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MARIO TEDESCHI TURCO

ERICH WOLFGANG KORNGOLD

CIERRE EDIZIONI
VERONA 1997


INTRODUZIONE

DIE TOTE STADT

Da fanciullo prodigio, ammirato ed esaltato da tutta l'Europa quale novello Mozart, a musicista 'minore', conosciuto a stento solo da pochi appassionati cultori, fino ai giorni presenti, quando, con alcune riprese teatrali di Die tote Stadt (l'ultima, al Festival di Spoleto 1997), il nome di Erich Wolfgang Korngold torna a essere, se non familiare, almeno noto a una cerchia sufficientemente vasta di pubblico. E mentre le principali case discografiche internazionali mettono in commercio diverse registrazioni dedicate alla musica del Maestro austro-americano, ricorrendo nel 1997 anche il centenario della nascita, è forse giunto il momento per iniziare uno studio approfondito della sua opera di musicista sinfonico, cameristico, teatrale, cinematografico.
Al di là dei pregevoli elzeviri di Alberto Arbasino, oltre alle acute recensioni discografiche di Elvio Giudici, di Francesco Maria Colombo e di pochissimi altri, l'Italia non ha sin qui mostrato alcun interesse specifico per Korngold, nemmeno per la sua, peraltro popolarissima, produzione cinematografica. Ma proprio il suo «doppio mestiere» di musicista 'classico' e cinematografico, il continuo interscambio fra l'una e l'altra produzione, il senso stesso che Korngold attribuiva al nuovo impegno per i film costituiscono altrettanti fertili terreni di ricerca per la storiografia musicale e la musicologia contemporanee.
Lo schizzo monografico che qui si presenta vuole rendere conto, secondo una direttrice analitica e critica di sintesi, di un'esperienza artistica che rivela più di un motivo di interesse.
Artista di precocissimo genio, cresciuto nei primi anni del '900 a Vienna, centro universale della cultura musicale, Korngold ebbe modo di conoscere direttamente tutti i maggiori musicisti dell'epoca, di assorbirne le soluzioni stilistiche anche più avanzate, per riproporle attraverso il proprio originale pensiero creativo.
Fortemente influenzato dall'ambito espressivo della Secessione viennese, in primis dal sinfonismo mahleriano e dall'idioma armonico di Richard Strauss, seppe assumerne i connotati principali filtrandoli attraverso una personale elaborazione della dialettica implicita nel Classicismo, soprattutto modellando il proprio comporre sull'esempio beethoveniano.
Considerando il corpus korngoldiano in prospettiva storica, sarà possibile notare come, sin dalle primissime composizioni, l'organizzazione del materiale musicale venga strutturata prima di tutto secondo un principio di elaborazione tematica che preveda un sistematico ritorno, ed una conseguente rielaborazione, dei temi musicali, che nascono e si sviluppano sempre secondo gli schemi tradizionali della forma sonata. La riproposizione del sistema compositivo tardo ottocentesco (l'organismo musicale che nasce da un motivo-cellula che viene ripetuto e variato, all'interno o al di fuori della forma sonata, la cui dialettica viene, però, sempre conservata) viene esaltato da una vena melodica straordinaria, che pare avere ereditato da Schubert e da Mendelssohn la propria plasticità, la propria profonda qualità espressiva. Allora, la composizione diviene in primo luogo una messa in testo della memoria percettiva, dove la ripresa dei temi, lungo il fluire del brano, determina il significato ultimo dell'arte, l'affermazione perentoria della sua unità, della sua possibilità di significato.
Il senso della Tradizione è racchiuso nelle composizioni di Korngold, lo spirito stesso della Romantik: la recezione dei codici compositivi dei maestri del recente passato (l'armonia wagneriana nell'estenuazione barocca di Strauss, con aperture al Debussy filtrato da Schrecker) osta all'impiego sistematico di una struttura atonale, anche se i meccanismi modulanti impongono spesso uno 'scarto' semantico che determina effetti di perdita del centro tonale con conseguenti intensificazioni espressive di lacerato lirismo. Ma l'affermazione necessaria dell'«idea», hegelianamente intesa, non può avvenire che attraverso una sintassi ancora indissolubilmente legata alla tonalità, e quindi attraverso la conservazione dei moduli espressivi già esperiti in passato, che non possono essere suscettibili di ulteriori, radicali modificazioni.
Dalla Vienna del crepuscolo, all'America rooseveltiana, dalla musica cameristica e sinfonica, al teatro ed infine al cinema, l'itinerario creativo di Korngold compie il proprio ciclo secondo una perfetta coerenza.
La sua essenza di estremo assertore della scuola tardo ottocentesca, proposta attraverso una nostalgia struggente, problematica, diresti 'ostinata' nel rifiuto della novità atonale e dodecafonica, e consapevole della forza ancora viva della Tradizione, definisce la personalità di questo notevole artista mitteleuropeo.
Questo saggio, opportunamente riveduto e aggiornato, è nato come tesi di laurea in Storia della Musica, discussa presso la Facoltà di Lettere dell'Università degli Studi di Venezia Ca' Foscari nell'anno accademico 1992-93.
4. Die tote Stadt, op. 12 (1916-1920)
Il libretto della Tote Stadt, massimo capolavoro teatrale di Korngold, venne tratto dal romanzo di Georges Rodenbach Bruges la morte, un racconto simbolista che risente molto dell'influenza di Maeterlinck e di Poe. La stesura del testo drammatico fu curata dallo stesso Korngold, in collaborazione con il padre Julius. Lo firmarono con uno pseudonimo, Paul Schott, derivato dal nome del protagonista dell'Opera (Paul) e dal cognome degli editori musicali (B. Schott's Söhne).
Lo stesso Korngold scrisse un riassunto della trama dell'Opera, per un numero speciale di «Blätter des Operntheaters» in commemorazione della prima viennese:
L'azione si svolge a Bruges alla fine dei XIX secolo. Gli avvenimenti della visione (Atto Il e parte dell'atto III) si immaginano accadere parecchie settimane dopo di quelli del primo atto.

ATTO I

A Bruges Paul piange la perdita della sua giovane sposa, Marie. Questa città morta, con le sue campane, le vecchie case in rovina, l'acqua stagnante nei canali, le chiese malinconiche e i chiostri, è un ammonimento costante alla morte e alla caducità delle cose, ed è diventata per lui il simbolo della moglie morta e del passato. In una stanza della casa - un 'tempio delle memorie' - il giovane ha conservato tutto ciò che gli ricorda la sua amata scomparsa: vecchi mobili, cimeli, fotografie, un grande quadro che la ritrae con il suo liuto e, soprattutto, una treccia dei suoi capelli d'oro, che, conservata con grande cura, splende da dentro una reca di cristallo - quei capelli preziosi di cui il giovane adorava la fragranza e la bellezza. Frank, l'amico di Paul, che è appena arrivato a Bruges, lo trova in uno strano stato di crisi. Paul ha incontrato una donna con una straordinaria rassomiglianza con la morta, che lo ha lasciato eccitato e confuso. Il giovane non resiste all'impulso di invitarla nella sua casa. La vuole vedere camminare nella 'stanza di Marie', perché la morte ritorni vita.
La giovane arriva - Marietta, una ballerina di Lille. La donna canta una canzone, accompagnandosi con il liuto, un canto di un «amore fedele destinato a morire», che assume per Paul un grande significato. Marietta danza - ed eccita i sensi del giovane. Paul cede alla seduzione e tenta di abbracciarla. Scostandosi bruscamente da lui, la giovane si impiglia nella tenda che copre il ritratto di Marie, scoprendolo. Non è lei stessa, quella donna? Lo stesso scialle, lo stesso liuto? Marietta però deve andare alla sua prova - è Helène in Robert le diable di Meyerbeer. Paul rimane, lacerato tra sentimenti contraddittori di lealtà alla sua amata Marie e dì rinnovato desiderio. In questo stato di tensione estrema il giovane ha una visione. In un'apparizione sorta dalla sua coscienza e dalla sua immaginazione, Marie esce dal ritratto. Paul le dice di esserle rimasto fedele; i suoi capelli proteggono la casa. La visione a poco a poco svanisce: «Esci alla vita, un'altra ti chiama - vedi e intendi ...». E al posto di Mariel Paul improvvisamente vede Marietta, che danza in completo abbandono.
ATTO II

La visione continua. Paul si vede sulla riva solitaria di un canale di fronte alla casa di Marietta. Il giovane sta a osservarla e rivela ai «ferrei confessori» - le campane di Bruges - il travaglio interiore delle sue paure e della sua coscienza, lacerata dal senso di colpa. La sua ricerca dell'anima della moglie morta lo ha fatto cadere vittima del corpo di una donna viva, dai cui vizi si sente ad un tempo attratto e respinto.
Paul vede Brigitta, la sua vecchia e fedele governante che lo ha lasciato perché è venuto meno alla sua fedeltà a Marie - la donna è ora una novizia in un gruppo di Beghine. Improvvisamente una strana figura si avvicina alla casa di Marietta - si tratta di Frank. Anch'egli ha ceduto alle arti della seduttrice. Paul gli strappa di mano le chiavi della casa della donna - Frank non è più suo amico.
Ridendo e cantando, gli attori della troupe di Marietta ora si avvicinano in barca. Paul si ritira e li sta ad ascoltare senza essere visto. Appare una nuova, e sulle prime felice immagine: si canta una serenata per Marietta; la giovane appare abbracciata con il ballerino Gaston. Ognuno è felice; si beve e si canta «Abbasso Bruges!». Poi Marietta suggerisce di provare all'aperto la scena di Helène da Robert le diable. Victorin, il direttore di scena, fischietta il motivo dell'Opera, quello della Resurrezione. Dalla vicina cattedrale giunge il suono di un organo, e nel chiostro le Beghine, testimoni spettrati e silenziose, appaiono alle finestre. Il cielo è attraversato da nembi minacciosi; le campane, incessanti, suonano a morto. Sembra quasi che questa pia, morta città voglia alzare la sua protesta. Appena Marietta, seguendo la sua parte, si alza dalla panchina che sembra rappresentare una bara, e incomincia la sua danza seducente con Gaston, Paul si precipita fuori dal suo nascondiglio. Il dileggio di Marietta per la resurrezione, una concezione che è sacra al giovane, lo ha mandato su tutte le furie. «Tu una donna risorta!. Mai!». Marietta allontana gli amici e rimane sola con Paul. Il giovane le getta in fiiccia le sue accuse, le rivela i sentimenti che ha tentato di soffocare, e, soprattutto, le dice che in lei ha amato soltanto la moglie scomparsa. Profondamente ferita, Marietta accetta la sfida con la morta rivale. Facendo appello a tutti i suoi poteri di seduzione, ancora una volta la donna attira a sé Paul. Ormai incapace di controllarsi, il giovane cede. Vuole entrare nella casa della giovane. «No - grida Marietta - andiamo nella tua, nella sua». La donna vuole passarvi la notte con lui per scacciare per sempre il fantasma...

ATTO III

La mattina seguente Paul trova Marietta nella stanza di Maria, in piedi di fronte al ritratto, trionfante. È il giorno della grande processione sacra. Marietta vuole guardarla da qui, da questa stanza. Dall'esterno giungono i canti dei fanciulli, e si incomincia a udire il misterioso ritmo di marcia che accompagna la processione. Paul, totalmente assorbito nell'avvincente cerimonia, si abbandona alla descrizione della processione. La aprono i fanciulli che indossano brillanti vesti immacolate, seguiti dai frati che portano le statue e gli stendardi della chiesa. Si avanza poi il gruppo storico, impersonato dai notabili della città che indossano costumi da cavalieri, come se fossero usciti da una tela di Memling e Vari Eyck. E quando appare il Vescovo, portando il santo reliquiario d'oro, tutti cadono in ginocchio. Anche Paul si inginocchia.
Marietta lo guarda irridente. E dunque religioso! La donna è presa da un impulso demoniaco a profanare i suoi sentimenti, a provare su di lui il suo potere erotico. Paul la deve baciare, ora, qui. Paul la respinge disgustato. Di nuovo il giovane viene sopraffatto dal conflitto della sua coscienza e crede di vedere la processione entrare minacciosa nella stanza. Marietta deride lui e le sue superstizioni. Cercando di controllarsi Paul difende solennemente la sua fede nell'amore e nella lealtà, provocando ancora di più i motteggi della donna. Marietta lo accusa brutalmente di ipocrisia e debolezza. Paul le grida di andarsene, ma la donna rifiuta, correndo invece al ritratto di Marie. «È cominciata la lotta - la vita contro la morte». Marietta scopre la reca di cristallo che contiene i capelli di Marie. «Ah, i suoi capelli!». Paul tenta di strappargliela, ma la giovane se la avvolge attorno al collo e, ridendo sarcastica, comincia a danzare. Infuriato, Paul la afferra, la getta al suolo e la strangola con la treccia. «Ora è esattamente come lei - Marie!».
Paul è circondato dalle tenebre - la visione è finita. Lentamente ritorna la luce e Paul si riscuote. Vede i capelli nella teca, nessuno li ha toccati. Brigitta viene ad annunciare che la signora che è venuta a visitarlo, all'angolo si è girata tornando sui suoi passi. Entra Marietta - si è dimenticata l'ombrello e le rose - «un segno che dovrei rimanere?». Ma quando Paul rimane silenzioso, la giovane sorride, alza le spalle e fa per uscire. Sulla porta incontra Frank, che si inchina al suo passaggio. «Allora, era quello il miracolo?». Si è proprio trattato di un miracolo. Paul non la vedrà mai più. Un sogno di amara realtà ha distrutto la sua fantasia. «A che punto il lutto per i nostri cari distrugge noi stessi?». Paul se ne andrà da Bruges, la città della morte. Sulla terra non ci può essere nessun ricongiungimento con quelli che ci hanno lasciati, nessuna resurrezione.

L'espressionismo entra prepotentemente nella Tote Stadt, sia da un punto di vista drammatico che da quello musicale. I temi del doppio (Marie/Marietta), della maschera, della recita, del sogno, lo smarrimento dell'identità dei reale, il ripiegarsi lirico dei protagonista all'interno della propria lacerata angoscia esistenziale determinano una scrittura musicale altrettanto mossa, dissonante, aspra, spezzata. L'identificazione di Marie con la città di Bruges, l'opposizione Paul/Frank quale segno dello iato fra sogno e reale, i continui dettaigli sscenografici che descrivono specchi e ritratti si compongono in quadri scenici fortemente semantizzati. Del resto, la trama scritta da Korngold espone con chiarezza tutti i significati dell'azione, compresa la tipica polarità melodrammatica fra amore puro e sensualità sfrenata. Di più, definisce con icastica profondità la valenza ultima del dramma, «un sogno di amara realtà», dove le categorie dell'immaginario, dell'anelito metafisico si confondono con la verità, con i fenomeni reali, con la finitezza dell'essere.
I numerosi brani prevalentemente orchestrali sottolineano la cupezza degli ambienti della rappresentazione, vere pitture sonore della città morta, della casa di Paul, in un'atmosfera matata i cui connotati espressivi nascono e si sviluppano ineluttabilmente sotto il segno della morte. Valga come esempio l'apertura del secondo atto, un lungo brano sinfonico dove Korngold dipinge, con stupefacente virtuosismo analitico, la scena di Bruges, i suoi canali, le sue antiche case spettrali, le chiese maestose e opprimenti [esempio musicale non riprodotto].
Le risorse orchestrali vengono utilizzate in ogni possibile sfumatura timbrica, anche con l'impiego di un ridotto ensemble nascosto sulla scena, e che comprende organo, 2 trombe in Do, 2 clarinetti, triangolo, tamburello, tamburo piccolo e grande, sette campane dal timbro profondo (La, Si, Do diesis, Re, Re diesis, Mi, Fa diesis), più una macchina per l'effetto del vento. La tonalità di Fa diesis maggiore, la preferita di Korngold, si sviluppa in una serie di modulazioni continue, alla ricerca dell'effetto espressivo pregnante, 'magico', senza destabilizzare il centro tonale. Ma è soprattutto la serie di accordi paralleli, in una tecnica forse appresa da Debussy, che determina la cifra dell'interludio, oltre alla prepotente dinamica, forzata negli estremi clangori, di straordinaria suggestione. L'impiego del «ripieno tonale» alla Debussy, esperito sistematicamente qualche anno prima anche da Schrecker in Der Ferne Klang, fa superare a Korngold il rischio della semplice discendenza wagneriana, e svela, nella sua cifra estetica, la somma di influenze di varia natura che ebbe a subire per la definizione del suo pensiero creativo.
Infatti, il più intenso significato della Tote Stadt andrà ricercato, ancora una volta, nella sublime vena melodica e nella concezione ciclica della composizione.
I motivi conduttori non svolgono una funzione determinante come in Violanta. Solo delle piccole cellule intervallari, di quarta e quinta, ritornano sistematicamente all'interno del flusso musicale, ma non si può parlare di vera e propria tecnica del Leitmotiv. Tuttavia, il centro drammatico e musicale dell'Opera è certamente costituito da un 'blocco' di reminiscenza semplice, la «canzone di Marietta» (Glück, das mir Verblieb). Questa altissima, struggente melodia segna, nel dramma, l'inizio del sogno di Paul, il suo nostalgico e lacerato ricordo dell'amata che gli fa smarrire il senso del tempo e della realtà. È da questo momento che Paul crede di avere realmente ritrovato la sua amata Marie; è da questo momento che il dramma assume in pieno i connotati dei sogno espressionista, dove il reale e l'immaginario metamorfosano nella non-realtà onirica, opponendo il lirismo sentimentale, ultra romantico di Paul, allo sberleffo sardonico di Marietta. E solo alla fine della vicenda, quando l'amico Frank convince Paul dell'insensatezza del suo desiderio, la melodia dell'amore perduto torna a cantare la propria desolata, eppur vitalissima, appassionata 'sehnsucht'. L'effetto percettivo di questo ritorno tematico è straordinario, collegando in mirabile sintesi unitaria l'inizio e la fine del sogno, l'essenza e l'immaginario della vita.
La melodia del canto, raddoppiata dagli archi, risulta di evidente stampo pucciniano, e, d'altra parte, sono molti i momenti melodici analogamente orchestrati. La fusione sincretica del sinfonismo germanico con la melodia italiana risulta, nella Tote Stadt come in Violanta, la vera cifra estetica dello stile korngoldiano.
La melodia spiegata è la caratteristica anche dell'altro momento cruciale dell'Opera, la canzone di Fritz nell'atto secondo. Marietta e gli altri attori che compongono la sua 'corte' giungono in scena ancora con gli abiti della rappresentazione di Robert le diable («una di quelle opere fuori moda che figura quasi immancabilmente nei repertori di provincia», scrive argutamente Rodenbach), fingendo di navigare nelle acque di Venezia (ancora, l'Italia quale luogo scenico evocato, in un'ardita autocitazione da Violanta). Dopo aver cantato per due volte che «Die Kunst ist frei», quasi a voler reclamare per sé il motto della Secessione Viennese («Ad ogni tempo la sua arte - Libertà per le arti»), l'allegra brigata d'artisti invita Fritz a raccontare la sua storia. L'aria dei baritono inizia, il suo racconto narra, con felice misura poetica, della nostalgia per gli amori passati, della mesta condizione dell'attore «Rausch und Not, Wahn und Glück-/Ach, das ist Gaukler's Geschick»: una intelligente proiezione, su un personaggio secondario, dell'assunto drammatico dell'Opera: il passato, la nostalgia, la finzione. «Mein Sehnen, mein Wähnen, /Es träumt sich zurück» canta Fritz su un dolce 3/4, quasi un valzer lento, e il suo ripiegarsi sul passato determina la maschera, lo sdoppiamento della personalità. Anche in quest'aria, i violini intervengono a sottolineare le ampie curve melodiche raddoppiandone l'intensità emotiva.
Dunque, Puccini, Debussy (filtrato da Schrecker) e Wagner risultano i punti di riferimento per Korngold nella Tote Stadt. La patina espressionista aggiunta alla drammaturgia funziona principalmente quale intensificazione di codici preesistenti, deprivata della carica radicale e rivoluzionaria propria di Schönberg o Berg, ed impiegata, invece, secondo una direttrice anche linguistica ancora pienamente tardo romantica. La vena lirica, serena e gioiosa, di Korngold impedisce anche il finale tragico che conclude il romanzo di Rodenbach. Paul ritrova la voglia di vivere, anche dopo gli avvenimenti sconvolgenti sognati: il rifiuto del tragico, forse discutibile da un punto di vista generale, è pienamente in linea con il semplice pensiero filosofico di Korngold, che non accetta nemmeno l'idea della sconfitta. Allora, l'espressionismo appare svuotato della propria carica eversiva, e si configura naturalmente quale momento di passaggio necessario ma transitorio, alla ricerca dell'equilibrio classico forse perduto per sempre. L'ambiguità sottile di Die tote Stadt, ma tutto sommato anche la sua anticonvenzionalità, è tutta qui, nel dolore da superare, nella tragedia totale che è solo un incubo, al di là del quale può forse ancora riposare sereno il «cuore felice».
Dopo la prima rappresentazione di Amburgo, seguiranno nel giro di pochi anni più di trenta allestimenti in tutta Europa, diretti, fra gli altri, da Franz Schalk (Vienna, 1921), Hans Knappertsbusch (Monaco, 1922), George Szell (Berlino, 1924).
Anche Giacomo Puccini, che ascoltò l'Opera eseguita dall'autore al pianoforte nell'ottobre del 1920, ne rimase entusiasta, ed indicò Korngold come «la più grande speranza della nuova musica tedesca».