ambulanti.
Un'altra opera notevole è La favola del figlio cambiato (1933), su libretto di Pirandello. La vecchia fiaba del bambino sostituito qui viene modificata, cosicché il protagonista, figlio di una povera donna, è un ragazzo sano e ambizioso, che prende il posto del figlio del re, mentre il vero principe è un vero demente. La storia viene trattata in modo allegorico, a dimostrare che la verità non si può mai stabilire, mentre passa per verità quella alla quale crede il popolo. La parte piú efficace dell'opera è il secondo atto, ambientato in una taverna del porto, con prostitute, marinai e monelli di strada che costituiscono uno sfondo vivace e colorito. Il trattamento musicale è nel complesso meno felice che nelle opere precedenti, ma qui acquistano maggiore rilievo i personaggi principali; vi sono inoltre notevoli effetti vocali, come il coro ostinato dei marinai e dei monelli nell'Atto II e l'effetto di pedale interno delle voci nell'atto III.
[1] Malipiero ha curato la revisione completa dell'opera di Monteverdi e ha collaborato a quella di Vivaldi.
[2] M. Mila parla a questo proposito di «abolizione o... riduzione al minimo dei recitativo, e quindi di tutte le necessità discorsive» e della «conseguente aspirazione a fare dell'opera un seguito di canzoni» (Breve storia della musica, Torino, 1963, p. 426). [N. d. T.]
[3] GUIDO M. GATTI, nella raccolta L'opera di Gian Francesco Malipiero, Treviso, 1952, p. IX.