Banche Dati On-Line


Data: 06/01/2002
Testata: IL SOLE 24 ORE Giorno: Domenica

Inserto:
DOMENICA
LETTURE

Glorie della Serenissima - L'epopea millenaria della città lagunare, dalle origini mitiche al dominio sui commerci, raccontata dalla Crouzet-Pavan
IL LUNGO SOGNO CHIAMATO VENEZIA
Nelle grandiose e raffinate opere pubbliche lo specchio di una civiltà - Nel mito della Fenice il destino di eterna capitale: persino nel momento della decadenza politica, nel Settecento, si seppe reinventare come guida culturale grazie a intellettuali di respiro europeo
Vittore Branca


Veramente <trionfante> questa Venezia presentata con vibrante felicità storico-narrativa dall'autorevole studiosa francese della Serenissima. Partendo dal mito della volontà divina che avrebbe destinato Venezia al dominio dei mari, a regina degli scambi fra Occidente e Oriente, a un'eccezionale stabilità di governo lunga più di un millennio, la Crouzet-Pavan traccia brillantemente un'epopea della città lagunare nei suoi secoli d'oro. E la rievoca ispirandosi alla definizione <trionfante e sempre libera> del Sansovino e a un'affermazione del più illustre e vivace storico veneziano, pure cinquecentesco, Marin Sanudo. La grandezza e la potenza di Venezia erano, secondo il Sanudo, basate sulle <mercadantie fatte col navigar in diverse parti del mondo>. Ma la Crouzet aggiunge, giustamente e con novità, che la forza e la prosperità di Venezia si svilupparono pure su un tessuto ricco e variegato di produzione industriale e artigianale.
Anche per Venezia - come già è stato scritto per l'altra grande capitale della fioritura economica e artistica italiana, la Firenze fra secondo Duecento e Cinquecento - si può parlare di una potente civiltà basata su un'epopea mercatantesca. Proprio in questa prospettiva la Crouzet rievoca vivacemente la lunga durata della Venezia <trionfante>, le strutture dell'economia e le forme della convivenza sociale. Le quali si inscrivono anche negli spazi del tessuto urbano, nelle linee della sua espansione politica e commerciale, nelle grandiose e raffinate opere pubbliche dove l'intera città si mette in scena. Forse una diversa <trionfante Venezia> avrebbe dovuto interessare la Crouzet anche al di là dei proverbiali secoli d'oro: per quel suo straordinario metabolismo di capitale mondiale che è stato esaltato da Ortega y Gasset e dalla sua scuola, a cominciare da Maravall.
La stessa decadenza politica sembra investire nel '700 Venezia come elemento di rinnovamento, secondo la nuova filosofia della storia da Vico a Gibbon. Proprio mentre il Governo veneziano, consapevole delle situazioni europee mutate, decreta nel suo Maggior Consiglio la fine di questa millenaria città-Stato. Venezia si proietta nel mondo in una vivificatrice e trionfante diaspora che promuove attivamente la civiltà moderna. Con Algarotti a Pietroburgo o a Postdam, con Vivaldi e Zeno e Caldara e da Ponte nelle sale e nei teatri di Vienna e del vasto impero austriaco, con Rosalba Carriera e Giovanni Galli da Bibiena e Goldoni a Parigi, coi Tiepolo a Wurzburg e a Madrid maestri di Goya, con Canaletto e da Ponte in Inghilterra, con Bellotto a Dresda e Varsavia, con Quarenghi e Gonzaga a Pietroburgo e a Mosca, coi Piranesi e con Canova a Roma e a Parigi e in tutta Europa, con da Ponte persino a New York e a Philadelphia, Venezia sembra trasformare le linfe più vitali della sua civiltà - originalmente umanistica - nei tessuti sociali, intellettuali, politici in via di risoluto rinnovamento nel Vecchio e nel Nuovo Mondo. Promuove decisivamente quell'unità della vita cultural-sociale che già agli inizi del Quattrocento il suo grande umanista Francesco Barbaro auspicava come <res publica litteraria universalis>.
Il mito della fenice, la leggenda del pellicano sembrano in qualche modo ripetersi così per Venezia. Al tramonto della sua forza di capitale statale-economica seppe prepararsi un destino di capitale spirituale nel mondo, di <calamita in Europa e nel mondo> (come la definiva l'abate napoletano Diego Zunica). <Succisa virescit>. Un destino eterno di capitale che sembra prolungarsi anche nei due secoli più recenti col teatro tutto borghese e realista di stampo goldoniano, con le insistenti riprese neopalladiane nel Vecchio e nel Nuovo Continente, coi diversi Impressionismi tutti colori ed evanescenze veneziane che travolgono l'impegno nel disegno, dai toscani del Rinascimento ai Neoclassici. E poi, nel Novecento, con la spiritualità attiva e rasserenante dei suoi tre patriarchi divenuti - fatto unico nella storia - tre Papi decisivi; con la poesia determinante di Pound e di Rilke, di Valeri, di Noventa e di Zanzotto; con le architetture sublimemente artigianali di Carlo Scarpa; con la musica tormentata ma rasserenante di
Malipiero, di Maderna, di Nono, di Sinopoli; col riconoscimento e la promozione pionieristica del cinema e della coreografia come arti rinnovatrici accanto a quelle tradizionali; con la creazione di un'autorevole Università e di una facoltà di Architettura famose in tutto il mondo e che attirano diecine di migliaia di giovani; con un Palazzo Grassi rinnovatore dei messaggi delle mostre di civiltà; con una casa editrice di autorità internazionale come la Marsilio; con gli ormai storici punti di incontro e di scambio internazionale al più alto livello culturale e scientifico (fino al recente convegno dei Premi Nobel per le varie discipline) alla Biennale e alle Fondazioni Cini e Levi.
Anche questa è una Venezia trionfante troppo ignorata dagli storici: trionfante per un suo umanesimo fatto, fin dal '400, più di sapienza civile che di letteratura. É un umanesimo metastorico e metabolico, insieme politico economico culturale, valido al di là degli eventi. E qualsiasi evento a Venezia trova immediata e vasta eco nel mondo più di quelli in molte capitali di grandi potentati. A imporsi è la realtà di questa Venezia - già per Otway e poi per Hofmannsthal e fino alla Weil e a Bontempelli - sempre da salvare e sempre salvata, sempre vera capitale nelle sue diversissime metamorfosi: da forte res publica politico-economica quasi altera Roma, ma fatalmente limitata nei secoli, a <res publica litteraria universalis>, quella profetata da Francesco Barbaro e impostata e avviata da Aldo Manuzio e Pietro Bembo, che - è forse solo un sogno? - può sfidare i millenni. <Dal fondo del mare sale una volontà che non si arrende / Quasi dovesse questa notte ancora / Raddoppiar l'ammiraglio le galere>, cantava e profetava, già ai primi del Novecento, Rilke.
Elisabeth Crouzet-Pavan, <Venezia trionfante. Gli orizzonti di un mito>, Einaudi, Torino 2001, pagg. 354, 25,82.