RAFFAELLO DE RENSIS

INTERMEZZO ROMANO
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Senonché il padre si compiaceva molto di più delle disposizioni che il figlio aveva rivelato anche per l'arte del disegno, convinto che per questa via avrebbe acquistato fama e ricchezze, mentre la musica, oltre a nuocergli alla salute, lo avrebbe lasciato oscuro e povero. Era una sua fissazione. Perciò volle che s'indirizzasse alla prima, anche se non credesse abbandonare totalmente la seconda.
A tal uopo lo affidò alle cure del pittore Squarcina di Spalato, che, per bizzarra combinazione, alitava, come il Brusa, nello stesso palazzo. Lo Squarcina aveva qualcosa di misterioso: vecchio, solitario, taciturno, quasi cieco, spesso s'immergeva in profonde meditazioni. I quadri che aveva dipinto erano sempre di proporzioni smisurate, e riempivano un vasto salone. Prese affetto per l'allievo, che faceva promettenti progressi nel disegno e nella pittura, e per di più s'accendeva di curiosità per i problemi filosofici, sui quali lo intratteneva. Scrisse Ermanno in questo tempo, cioè a quindici anni, due saggi: uno sulla Morte, dimostrando che non esiste; l'altro sulla Natura, giungendo alla conclusione che non esiste neppure la materia.
Il padre, che seguiva attentamente gli atti e i pensieri del figlio, s'impressionò non poco di quest'ultimo dirizzone, per cui decise senz'altro di fargli mutar cielo affinché si distraesse e guarisse. Profittò dell'occasione di doversi recare a Roma per alcune copie, e lo trasse seco.
Il ragazzo fu inscritto all'Accademia di Belle Arti in via Ripetta e precisamente alla «Scuola libera del nudo#. Torsi nodi di marmo, modelli nudi di belle fanciulle in carne ed ossa aprirono visioni impreviste al suo animo e lo scombussolarono non poco. Aggiungasi che s'era allogato presso una famiglia ove brillava una vispa fanciulla, mentre al piano di sopra c'era un'altra famiglia rigogliosa di ben cinque e graziose figliole; ciò che non poteva certo concorrere alla tranquillità dei suoi sonni. La materia esiste eccome!
Roma lo attraeva, lo affascinava; gironzolava nelle ore disponibili e, come Goethe, tracciava appunti di disegni sul taccuino. L'architettura degli antichi monumenti e dei palazzi del Rinascimento e del Barocco lo avvinceva stranamente. Egli la poneva in rapporto con la Musica, come forma e come essenza. Ideò e disegnò persino una sala da concerti a mo' di tempio rotondo... da costruirsi sopra una collina, una specie di teatro greco, in cui artisti, sonatori ed anche gli spettatori avrebbero dovuto indossare un costume greco, tutto bianco. Precorse e andò al di là del sogno dannunziano.
Frequentò assiduo i concerti dell'orchestra di Ettore Pinelli e del «Quintetto Sgambati»; compose, affidandosi al solito più all'istinto che alla scienza, un regolare quintetto. Un giorno, alla Scuola di Belle Arti, cadde di mano del condiscepolo a lui vicino il pennello; lo raccolse e glielo riconsegnò. Da questa circostanza nacque l'amicizia col pittore svizzero Baumann, artista di gran talento, assai ricco di censo, ma afflitto sfortunatamente da una nevrastenia progressiva, che gli ridusse infelicissima la vita. Il Baumann presentò il giovinetto Wolf a Otto Greiner di Lipsia, che studiava .a Roma in virtù d'una borsa governativa, e che in seguito acquistò larga reputazione; lo presentò ad una sua cugina, Matilde Schwarzenbach, signora distintissima, appassionata di musica.
Ora avveniva che mentre gli amici incoraggiavano Wolf al disegno e alla pittura riconoscendogli magnifiche inclinazioni, la signora lo invitava spesso a far musica, ammirandolo per le singolari qualità d'interprete e predicendogli un avvenire in questo campo.
Una sera rimase fino a tardi nello studio del Baumann a suonare il pianoforte per la signora Schwarzenbach, che poi accompagnò all'Albergo del Quirinale ove alloggiava; e qui fece due ore di notte una ubriacatura di musica e discorsi sulla musica. Scioltasi, finalmente, la seduta, il musico in erba non ebbe il coraggio di tornare a casa, temendo di turbare il sonno delle belle ragazze e di guadagnarsi un solenne rimbrotto dai loro burberi genitori. Accettò, per questo, l'ospitalità del buon Baumann, che lo sistemò su quattro sedie, ravvoltandolo in una pesante coperta. L'indomani filò diritto alla Scuola, e solo dopo colazione rientrò nella sua camera. Incontrò per le scale, una dopo l'altra le cinque ragazze, ma non lo degnarono di uno sguardo, né gli rivolsero una parola.
Passarono alcuni giorni di muta freddezza in famiglia. Una mattina, assai presto, si scosse di soprassalto da un sogno agitato: gli era sembrato che suo padre fosse fermo accanto al letto, con viso duro e arcigno. Aprì ben ben gli occhi e, Dio del cielo, era proprio lui davvero! Per quale ragione era piombato lì senza avvertirlo? La ragione c'era. Il padrone di casa aveva sentito il sacrosanto dovere d'informare il signor Augusto Wolf che suo figlio Ermanno, da qualche tempo, menava vita da scioperato; che egli e sua moglie declinavano ogni responsabilità di sorveglianza e di tutela.
Non valsero le giustificazioni dell'accusato: frequentava regolarmente e profittevolmente la Scuola, non faceva nulla di male dentro e fuori di casa, la signora in questione era distintissima e non più giovine, Baumann poteva ben testimoniare tutto ciò... Dall'altro canto Otto Greiner, convinto delle prevalenti attitudini di Ermanno alla pittura e della necessità di staccarlo dalla musica e dall'ambiente romano, consigliò il signor Augusto di spedire il figlio a Monaco di Baviera. Ed eccoli, padre e figlio, cupi e silenziosi, prendere il treno. Addio Roma eterna, sontuose architetture, seducenti modelle! Addio! [DE RENSIS, pp. 7-11 ]