RASSEGNA STAMPA | 12 MARZO 2002 |
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Un pessimismo spinto al nichilismo
Intervista a Nicola Emery che nel suo ultimo libro ha ricostruito
il pensiero del grande pensatore veneto morto nel 1941
Secondo
Adriano Tilgher, all'inizio degli anni Trenta era il migliore scrittore di
filosofia che l'Italia possedesse. Quasi settant'anni dopo, sul quotidiano
francese Le Monde si è potuto leggere un pressante appello a riscoprire questo
pensatore geniale e appartato: parliamo di Giuseppe Rensi, un grande
dimenticato della cultura italiana, nato in Veneto, a Villafranca di Verona,
nel 1871, a lungo esule in Svizzera e morto a Genova nel 1941. Nicola Emery,
filosofo e docente all'Università della Svizzera italiana, gli ha ora dedicato
un approfondito studio: Giovanni Rensi. L'eloquenza del nichilismo (Seam, 266
pagine, 18,07 euro). Il volume non si limita a ricostruirne l'itinerario
filosofico, ma offre anche un'antologia commentata di testi tratti da opere sin
qui mai più ripubblicate, come Le antinomie dello spirito (1910), Il genio
etico ( 1912) e i Lineamenti di filosofia scettica (1919); ed è completato da
una rassegna della critica che allinea interventi di studiosi come Antimo
Negri, Massimo Cacciari e Sergio Givone. Ne abbiamo parlato con l'autore.
- Prof.
Emery, perché questo interesse per Rensi?
"C'è un
rischio di estinzione che non riguarda solo l'ambito della vita animale e
vegetale, ma anche quello della filosofia, una minaccia di soppressione e
rimozione che mi impressiona. Il caso Rensi, il suo oblio intervenuto a partire
dalla fine degli anni Trenta dopo anni di fama europea, mi sembra davvero
esemplare in questo senso. A chi può servire, in termini ideologici o di
rassicurazione esistenziale, un pensiero che mette in evidenza l'irrazionalità
del reale e l'irrealtà del razionale? Per rimediare a questo ostracismo, ho
messo mano alle carte segrete di Rensi e ho rivisitato le sue opere mai più
ristampate, in parte riesumate nel mio nuovo libro".
- Che cosa
si sarebbe perso non riscoprendo Rensi?
"Il
lungo itinerario filosofico di Rensi, durato quarant'anni, disegna nella
cultura italiana della prima metà del Novecento un 'controcanto notturno'
rispetto alle filosofie dominanti di Croce e di Gentile. Sviluppandolo,
Rensi si incontra con Giacomo Leopardi, che egli riconosce come il 'sommo
filosofo italiano', e con il pessimismo di Schopenhauer. E credo che proprio la
matrice schopenhaueriana dia la misura della statura europea del pensiero di
Rensi. Nel suo libro giovanile, Le Antinomie dello spirito , è già evidente l'influenza
di Schopenhauer, che si ritrova nella trattazione di temi quali l'amore, il
lavoro, la religiosità di sapore pre-esistenzialistico. Una matrice presente
anche in Wittgenstein, nell'ultimo Max Horkheimer e in Albert Camus.
Anzi, mi sono a lungo chiesto se Camus non avesse letto, su invito del suo
maestro Jean Grenier, alcune opere di Rensi".
- Accanto a
un testo di Grenier, nell'antologia della critica si trovano pagine di Adriano
Tilgher, Augusto Del Noce, Mario Untersteiner, Dal Pra, Antimo Negri e Sergio
Givone. Interessante, poi, è il suo dialogo con Massimo Cacciari sulla critica
di Rensi alla democrazia diretta. Ma se il pensiero pessimistico di Rensi, come
lei dice, "non serve" alle politiche e alle pratiche attuali, perché
tanto impegno per sottrarlo all'oblio?
"Sono
convinto che l'ideologia non deve mai giudicare la filosofia. Non c'è ideologia
più forte e invasiva di quella che seleziona le posizioni filosofiche in base
al criterio della loro applicabilità. Rensi, lo ripeto, da questo punto di
vista mi sembra un grande rappresentante di una specie in estinzione, la specie
del 'pessimismo ontologico', un pessimismo che dall'ambito dell'etica e della
politica finisce per coinvolgere i fondamenti ultimi dell'essere, risultando perciò
inconciliabile con l'ottimismo spettacolare. Ma possono le ideologie, con i
loro spettacoli e le loro decisioni arbitrarie e violente, giudicare le
filosofie? Nel 1937, mentre nelle piazze d'Italia si preparava con
mobilitazioni di massa l'asse Roma-Berlino, Rensi promuoveva la riedizione di
un suo libro pubblicato nel '24 con il titolo Interiora rerum , trasformato,
provocatoriamente, in La filosofia dell'assurdo . Rensi con questo gesto
intendeva dire - proprio mentre il suo pessimismo diveniva sempre più cupo,
volgendosi in assurdismo e nichilismo - che la filosofia giudica l'ideologia,
la mette a rovescio. Questa denuncia di stampo aristocratico dei totalitarismi
di ogni segno - poiché parimenti assurdo gli apparve subito il bolscevismo -
allora non poteva servire a nessuno e non era questo il suo scopo. Neppure oggi
la sua "rivolta metafisica" potrebbe servire. Ma la libertà non è
forse più importante dell'utilità?".
- Fra i
meriti che autorevoli studiosi riconoscono ai suoi libri vi è quello, come ha
scritto di recente Franco Volpi, di aver posto in luce la continuità di fondo
dell'itinerario di pensiero di Rensi, solitamente giudicato discontinuo se non
del tutto contraddittorio.
"In
Rensi vi è un costante fallimento nella ricerca della verità, ricerca che si
rivolge con coerenza meticolosa a positivismo, neoidealismo italiano,
neoidealismo angloamericano, nonché al socialismo, alla democrazia diretta e al
decisionismo autoritario: ogni volta, però, essa non trova altra forma per
esplicitarsi che come scetticismo. Altro che filosofo allegro e ballerino, mero
relativista e dilettante, come è stato spesso liquidato sulla scia di una
sentenza di Gentile! Nessuna filosofia e nessuna ideologia è in grado di
conseguire un risultato che abbia i caratteri della verità, ossia necessità e
universalità. Quello di Rensi è un calvario filosofico, un lavoro di Sisifo
unitario e rigoroso. Ed è precisamente questa l'eloquenza del nichilismo".
- Lei ha
curato alcuni anni fa, per Adelphi, la Democrazia diretta , il libro scritto da
Rensi durante il suo lungo esilio in Svizzera. Quali sono i luoghi del pensiero
rensiano?
"Credo
che si potrebbe disegnare la geografia del pensiero rensiano associando ai
luoghi della sua vita alcune istanze di fondo della sua filosofia. L'esser nato
in Veneto nel 1871, per di più da madre di origine austriaca, può essersi
riflesso nella sua attenzione per i due lati delle frontiere, per le ragioni
degli amici e dei nemici oltre che nella sua disperata sfiducia politica e
filosofica per tutte le forme di sintesi unitaria. Il decennio di esilio in
Svizzera, invece, ci parla nella sua riflessione sulla democrazia, ma non solo.
Proprio in Ticino Rensi cominciò a respirare motivi schopenhaueriani e
buddistici che venivano dai suoi interlocutori europei. Genova, infine, la
città dove visse la sua carriera accademica e conobbe la fama ma anche la
persecuzione, è lo scenario della grande città nella quale le diverse volontà e
le opposte visioni del mondo esplodono in disarmonia radicale. Nel suo
itinerare, però, un ruolo determinante lo ebbe la città inesistente, la città
del nulla che Rensi frequentò sempre leggendo platonici e buddisti, esploratore
solitario sotto il segno di Schopenhauer". inizio pagina vedi anche Storia della filosofia