I dizionari Baldini&Castoldi

Robert le Diable di Giacomo Meyerbeer (1791-1864)
libretto di Eugène Scribe e Germaine Delavigne

Grand-opéra in cinque atti

Prima:
Parigi, Opéra, 21 novembre 1831

Personaggi:
Robert, duca di Normandia (T); Bertram, suo amico (B); Raimbaut, contadino normanno (T); Alberti, maggiordomo del re di Sicilia (B); Isabelle, principessa di Sicilia (S); Alice, contadina normanna (S); un araldo (T); una dama di compagnia d’Isabelle (S); un prete (B); il principe di Granada; cavalieri, paggi, eremiti, suore, contadini, soldati, voci celesti



Con questo titolo Meyerbeer diede il suo primo contributo al grand-opéra , genere del quale viene ritenuto una delle figure più rappresentative. L’opera era stata concepita in origine come un opéra-comique in tre atti, probabilmente per influsso del Freischütz di Carl Maria von Weber che, in una versione rivista da François-Henri-Joseph Castil-Blaze dal titolo Robin des bois , aveva trionfato sulle scene parigine nel 1824. La trama dei due lavori è infatti simile: in entrambi il demonio in vesti umane tenta di impadronirsi dell’anima di un giovane, Max in un caso e Robert nell’altro, e in entrambi il premio è l’amore di una donna. Ma mentre nel Freischütz il demonio, Kaspar, è l’incarnazione delle forze del male presenti nella natura, ed è quindi la piena espressione di quel sentimento di fusione cosmica con essa che caratterizzò il romanticismo tedesco, nel Robert viene accentuato il lato umano del personaggio. Bertram è lacerato dal contrasto tra la sua natura demoniaca e l’amore verso il figlio: la sua volontà di dannarlo per sempre e il desiderio di tenerlo per sempre con sé. Inoltre, al polo positivo rappresentato nell’opera di Weber da Agathe, Meyerbeer e i suoi librettisti opposero una doppia figura di donna: Isabelle, l’amata, e Alice, sorella di latte di Robert. È lei, depositaria delle ultime volontà della madre di questi, l’unica vera antagonista di Bertram, e raffigura quindi il bene in lotta col male.

La stesura dell’ opéra-comique arrivò a un livello avanzato di realizzazione; se ne hanno ampie testimonianze attraverso i diari di Scribe e di Meyerbeer. La prima idea risale al 1825: Scribe si sarebbe incaricato della stesura del primo e del terzo atto, e Delavigne del secondo. Un primo incontro con Meyerbeer avvenne nel luglio 1826, ma il compositore non ricevette nulla di scritto fino al 3 novembre di quell’anno. Un anno dopo Meyerbeer scrive a Gilbert de Pixérécourt, direttore dell’Opéra-Comique, comunicando che il secondo atto è finito, e nel settembre dello stesso anno annuncia che tutto il lavoro è in uno stadio avanzato di realizzazione. Tutto procede nel migliore dei modi, quando Pixérécourt lascia la direzione del teatro. È questo probabilmente il vero motivo dell’abbandono del progetto, cui Meyerbeer teneva molto, come dimostra il fatto che provò a interessare Federico Guglielmo di Prussia per una eventuale rappresentazione a Berlino. La proposta non andò in porto, ma intanto i desideri di Meyerbeer si erano orientati verso il più prestigioso tempio dell’opera francese, il Théâtre de l’Opéra. Ma, oltre questo motivo ‘esterno’ motivazioni più profonde spinsero il compositore verso altri lidi. Durante la lavorazione del Robert erano apparse due opere che aprivano nuovi orizzonti al teatro musicale: La muette de Portici di Auber (1828) e il Guillaume Tell di Rossini (1829). Il 26 maggio 1830 Meyerbeer consegnava la partitura revisionata al direttore dell’Opéra, Lubbert, ma ulteriori cambiamenti furono apportati fino alla vigilia delle prove; alcuni furono suggeriti dal nuovo direttore del teatro, Louis Véron, che nelle sue memorie rivendica in buona parte la paternità del progetto. I Mémoires di Véron non sono troppo attendibili, ma sicuramente fu lui a consigliare a Meyerbeer di utilizzare il basso profondo Nicola Levasseur per il personaggio di Bertram. Invece il direttore di scena Duponchel suggerì l’ambientazione del balletto del terzo atto, che segna un momento fondamentale nella storia del ballo teatrale (la coreografia del cosiddetto ‘balletto delle suore’ fu del celebre Filippo Taglioni, con la figlia Marie nel ruolo di Helena, la badessa), che da mero divertissement si trasforma in parte dell’azione. Nel passaggio dall’ opéra-comique al grand-opéra i tre atti iniziali vennero aumentati a cinque, e i dialoghi si trasformarono nei recitativi di rigore all’Opéra. Del progetto originale rimase comunque molto: innanzitutto l’opposizione tra una coppia nobile (Robert-Isabelle) e una popolare (Raimbaut-Alice); la presenza di una ballata ‘programmatica’ che preannunzia gli avvenimenti, quella in cui Raimbaut narra la leggenda di Robert il diavolo, che si basa anche su esempi recenti come La Dame blanche di Boïeldieu (1825); alcuni momenti comici. In altri casi, invece, Meyerbeer si distaccò dalle convenzioni del genere, ad esempio nel duetto del secondo atto (“Avec bonté”), che è nel solco della tradizione ‘seria’ italiana.

Atto primo . Nei pressi del porto di Palermo. Robert attende di partecipare a un torneo, la cui vittoria dovrebbe guadagnargli la mano dell’amata Isabelle, principessa normanna, dalla quale infauste circostanze lo hanno separato. Con lui sono numerosi cavalieri: tra loro il sinistro Bertram, suo intimo amico, e il contadino Raimbaut, lì convenuto con la sua fidanzata. Durante il banchetto Raimbaut rievoca in una ballata la leggenda di Roberto il diavolo, figlio di un demonio e di una principessa normanna (“Jadis régnait en Normandie”). La sua canzone scatena l’ira di Robert, che vorrebbe ucciderlo, ma lo grazia quando scopre che la sua fidanzata è Alice, sua sorella di latte. Ella gli reca le ultime parole della madre morta (“Va! va! dit-elle”) e lo mette in guardia da un pericolo incombente. Ma Robert non le presta ascolto; anzi, su consiglio di Bertram perde al gioco tutti i suoi averi e l’armatura che gli avrebbe permesso di partecipare al torneo.

Atto secondo . Robert e Isabelle si riconciliano (“Avec bonté voyez ma peine”): splendido duetto di tradizione italiana, durante il quale alcuni paggi portano al cavaliere nuove armi per partecipare al combattimento. Ma ancora una volta Robert si fa fuorviare da Bertram, che lo conduce in una foresta vicina, con la scusa che il suo rivale, il principe di Granada, lo attende lì per un duello. Intanto la corte al completo si prepara ad assistere alla gara, cui Isabelle dà il segnale d’inizio, dopo aver atteso inutilmente l’arrivo dell’amato.

Atto terzo . Su una tetra montagna. Bertram si libera facilmente di Raimbaut regalandogli dell’oro (“Ah! l’honnête homme!”), poi invoca i demoni per conoscere la loro volontà (‘Valse infernale’). Il verdetto è terribile: se a mezzanotte Robert non si sarà schierato con le forze del male, egli lo perderà per sempre. A tale scena assiste per caso Alice, che sperava di incontrare Raimbaut, verso il quale esprime tutto il suo amore in una romanza (“Quand je quittai la Normandie”). Bertram la minaccia di morte, ed ella non trova il coraggio di raccontare a Robert la verità. Il cavaliere, disperato, si lascia convincere dal demonio a compiere un sacrilegio, ossia a penetrare in un chiostro abbandonato per rubare un ramo dai magici poteri. La scena dell’evocazione degli spiriti delle monache morte (“Nonnes quis reposez”) fu sicuramente quella che assicurò all’opera la sua grande popolarità: perfino Degas la prese a soggetto per più d’uno dei suoi dipinti. Le monache si levano dalle tombe circondando il giovane (pantomima), e la più bella tra tutte lo convince a strappare il ramo; quando il misfatto è compiuto esse ripiombano nel loro sonno eterno.

Atto quarto . Preso il ramo, che ha il potere di addormentare, Robert si reca nel palazzo di Isabelle per rapirla. Ma ella (cavatina “Robert, toi que je t’aime”) lo convince a ritornare sulla sua decisione; il giovane, spezzato il ramo, sfugge a stento all’ira dei cortigiani ridestatisi.

Atto quinto . Il conflitto tra il bene e il male giunge a conclusione: Bertram tenta di convincere Robert a utilizzare i poteri infernali e gli rivela, in un supremo sforzo di legarlo a sé, di essere suo padre. Robert si ritrova a dover scegliere tra l’amore filiale e la ricerca del bene. L’arrivo di Alice, che gli reca il testamento della madre, è decisivo; ella prega per lui (“Dieu puissant, ciel propice”) fino a che, ai rintocchi della mezzanotte, Bertram svanisce nelle viscere della terra. Appare improvvisamente la cattedrale di Palermo addobbata a festa: presso l’altare Isabelle attende Robert.

Robert le Diable segnò l’avvento definitivo del grand-opéra , le cui sontuose scene erano perfettamente adeguate alle aspettative del nuovo pubblico dell’Opéra, composto in buona parte da ricchi borghesi. L’aspetto commerciale del fenomeno ebbe sicuramente dimensioni rilevantissime, ma sarebbe riduttivo non tenere conto anche delle innovazioni stilistiche e poetiche imposte dal compositore al teatro d’opera, prima tra tutte l’adozione del tableau , il grande quadro d’insieme, che presenta le ‘forze in campo’ e unifica in una struttura più organica la successione in numeri chiusi tipica della tradizione italiana. Rispetto agli altri grands-opéras , comunque, Robert si caratterizza per il soggetto fantastico e per un gusto melodico più vicino a quello italiano, del quale sono esempi il duetto Isabelle-Robert nel secondo atto e la grande cavatina d’Isabelle nel quarto; la vocalità di Alice e Raimbaut è invece meno virtuosistica, più vicina a quella dei personaggi dell’ opéra-comique . L’opera diventò tanto di moda da costituire quasi un fenomeno di costume: persino una nuova varietà di rose venne battezzata con il suo nome. Tra i suoi estimatori più illustri ricordiamo Honoré de Balzac, che nel racconto Gambara (1837) l’addita a esempio di opera ideale, e Heinrich Heine, che considerò Meyerbeer «l’uomo del suo tempo», ovvero colui che per primo seppe avvedersi del sopravvento delle masse sull’individuo, successivo alla rivoluzione del 1830; mutamento cui seppe rispondere componendo una musica «più sociale che individuale».

a.t.

Risultati della ricerca
Dizionario dell'Opera
home