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LAURETO RODONI

IL TOPOS DELLA CITTÀ PERSONIFICATA

IN «DIE TOTE STADT» DI

ERICH WOLFGANG KORNGOLD



DIE TOTE STADT ALL'OPERNHAUS DI ZURIGO
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PREMESSA
«Le Roi d'Ys» [1] di Édouard Lalo [2], «Louise» [3] di Gustave Charpentier [4], «La légende de la ville invisible de Kitège» [5] di Rimski-Korsakov[6], «Die Tote Stadt» [7] di Erich Wolfgang Korngold [8], «Padmâvatî» [9] di Albert Roussel [10] e «Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny» [11] di Kurt Weill [12] sono frutti artistici di esperienze esistenziali, culturali, musicali, estetiche talmente diverse che anche soltanto il loro accostamento potrebbe suscitare, a prima impressione, perplessità e sconcerto. Eppure esiste un fil rouge che lega queste opere, un elemento non marginale che le accomuna: il ruolo che i tre compositori assegnano alla Città, intesa non soltanto come contesto storico e sociale in cui si svolgono i fatti, ma come personaggio tra i personaggi, con una «voce propria» da protagonista e quindi con una «capacità» d'azione, di intervento anche profondamente modificante nella vicenda.
Gran parte di questo saggio è incentrato su Korngold e sul suo capolavoro «Die tote Stadt». Il riferimento alle altre opere menzionate consentirà di stabilire dei confronti per meglio valutare e comprendere l'uso del topos della città personificata, apparso nella storia dell'opera soltanto alla fine dell'Ottocento («Le Roi d'Ys» sembra essere il primo esempio).
DIE TOTE STADT
Se nel romanzo di Rodenbach [13] Bruges è programmaticamente definita un «personnage essentiel, associé aux états d'âme, qui conseille, dissuade, détermine à agir» e appare «presque humaine», una città in cui «un ascendant s'établit d'elle sur ceux qui y séjournent», modellandoli «selon ses rites et ses cloches», [14] nell'opera di Korngold la sua funzione drammaturgica non è esplicitata sul piano teorico. Soltanto nel riassunto redatto dal compositore stesso nel 1921, appaiono considerazioni che possono essere collegate alla premessa dello scrittore: «Cette ville morte, dont les cloches, les vieilles maisons délabrées, les eaux dormantes, les églises et les cloître obscurs rappellent sans cesse la mort et l'aspect transitoire de l'existence, est devenue pour lui [Paul] le symbole de la morte et du passé.» [...] «Des nuages orageux passent dans le ciel, et les cloches sonnent interminablement. On a l'impression que cette ville pieuse et morte se gonfle dans un désir de protestation.» [15]
In effetti, anche nell'opera la città «oriente l'action» e i paesaggi urbani non sono più soltanto «des toiles de fond, comme des thèmes descriptifs un peu arbitrairement choisis, mais liés à l'évènement même du livre», [16] in questo caso dell'opera. Una Città, quindi, allegorizzata e assurta al rango di personaggio, con il ruolo-chiave di protagonista. Con la sostanziale differenza degli scopi che la Città persegue con la sua «influence». [17]
L'opera si snoda sull'arco di 3 atti e 333 numeri [18] di partitura [19] ed è costruita su una antitesi REALTÀ-SOGNO: la visione onirica, che si si estende su tutt'e tre gli atti e occupa i due terzi dell'opera, è incorniciata in modo apparentemente asimmetrico da sei scene 'reali': cinque nel primo atto (I.1-5), [20] una nell'ultimo (III.3). Eccone lo schema:

--------ATTO I---------------ATTO II-------------ATTO III--------

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 || PII [*] - 1 - 2 - 3 - 4 || PIII - 1 - 2 - 3 [**]

Dal punto di vista della fabula narratologica, il tempo reale (o temps chronique) che intercorre tra la quinta scena di I e la terza di III è brevissimo. Marietta esce, si accorge di aver dimenticato ombrello e rose, torna indietro e se ne va definitivamente. Pochi minuti come risulta dalle parole della donna stessa: «Da bin ich wieder | Kaum dass ich sie verlassen». [21] Il tempo onirico è invece iperbolicamente dilatato (o sospeso) sia drammaturgicamente (la durata effettiva sulla scena della visione è di circa 90 minuti) sia da inequivocabili indicazioni temporali degli autori: «La vision, quant à elle (Acte II et première partie de l'Acte III), est censée avoir lieu plusieurs semaines après les évènements de l'Acte I.» [22] Il fenomeno è quindi macroscopico e, palesemente, intenzionale: in un tempo reale concentratissimo accade una complessa e lunga vicenda vissuta però sul piano onirico. [23]

I personaggi sono raggruppati in triadi: da una parte Paul, Marie e Bruges in quanto Città allegorizzata (Triade che si pone su un piano spirituale, mistico); dall'altra Paul, Brigitta e Frank [24] (una triade per così dire 'terrena'). Marietta è un elemento estraneo che, dapprima solo con la presenza e l'inazione, ma poi anche consapevolmente con l'azione, il modo di agire, insidia non solo i due elementi simbolici della prima Triade, Marie e Bruges, compromettendo l'equilbrio psichico di Paul; ma scardina anche la seconda: si pensi a II.2 in cui l'amicizia tra Paul e Frank è rotta per la relazione che quest'ultimo ha instaurato con Marietta e a II.1 in cui Brigitta, per «restare fedele ai morti» abbandona Paul. [25]
La Città intesa come personaggio è dapprima simbolizzata ed espressa musicalmente dal suono delle campane e dell'organo (in II.1); in seguito dalle processioni (in II.3 e in III.2). Questi tre momenti sono collocati agli estremi e al centro della scena della visione, in PII, in II.3 e in III. 2, in posizioni quindi di grande rilievo sul piano strutturale.
Nel fondamentale preludio di II al nº 108, [26] preceduta da alcune battute orchestrali con l'indicazione espressiva «Sehr zurückhaltend, mit düster drohendem Ausdruck» riappare inopinatamente la voce di Marie che ripete le sue ultime parole sostenute significativamente dall'organo: «Dich fasst das Leben, dich lockt die Andere. Schau und erkenne...». Questa ripresa da una parte, come detto, stabilisce un collegamento strettissimo tra I e II, nonostante il trascorrere di «plusieurs semaines après les évènements de l'Acte I»; dall'altra costituisce l'espediente drammaturgico e musicale che il compositore impiega per evidenziare la corrispondenza (la complicità?) tra la moglie morta e la Città. Questa corrispondenza è esplicitata verbalmente in I.2:
Du weisst, dass ich in Brügge blieb,
Um allein zu sein mit meiner Toten:
die tote Frau, die tote Stadt,
Flossen zu geheimnosvollem Gleichnis.

e ripresa in I.6, all'inizio della lunga visione di Paul:

Du bist bei mir, bists immer, ewig.
bist es in dieser toten Stadt
Du tönst in ihren Glocken,
steigst aus ihren Wassern.
Nell'opera la vicenda amorosa di Paul con la sosia della moglie defunta è già iniziata quando si alza il sipario e, come antefatto, è narrata a Frank in I.2. Continua nell'ambito del reale (I.5) ma si sviluppa e soprattutto si conclude (tragicamente) in quello della visione (III.2). Nel lungo 'spezzone visionario' la scena delle esibizioni goliardico-teatrali di Marietta (II.3; nn. 143- 194) e dei suoi compagni [27] ha una evidente collocazione centrale e costituisce un'antitesi violenta rispetto alla Stimmung sacrale che caratterizza Bruges, poiché viene rappresentata la fatuità, la leggerezza, la volgarità di Marietta e dei suoi compagni. Anche sul piano dei registri (musicali e letterari) si scosta fortemente dal resto dell'opera: Korngold infatti adotta stilemi tipici dell'operetta. Tutto ciò evidenzia il significato destabilizzante e dirompente che questa scena assume nell'opera: essa è una vera e propria profanazione della Città, resa ancor più sacrilega dalla sfida ingiuriosa di Marietta: «Schach Brügge und Schach der dumpfen Lüge», ripresa dagli altri attori (nº 165a) in tono beffardo. Musicalmente Korngold mette questa offesa collettiva nel massimo rilievo, quasi isolandola da ciò che precede e da ciò che segue. Profanazione e dissacrazione sono rafforzate dalla rappresentazione della scena di Hélène tratta da Robert le Diable, in cui la resurrezione viene ridicolizzata.
La Città è indotta da questa irrisione blasfema ad ammonire per la seconda volta (nn. 188-190a) [28] e Paul, per il rispetto che nutre verso la Città del suo rifugio, rinnega, ormai, l'identità Marie - Marietta. Infatti, allibito, urla: «Halt ein! Du eine auferstandene Tote? Nie!» A questo punto, «profondément blessée, Marietta décide de se battre contre sa rivale défunte. Elle rassemble tous ses pouvoirs de séduction et attire une fois de plus Paul auprès d'elle. incapable de se contrôler, celui-ci se rend. Il exprime le désir d'entrer dans la demeure, mais Marietta refuse: allons plutôt 'dans ta maison, dans sa maison'. Là, elle souhaite passer la nuit auprès de lui et banir à jamais le fantôme...» [29]
Quando si trova sola nell'abitazione di Paul ed entra nella camera-santuario con il dipinto raffigurante la moglie defunta, Marietta, vero e proprio doppio satanico [30] di Marie, compie un'altra profanazione, rivolgendosi con toni beffardi alla donna: «Zum zweitenmal starbst du, | du stolze Tote.» Questo secondo sacrilegio scatena la violentissima reazione di Bruges, poiché 'profanazione della Città' equivale a 'profanazione della memoria di Marie' e viceversa. La città si manifesta simbolicamente in una processione che intona il Pange lingua: a Paul, destinatario del minaccioso messaggio, sembra che sconfini nella sua stessa abitazione (nn. 271-276), come se i fedeli e i sacerdoti volessero investirlo del ruolo di punitore-vendicatore. Infatti, quando Marietta irriderà alla reliquia di Marie, ai suoi capelli, una sorta di sineddoche drammaturgica, essi stessi diventeranno strumento di morte nelle mani 'guidate' di Paul.
Anche l'apparizione di Marie in I.6 [31] si può interpretare come la conseguenza di una profanazione compiuta da Marietta del Lied [32] che impropriamente [33] porta il suo nome (in I.5, nn. 58-63). Paul intona «Glück, das mir verblieb» insieme alla sosia della moglie con trasporto tale da infastidire la donna che commenta: «Das dumme Lied, es hat Sie ganz verzaubert». Subito dopo il canto goliardico degli amici di Marietta che proviene dalla strada contamina e quindi profana a sua volta la sacralità della casa di Paul.
Il vero Lied di Marietta è «O Tanz, o Rausch!», antitesi musicale e letteraria rispetto a «Glück, das sie mir verblieb»: in esso l'essenza della donna è espressa dai versi: «Ein Dämon erhitz mich, | beherrscht mich, besitzt mich.»
L'esaltazione di Paul accecato dalla sensualità di Marietta ed espressa nelle parole «O Traum der Wiederkehr, entweiche nicht! | In dir, die kam, kam meine Tote, kam Marie...» precede l'apparizione di Marie, la quale riprende la melodia del Lied profanato sulle parole «Unsre Liebe war, ist und wird sein», ribadite subito dopo da Paul.
Ma quali scopi perseguono la Città e Marie?
In Rodenbach è evidente che Marietta, rea di aver profanato e schernito la reliquia di Marie, viene uccisa da Hugues in un raptus di violenza incontenibile provocato dal fatto che non ha «deviné le Mystère et qu'il eût une chose à laquelle il ne fallait point toucher sous pène de sacrilège». [34] E il romanzo si conclude su questo assassinio della donna che per Hugues doveva rappresentare una sorta di salvezza e che invece ora nell'alterazione del suo stato non distingue dall'altra, «unique visage de son amour. Le cadavre de Jane, c'était le fantôme de la mort ancienne, visible là pour lui seul.» [35]
In «Le Mirage», invece, la governante Barbe (Brigitta nell'opera) scopre inorridita il cadavere e, non lasciandosi per nulla convincere dalle parole di Hughes (sic) («Là voilà Barbe. Ella va toujours demeurer avec nous. Nous serons bien heureux»), lo considera un pazzo e chiama soccorso. Le ultime parole di Hughes sono: «C'est pas moi... c'est la chevelure». [36]
In Korngold Paul, Marie e Bruges eliminano l'elemento dissacratore, satanico che ha corrotto la persona vivente della Triade, [37] ma soltanto nella visione di Paul, non nella realtà: uccisione come punizione ma soprattutto come purificazione e catarsi. Bruges è quindi la vera protagonista dell'opera, eroina trionfante sull'anti-eroe traviato e sull'antagonista Marietta.
La Triade è salva (e forse non è un caso che l'ultimo numero del Klavierauszug sia il 333, con il 3 ribadito 3 volte) ma Paul, attraverso la visione che è anche elaborazione del suo lutto, è profondamente cambiato.
Alla luce di quanto esposto nelle pagine precedenti appare chiaro che il finale lieto e la guarigione spirituale di Paul contrastano fortemente con la Stimmung simbolista del romanzo di Rodenbach. Le situazioni morbosamente visionarie lasciano il posto a un ordine ristabilito che oserei definire piccolo-borghese: Paul può ora vivere l'esperienza di un altro amore, interpretando le parole di Marie non in riferimento a Marietta: «Dich fasst das Leben, dich lockt die Andere - Schau, schau und erkenne.»
Rimossa la componente morbosa e mistica del ricordo di Marie e svincolatosi dalla Città-esca, locus amoenus in cui questo ricordo veniva celebrato e che ora non sembra più caricata di significati allegorici, dopo un impervio percorso onirico-esistenziale, Paul libera un canto appassionato, velato però di tristezza, che riprende la stupefacente melodia del Lied «Glück, das du mir verblieb». [38] «Ici, sur terre, il n'ya pas de réunion possible avec ceux qui nous ont quitté, pas de résurrection», conclude Korngold. [39]
Anche nell'opera di Lalo, la città diventa personaggio in seguito a un'offesa perpetrata da una delle figlie del re: quando Margared si rende conto con rabbia che non ha alcuna chance di spodestare Rozenn nel cuore dell'amato Mylio, dopo aver maledetto la coppia di amanti, diventa l'aiutante dell'antagonista Karnac, compiendo un atto sacrilego nei confronti di Ys e del suo protettore, Saint Corentin: rivela infatti al nemico il modo di aprire le chiuse per inabissare la città sotto i flutti dell'oceano e sfida il Santo, chiedendogli beffardamente di compiere un miracolo per salvare la città dalla distruzione.

Saint Corentin, simbolo della città di Ys, come Marie lo era di Bruges, si rivela suscitando lo sgomento di Margared e Karnac che però non demorde. Nonostante il pentimento, Margared è costretta da Karnac a mantenere la promessa. La donna cede solo quando Karnac le descrive malignamente l'uscita di chiesa di Rozenn e Mylio, dopo la cerimonia nuziale, suscitando nella donna una gelosia incontenibile. Le chiuse vengono quindi aperte.

Subito pentita, Margared avverte i cittadini, cosicché una parte può trovar rifigio in cima a una collina. Quando confessa il proprio misfatto, la città, che poco prima ha chiesto pietà alla «Puissance infinie», si ribella con veemenza, nonostante il re propenda per il perdono:

«Mort à l'infame! Frappons sans merci. [...]
Par tous maudite et par tous condamnée.
L'Enfer t'appelle et ton heure est sonnée!
Mort! Mort! Mort!

Un violento tuono rammenta a Margared il suo destino: sfuggendo a coloro che la trattengono si getta nell'oceano dalle rocce, invocando perdono e chiedendo a Dio di risparmiare la città. Saint Corentin appare e, dopo aver fermato con un gesto imperioso Rozenn e Mylio che tentano di raggiungere Margared, compie il miracolo, salvando coloro che si sono rifugiati sulla collina.

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LA LEGENDE DE LA VILLE INVISIBLE DE KITÈGE

RIASSUNTO IN INGLESE

Il topos della città personificata è da Rimski-Korsakov collocato in un contesto fiabesco dove l'immaginario prevale sul reale, ridotto al fatto storico dell'invasione dei Tartari. Il ruolo attribuito a Févronia e alla sua religiosità panteistica [40] con reminiscenze francescane [41] nel primo atto ne fa una predestinata, una sorta di Messia con il compito alto e difficile di salvare la città sacra di Kitège. Ed è certo un segno del cielo anche l'incontro della fanciulla con il principe Vsévolod, figlio di Youri, re di Kitège-la-Grande. L'aspetto divino di Févronia è descritto nelle prime parole del principe: «un séraphin invisible est descendu sur terre, se métamorphosant en vierge». Nel duetto con il principe Févronia approfondisce la sua fede religiosa. [42]

La sua cattura da parte dei dei Tartari, mentre il corteo dei messaggeri del principe si dirige trionfalmente verso Kitège, la successiva accusa infamante del debole e timoroso Kouterma, la distruzione di Kitège-la-Petite sono delle vere e proprie prove eroiche che Févronia deve sostenere e superare per riscattare Kitège-la-Grande. Grazie alla fede incrollabile, la sua preghiera («Dieu, rend invisible la ville de Kitège, ainsi que les justes qui l'habitent») è subito esaudita: «en effet les cloches des églises se mettent toutes seules à bourdonner doucement, comme si elles étaient battues par une multitude d'ailes» e una nebbia dorata scende sulla città.

D'ora in poi Kitège agisce come un personaggio vero e proprio, intimamente connesso al personaggio di Févronia che assurge a simbolo della città intera, per mezzo del suono delle campane, il cui semplice tema si sviluppa in costruzioni di volta in volta nuove, pur restando nella sostanza sempre se stesso.

Ma per Févronia le prove non sono terminate: deve infatti assistere all'umiliante disputa dei due Tartari per il suo possesso fisico e viene conoscenza della sconfitta delle truppe del re Youri e della morte del futuro sposo. Kitège saprà punire in maniera atroce il traditore Kouterma, insinuandogli nel suo cervello il suono delle campane, «un carillon furieux» che, simile a un «coup de massue sur le crâne» lo fa impazzire. Lo stesso suono che sembra provenire dal nulla fa fuggire le truppe tartare terrorizzate: «le Dieu russe est terrible», esclamano i nemici. L'ultima prova di Févronia è la misericordia verso Kouterma, ormai preda di Satana e di allucinazioni terribili.

Dall'apparizione di Alkonost e dello spettro del principe, la vicenda entra in una dimensione soprannaturale e Kitège si erge a simbolo di spiritualità a cui l'uomo deve tendere e contro cui nulla può la forza bruta.

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In Padmâvatî la distruzione della città di Tchitor è la conseguenza di tre sacrilegi concatenati.

Il primo viene commesso dal bramino, quando conferma la falsa conversione di Alaoudin all'induismo: «Le Seigneur Alaoudin [...] a suivi mes conseils et vénère nos dieux.» (I.2).

La città stessa di Tchicor commette il secondo. Dopo aver riconosciuto il bramino come un ex spasimante della regina, la folla inferocita lo punisce poiché ha offeso la regina: «Sa beauté sera réduite en fumée et en cendres | Pour avoir offensé les puissances du mal.» La condanna a morte è eseguita all'istante: «La reine! Il a maudit la reine! à mort! à mort!» (I.3)

Il tentativo di Ratan-Sen di salvare la città, consegnando Padmâvatî a Alaoudin, è fermamente respinto dalla regina stessa che considera la proposta del marito un sacrilegio da punire con la morte.

Tchitor arma la mano della regina che uccide il marito e poi si immola su una pira purificatrice. Questo suicidio comporta la definitiva 'condanna a morte' della città stessa che sarà distrutta da Alaoudin.

Padmâvatî diviene consapevole che la sorte sua e della città è segnata in I.4: strutturalmente, questa scena si trova al centro dell'opera, preceduta e seguita da tre scene: «Le premier meurtre est accompli, l'orage se déchaîne.» Nella stessa scena la regina proclama l'indissolubilità del suo legame con il re. Se in I Padmavati è il simbolo vivente della città, dopo la morte del bramino il legame si rafforza e il suo destino è sempre più connesso a quello della città.

La collocazione privilegiata di I.4 è evidenziata dalle corrispondenze che si stabiliscono con le sei scene che la circondano:

- In I.1 gli abitanti di Tchitor dibattono sulle reali intenzioni di Alaoudin; Gora ha dei presentimenti di sventura; in II.1 i sacerdoti di Siva e Padmâvatî rifugiatisi nel tempio implorano il loro dio affinché salvi la città. Il responso del dio è inequivocabile: è necessario più di un sacrificio. La sventura incombe ormai sulla città.

- Al duetto Alaoudin - Ratan-Sen di I.2 corrisponde il duetto Ratan-Sen - Padmavati in II.2. In essi il re ha un ruolo negativo e decisivo per le sorti della città: acconsente a mostrare la moglie al nemico; in II.2 le chiede vilmente di immolarsi per salvarla. Padmavati rifiuta perché il suo destino è indissolubilmente legato a quello del marito. Inoltre, ben consapevole che la città deve essere punita e purificata per mezzo della morte per l'assassinio del bramino (anche se traditore godeva di una sorta di immunità religiosa) uccide il marito per evitargli di espiare sotto forma di «bête immonde» la successiva reincarnazione. Poi si immola spontaneamente.

- In I.3 il bramino viene ucciso; in II.3 è la regina che si getta spontaneamente nel rogo insieme al cadavere del marito. Il destino della città è segnato.

Alaouddin sfonda la porta del tempio e osserva impietrito la scena dell'immolazione: anche il sultano è quindi punito per un sacrilegio commesso (la falsa conversione): la vittoria militare è l'equivalente della sua sconfitta personale: la morte di Padmâvatî, la cui identificazione con la città è alla fine dell'opera completa.

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In Mahagonny Jim viene giustiziato perché non ha il denaro per pagare il conto. Le altre colpe (seduzione di Jenny, disturbo della quiete pubblica, responsabilità nella morte di Joe) sono soltanto delle aggravanti rispetto a questo capo di accusa. Anche Mahagonny quindi è una Città 'profanata', in cui è stato commesso un 'sacrilegio'.

E come Bruges, anche Mahagonny è una Città-esca, con un forte potere di attrazione e di distruzione: Paul vi risiede perché locus amoenus per coltivare piamente il ricordo della moglie morta; Mahagonny è un locus amoenus alla rovescia: l'esasperazione del piacere fisico e sessuale, la sguaiataggine, la degenerazione godereccia si contrappongono alla reclusione, alla meditazione, al silenzio, alla castità, alla preghiera.

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Nell'opera di Charpentier il ruolo di Parigi come Città-personaggio con funzione drammaturgica di 'esca' o di 'magnete' si palesa a poco a poco, non solo nel contrasto tra due generazioni, tra due modi di vivere e di pensare questa Città (da una parte come locus amoenus, «joyeux, tendre, inoubliable paradis», dall'altra come locus terribilis, crogiolo del vizio, delle «tentations mauvaises»); non solo per mezzo di una minuziosa descrizione, mutuata dal naturalismo, della vita quotidiana, familiare e lavorativa, della povera gente in antitesi alla vita godereccia dei ricchi; questo ruolo emerge anche dal contradditorio giudizio che gli esclusi, gli emarginati danno di Parigi, ossia dalla malcelata invidia, cagionata dalla frustrazione, che si insinua nelle loro severe parole di condanna. Ma, nel contempo, e paradossalmente, anche il fascino irresistibile che la presenza di questi personaggi umili conferisce alla Città, fa assurgere Parigi al rango di Ville-piège.

Come in Die tote Stadt, anche la struttura di quest'opera è circolare: al primo atto corrisponde infatti l'ultimo, poiché ambedue si svolgono nella casa dei genitori di Louise. La ragazza che lascia la propria abitazione nel secondo atto è sul piano della maturazione interiore radicalmente diversa rispetto a quella che rientra nella casa dei genitori, dopo il feroce ricatto affettivo della madre. Nel frattempo vi è stata una vera e propria iniziazione alla Città, propiziata dalla lettera di Julien ai genitori di Louise.

Louise non compare nelle prime scene che descrivono Parigi. Esse hanno come punto culminante il canto entusiastico di Julien che ne esalta il fascino: «Ah! Chanson de Paris où vibre et palpite mon âme!... Naïfs e vieux refrains du faubourg qui s'éveille, aube sonore qui réjouit mon oreille! cris de Paris... voix de la rue! Êtes-vous le chant de victoire de notre amour triomphant?» Da questo punto di vista le scene iniziali non hanno un mero valore descrittivo: esse sembrano piuttosto rievocare l'iniziazione di Julien di cui vorrebbe far partecipe Louise.

Il primo tentativo del ragazzo II.7 non ha buon esito. La brevissima scena successiva sul piano strutturale si colloca esattamente al centro dell'opera se consideriamo come tasselli, oltre alle scene, anche i preludi e l'interludio. In essa protagonista è un marchand d'habit, ma di enorme importanza drammaturgica è però «le dernier geste de désespoir» di Julien. Siamo al culmine dell'incomprensione tra i due innamorati; ora il climax si fa discendente, una discesa verso... Parigi, appunto.

Non è un caso che alla scena menzionata faccia seguito un interludio separatore. La tristezza del ragazzo si manifesta poi nella canzone che Louise e le sue colleghe ascoltano all'interno della fabbrica; tristezza che si trasforma a poco a poco in stizza.

Quando Louise si sente male e fugge, inizia una nuova fase della sua vita. Da questo punto di vista è fondamentale nel percorso iniziatico di Louise il duetto con Julien nella prima scena del terzo atto e l'immersione nella Città nella terza scena, con la consapevolezza trasmessale dal fidanzato.

Ma Parigi, nel finale, sembra anche assumere un ruolo punitivo, soprattutto nei confronti del padre, reo di aver offeso con le sue parole, le sue minacce, i suoi ricatti la città stessa che vede dalla finestra della sua cucina e contro cui rabbiosamente inveisce.

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CONCLUSIONE
In conclusione: Bruges, Mahagonny, Ys, Tchitor, Kitège sono Città che si ribellano e uccidono, poiché è violata una legge o un codice etico/morale che deve guidare il comportamento degli abitanti. Sono cioè commessi dei sacrilegi o delle profanazioni: su un piano religioso in Le Roi d'Ys, Padmâvatî, Die Tote Stadt e Kitège, su un piano per così dire sociale in Mahagonny.

Parigi invece sembra essere soprattutto una Ville-piège, come Bruges e Mahagonny; una Città che attira e provoca un distacco da altri luoghi e/o da personaggi amati: se nella Tote Stadt si tratta di un movimento dall'esterno verso l'interno (ma poi di nuovo, ottimisticamente, verso l'esterno), in Louise il movimento è opposto, dalla dimora dei genitori a Parigi, con un significato di emancipazione dolorosa ma necessaria. Anche nell'opera di Weill il movimento è centripeto, ma, differenza di Bruges, Mahagonny non lascia scampo ad alcuno.

Con ancora l'eccezione di Louise, nelle opere analizzate la città ha un forte legame con un altro personaggio della vicenda che tende a identificarsi in essa: Bruges-Marie; Mahagonny-Jenny; Ys-Saint Corentin; Tchitor-Padmâvatî; Kitège-Févronia. Inoltre è presente in esse la dimensione soprannaturale, anche in Mahagonny, dove però il divino si presenta sotto forma grottesca.

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