BRUNO BARILLI

I QUATRO RUSTEGHI AL COSTANZI

«IL CORRIERE ITALIANO»
28 dicembre 1923

RIPUBBLICATO IN
«IL PAESE DEL MELODRAMMA»
EINAUDI - TORINO 1985
pp. 207-209

Anche ieri sera nell'elegantissimo teatro Costanzi il pubblico era imponente, scelto e attentissimo; la sala aveva l'aspetto vivente e silenzioso delle grandi prémières. Musicisti, artisti, scrittori, signori e signore della più fine società affollavano, in attesa, tutti i posti dello sfolgorante ritrovo.
Non possiamo, per mancanza di tempo, fare i nomi delle numerosissime personalità intervenute, né seguire, passo passo, la cronaca della serata; parleremo dell'autore, al nostro pubblico così poco noto, per le impressioni e il godimento che ci diedero in altre occasioni i suoi lavori.
L'autore dei Quattro rusteghi, che oggi avrà forse quarantasei anni, studiò a Monaco sotto Rehinberger, scrisse parecchia musica da camera, affrontò la prima volta il teatro a ventun'anni alla Fenice di Venezia con la Cenerentola che ebbe esito sfortunato; poi dalla sua instancabile attività si ebbe un oratorio dalla Vita nuova di Dante, eseguito per la prima volta a Monaco; vennero poi senza riposo Le donne curiose, I quattro rusteghi, I gioielli della Madonna e Il segreto di Susanna.
Noi conoscevamo molto della sua produzione e specialmente Le donne curiose che venne eseguita a Roma, con grande successo, pochi anni fa al Quirino.
Ingegno lucido, scienza e facilità fanno oggi di lui uno dei compositori più illustri dell'Italia moderna. Il suo temperamento non è profondo, ma profonda è la sua cultura, e conciliante il suo umore, la sua comicità non è violenta né originale, ma sempre fine e trasparente, il suo lirismo non è possente e impetuoso, ma rivela un'anima nobilissima, tenera e sincera; il suo è un carattere amichevole, armonioso e eguale, Wolf-Ferrari possiede l'arte innata di piacere, il gusto della cerimonia, l'abitudine dell'osservazione e il senso gentile e sorprendente della parodia. Nell'apparenza egli è italiano, tre volte, poiché deriva dal Rossini del Barbiere, dal Mozart delle Nozze di Figaro e dal Verdi del Falstaff, ma sopratutto egli è moderno, perché cosciente, complicato e lieve sa sfruttare il suo largo sapere, senza mortificare il pubblico, conservando la sua futilità distinta e maliziosa.
Le sue commedie musicali, quasi senza vizii e senza perplessità, sono composte da un musicista che ha saputo educarsi con rigore e amore, assimilando durevolmente e amministrando la roba altrui da signore che conosce la misura e l'opportunità.
Naturalmente un signore così intelligente, ben nato e arguto, pratica col pubblico la più squisita gentilezza e la tattica più divertente; evita le sciatterie, le melensaggini e la volgarità con procedimenti di una freddezza agile e vittoriosa; quando s'accende divien appena tiepido, ma fluido e spazioso; dimostra, poi, quasi sempre una energia fresca e una alacrità spirituale invidiabile; si sente in lui la riconoscenza per i grandi che gli insegnarono e l'aiutarono ad essere luminoso e sereno.
Doti preclare di quest'uomo: orecchio istrumentale di primissimo ordine, senso sviluppatissimo della dinamica armonica, esperienza contrappuntistica compiuta, abbondanza di ritmi, curiosità di particolari, fedeltà e aderenza musicale al teatro caratteristico di Goldoni, abilità e onestà nell'uso degli effetti teatrali.
Tale, dunque, il Wolf-Ferrari che conoscevamo sino a ieri; ora dopo i Quattro rusteghi, che, per noi erano nuovi, ne sappiamo di più sul suo conto e diremo anche quel che c'è, sotto tante qualità egregie, invidiabili e ingegnosamente materiali.
Questa dei Quattro rusteghi è la musica della pulce nell'orecchio. Da un impertinente saccheggiatore e cleptomane come Wolf-Ferrari ci aspettavamo più grandiosità e generosità amministrativa. In quest'opera la leggerezza descrittiva dell'istrumentale e del commento tenuissimo diventa imprevedutamente anche una leggerezza di cervello ristucco e smemorato, che lavora e macina a vuoto.
Qui ogni nota è passata al setaccio più volte come fior di farina, ma senza lievito e fuoco il pane non si ammollisce, non si gonfia e non cuoce. Il teatro nostro ha da essere come un liquore che inebria; questo lavoro, invece, ha una musica puntigliosa, vanitosa, effeminata e frivola; infine senza midollo.
Diamine, non si fa per dire, queste son cose che si dovrebbero sapere, la scena lirica italiana non è mai stata creata per far ballare di gioia i contrappuntisti, ma bensì per saziare la fantasia del popolo. Quest'opera portentosa, dove tutta la vita si esaurisce esageratamente nel garbo e nel savoir faire, ha la pleurite secca, e finirà male, diciamo, sotto gli occhi amorosi e zelanti di chi l'assiste con tanta ammirazione.
Wolf-Ferrari, insistendo come fa nella rifinitura scrupolosa e meticolosa (bisogna mettere gli occhiali per seguire questa musica di rilievi impercettibili) esagerando nell'arguzia con quella sottigliezza grossolana propria di chi intende e fa tutte le cose alla tedesca, cade troppo nel faceto, vogliamo dire, finalmente, che l'autore risveglia a suo rischio e pericolo le velleità scherzose del pubblico che ascolta.
Il compositore, che non è certo un 'pince sans rire', in preda a uno spiritaccio vano e poco virile, non domina la situazione dall'alto, ma si compiace senza misura nei dettagli maliziosi che sono innumerevoli. La tempesta secca delle parole continua su di un piano uguale e quasi indiscreto e non c'è in tutto il lavoro motivo e capacità tale da preoccupare con l'imponenza e il divertimento un teatro pieno e svagato che aspetta. Insomma, le grandi pagine, non ci sono; tutto quel disegnare piccolo che c'è rimpicciolisce ancora a guardarlo. La gran proprietà musicale di quest'opera avara e senza slancio non si scioglie dall'orchestra per risolversi in una effusione saliente, audace e calorosa, ma funziona forse e soltanto a quattr'occhi, in famiglia, tra musicisti scaltriti e direttore d'orchestra che se la godono un mondo; il pubblico, a questa attendibile, informata e sapiente facilità di 'glisser' furbescamente, [ci] si stanca sino alla noia e allo sbadiglio canino.
I personaggi non vi hanno quasi più nessuna utilità e carattere, la commedia perde di larghezza e di colore, d'unità e di ragione, il particolare formicolante e ferocissimo, ammazza tutto: scusate se è poco!
Questo mirabile lavoro di mosaico, composto interamente di pietruzze trafugate con molta malinconia, non é poi avvolto e protetto da un'atmosfera fluida e amabile come per esempio Le donne curiose, dove un certo gioco di armonie e di riposi inumidisce e fa trascolorire vagamente la pedanteria veneziana del maestro Wolf-Ferrari. Qui non agiscono il clima e l'ambiente, e non ci rimave nei Quattro rusteghi, che da decifrare scrupolosamente la contraffazione.
L'abilità non ha mai lasciato tracce durevoli nel tempo; Rossini e Mozart non si ripetono; oggi si vuole sangue e sopratutto temperamento.
Con tutto quello che abbiamo detto l'opera ieri sera, per merito dell'esecuzione eccezionalmente felice e brillantissima, fu ascoltata con gran diletto e salutata ad ogni fine d'atto e anche a scena aperta dagli applausi più entusiastici.
Che diremo di Maria Labia, di questo fiore di prima donna? Cette sue note hanno il colore e il gusto dei confetti aristocratici d'un tempo. Colla sua presenza di giovane matrona festosa e galante ella descrive di colpo tutto l'ambiente e par di sentire il suo canto spiccato, che le esce dalla bocca ornata d'un sorriso di perla, echeggiare tra le pareti e il soffitto dipinto d'un vecchio salone settecentesco. Cantatrice di grande razza, tutta la sua intelligenza è rischiarata nobilmente da quei toni d'argento antico e ancora la sua voce e il suo gesto spagnolesco di [-] bilancia ci ricordano di lontano e in una luce opposta Elvira de Hidalgo.
La Maschini (Marina) riportò anch'essa uno dei suoi maggiori successi. La limpidezza della sua voce e l'eccellenza della sua tecnica fanno di lei una delle più preziose e intelligenti interpreti dei Quattro rusteghi. Intonazione, chiarezza, passione e grazia, sono le doti supreme di questa cantante invidiabile.
La Sassoni Soster, precisa, opportuna, lieve, modesta, sosteneva la sua parte con un piacere particolare, rivolta verso la sala buia, piena di pubblico, col più fiducioso dei sorrisi.
La Fabbri, caricatura feroce e rigogliosa, liberissima sulla scena e sicura del suo pubblico con quel suo vociare sciupato dal grasso e dagli annî, fin dal suo primo apparire invita gli spettatori al riso continuo.
Anche nelle altre parti ci è grato segnalare l'eccellenza degli interpreti, Cassonetti Carlo, Rossi, Nardi, Cametti, Nicolicchia e Uxa Guido.
Dell'esecuzione che, come abbiamo detto, fu ammirevole, e superba nell'insieme e nei particolari, va data gran lode al maestro Vitale. L'orchestra e le scene parvero degne della serata festosa.