RASSEGNA STAMPA

15 GIUGNO 1999
STEFANO CATUCCI
Nietzsche,istruzioni per il riuso
"Non prendetemi per un altro".
Approssimazioni alla realizzazione di un desiderio
Di nessun filosofo si sono avute immagini così contrastanti come di Nietzsche. Avversario storico del socialismo o fautore di un'idea di libertà sottratta a qualsiasi vincolo istituzionale; creatore dei miti sui quali si è edificata la cultura dell'individualismo moderno o critico radicale dei suoi presupposti; espressione più alta della metafisica occidentale o suo primo liquidatore. Il Novecento ha continuamente guardato a "nuovi" Nietzsche e spesso si è diviso proprio sul modo di giudicarli. Lukács diceva che il trattamento riservato a Nietzsche era la causa del rifiuto, da parte della sinistra occidentale, di un libro come La distruzione della ragione. Un volume curato da Maurizio Ferraris, appena uscito da Laterza, ripercorre la sindrome Nietzsche proponendosi di sgombrare il campo da una serie di pregiudizi seminati sui sentieri della ricezione che, da Heidegger a Deleuze, si è trasmessa sino a noi: attraverso la rivalutazione dei suoi studi filologici e la ricostruzione delle sue letture scientifiche, il rapporto di Nietzsche con la filosofia viene reso più problematico e, soprattutto, si contesta la sua immagine di antipositivista, critico della scienza e del mondo della tecnica. Ricostruiamo, dunque, con Maurizio Ferraris la parabola nietzscheana, restituendo, per quanto possibile, il filosofo tedesco alle sue volontà; tanto abilmente nascoste tra le pagine dei suoi libri quanto modestamente alterate dalla mano della sorella Elisabeth. Cominciamo dal giudizio di Lukács, dalla sua visione di un Nietzsche interprete e mitografo della borghesia nell'epoca storica che porta dal suo trionfo all'inizio della sua decadenza. Giudizio di cui Foucault rovescia positivamente il senso quando gli attribuisce l'annuncio di quella "morte dell'uomo" che sarebbe l'inevitabile contropartita della "morte di Dio". Quando facevo l'università, nella seconda metà degli anni Settanta, Lukács era l'autore da non leggere. E il motivo era che avrebbe nazificato Nietzsche. Ho riletto di recente La distruzione della ragione, e mi son chiesto perché. A parte la bellezza della prosa, quello che Lukács scrive è incontestabile: Nietzsche ha davvero predicato contro la solidarietà tra gli uomini, e i passi che Lukács utilizza per motivare il suo giudizio vengono, per esempio, da Al di là del bene e del male, un'opera che Nietzsche pubblicò nel pieno dei suoi spiriti, senza alcun intervento di Elisabeth, la sorella-parafulmine. Eppure, ancora oggi, la vulgata vuole che Nietzsche fosse "in realtà" di sinistra, e che solo delle manipolazioni interessate lo avessero ridotto, negli anni Trenta, a un corifeo del nazismo. Dico "ancora oggi" perché nel non lontano 1992, quando ho ripubblicato con Pietro Kobau la Volontà di potenza da Bompiani, molti hanno preso l'iniziativa o come un oltraggio a Nietzsche, o come una riabilitazione di Elisabeth, perché nella postfazione spiegavo che se dare del nazista a Nietzsche è assurdo, visto che Hitler nasce nel 1889, quando Nietzsche finisce in manicomio, le tesi spesso politicamente scorrettissime che troviamo in tanti testi da lui direttamente pubblicati sono farina del suo sacco, dunque non sono frutto delle manipolazioni della sorella (la quale del resto riordinò gli appunti nel 1901 e nel 1906, quando Hitler o aveva i calzoni corti o faceva l'imbianchino a Vienna). Il problema è stato, però, quello di "recuperare" Nietzsche al di là dell'uso ideologico delle sue tesi, indubbiamente distorto. Sì, ma recuperarlo a che? Non dico che il rimedio sia peggiore del male, ma quasi. La riabilitazione di Nietzsche a sinistra, a partire dagli anni Sessanta, è stata non meno ideologica della nazificazione degli anni Trenta. E si è presentata, essenzialmente, in due versioni. Una emancipatoria e movimentista (Deleuze e Guattari, poi Vattimo), dove la questione della volontà di potenza viene equiparata all'immaginazione al potere per trasformarsi poi, con l'ermeneutica e il postmoderno, nello scetticismo del mondo vero diventato favola. L'altra è quella "realistica" (in qualche modo il Nietzsche di Deleuze del 1962, quello di Foucault, poi quello di Cacciari), dove viceversa si sottolinea che la spietatezza dell'analisi è un buon antidoto al sentimentalismo politico (di modo che allora Nietzsche risulta "oggettivamente" di sinistra). Fra le due letture, col senno di poi, mi pare che la prima fosse semplicemente falsa, sebbene animata dalle migliori intenzioni di questo mondo; e che la seconda, invece, risultasse severa ma giusta. Però continuo a chiedermi perché mai una politica di sinistra debba appoggiarsi a un autore cosi equivoco; sarà poi fatale che, scioccamente, si faccia di Nietzsche il mandante di atti gratuiti, come è recentemente avvenuto in un tribunale. Si può benissimo amare l'intelligenza e lo stile di autori politicamente scorretti: De Maistre quando loda l'alleanza fra il trono e l'altare, Baudelaire che scrive tranquillamente che bisogna sterminare gli Ebrei (e ai Belgi non va molto meglio). Ma non ha proprio senso sostenere - in fondo, narcisisticamente - che se sono intelligenti, allora sono anche di sinistra (e che magari le parti orrende di Baudelaire le ha interpolate sua mamma). Come inquadrerebbe, allora, la posizione di Nietzsche fra la qualità della sua scrittura, la sua filosofia e il suo atteggiamento politico?
Direi che Nietzsche è un pessimo consigliere pratico (se ne era accorto benissimo proprio Foucault, nei suoi ultimi anni travagliati), ma è spesso - non sempre, si pensi a Così parlò Zarathustra - un grande scrittore. Però, a chi dicesse che allora è anche un grandissimo filosofo, e magari che lo è soprattutto in morale, si potrebbe opporre che non è detto che quello che ci piace sia anche vero, o giusto: e soprattutto che è bene capire perché ci piace: se è per ciò che scrive, se per come lo scrive, se è perchè ha ragione oppure perchè ha torto; se per motivi strettamente filosofici, o se per l'aura che circonda la sua vita e la sua fortuna (o sfortuna). Proviamo allora a vedere se ci soccorre la storia della fortuna. C'e un dogma che accomuna Elisabeth e Heidegger, tanto per restare a due figure carismatiche della ricezione: il dogma, per l'appunto, secondo cui Nietzsche sarebbe un gigante del pensiero, un vate, un illuminato, un mito vivente. Con questo, Nietzsche viene strappato fuori della sua storia e della sua geografia, e viene circonfuso di una luce equivoca, che propaga nel tempo i suoi effetti. Che l'interpretazione di Elisabeth sia di sinistra, non lo si è mai detto. Ma si è detto, e si dice, che, almeno indirettamente, lo è quella di Heidegger, che leggerebbe Nietzsche in senso antinazista. E' una leggenda metropolitana: Heidegger entrò nell'"Archivio Nietzsche" durante la gestione di Elisabeth, subentrando a Spengler che se ne era andato per protesta contro le collusioni dell'"Archivio" col regime; vi rimase sino al dicembre del 1942 (ossia sino a Stalingrado). E dal 1933 al 1945, tutti gli anni, in tutte le università tedesche, si tennero dei corsi su Nietzsche, con la sola eccezione di Tübingen, la cui specializzazione teologica non favoriva certo l'Anticristo come materia di insegnamento. Ma, a parte questo, è ben dubbio che si possa considerare emancipativa una lettura che, invece di consegnare Nietzsche alla attualità politica, come voleva Baeumler, ne fa il capolinea di una Storia della Metafisica. Resta il fatto che Heidegger vede in Nietzsche colui che apre la possibilità di emanciparsi almeno dalla metafisica, se non proprio da tutto quel che ne segue. Più che altro, quella di Heidegger è una lettura molto evasiva, al limite della falsificazione. Viene riproposto un Nietzsche eroico e mitico, spesso a detrimento dei veri valori filosofici. Che un grande filosofo, teoreticamente originale e inventivo come Schopenhauer, venga ridotto, nei corsi degli anni Trenta, a un triste precursore, è solo una delle omissioni di questa lettura. Inoltre (e qui l'errore non è di giudizio, ma comporta proprio l'omissione di dati di fatto), Heidegger vede in Nietzsche un avversario della scienza, il che è falso, visto che Nietzsche, abbandonata la filologia, lesse soprattutto di scienza e di divulgazione scientifica. Ma Heidegger non lo vuole vedere, perché intende preservare l'immagine del Filosofo all'antica (che, per lui, significa infallibilmente Grande Filosofo). Dunque, lei ritiene che avesse ragione Lukács?
Si, e non è trasformando Nietzsche nell'"ultimo bagliore della storia della metafisica come oblìo dell'essere" che lo si puo rendere politicamente accettabile, né dicendo che la sorella lo avrebbe falsificato, né sostenendo che l'edizione critica ci avrebbe offerto infine il "vero" Nietzsche. A parte il fatto che già l'"Archivio" promosse una edizione critica, dopo il 1930, resta che, dal punto di vista politico, gli inediti dicono le stesse cose degli editi. La loro vera utilità è un'altra: essi ci ragguagliano sulle fonti, ci fanno capire cosa Nietzsche leggesse, lo restituiscono al suo mondo, ossia svolgono il vero compito che anche lui aveva riconosciuto alla storia: quello di distruggere gli idoli della tribù. E com'è questo Nietzsche restituito alla sua storia? Le letture di Nietzsche in Germania e nel mondo anglosassone, dagli anni Settanta in avanti (Müller-Lauter, Stack ecc.), a dir poco sospettose nei confronti di Heidegger, hanno sottolineato come, per ciò che attiene alla parte teoretica della sua riflessione, e in qualche misura anche per ciò che attiene alla pratica, Nietzsche sia in sostanza uno dei tanti neokantiani con sensibilità positivistica e pragmatistica che affollano la scena filosofica del secondo Ottocento. Basti dire che raccomanda l'eterno ritorno come la dottrina "più scientifica", e vuole ricondurre il pensiero e le emozioni alle loro basi fisiologiche. Se lo mettiamo in questa prospettiva, non lo troviamo più in dialogo con Platone, Aristotele, Cartesio, Leibniz, ma con molti suoi contemporanei, anche minori o minimi. E scopriamo che, tolto il mito, forse è anche lui un minore; ma è proprio lui, e non un altro. Non era forse la richiesta di Ecce homo? "Non prendetemi per un altro". Strano destino, però, quello di un "minore" che continua a catalizzare l'attenzione di più di un secolo di filosofia, quasi che egli avesse tracciato la strada lungo la quale rispondere a una serie di domande che la contemporaneità si è via via posta con urgenza sempre maggiore. Si, proprio strano. Però davvero un filosofo molto originale potrebbe catalizzare l'attenzione non solo filosofica, ma soprattutto mediatica, allo stesso modo di Nietzsche? La sua tesi fondamentale è semplicemente questa: l'uomo può fare di sé quello che vuole. Ma sarà vero? E, poi, come si concilia questo senso di onnipotenza con il richiamo di Nietzsche alla natura e al destino? Come molti di quelli che sostengono di dire cose nascoste sin dall'inizio del mondo, Nietzsche spesso rivela al lettore proprio quello che lui sapeva già, e gli dice quello che voleva sentirsi dire; questo spiega perchè nelle edicole delle stazioni si trovino i libri di Nietzsche. Forse che le stazioni brulicano di superuomini? E se queste tesi di dominio pubblico si sono legate al nome di Nietzsche è perché la sua vita e la sua fortuna esercitano, oggi come ieri, una immediata seduzione romanzesca: Nietzsche che abbraccia il cavallo, che finisce in manicomio, che viene falsificato da una sorella terribile, che viene letto dai nazisti ecc. E' già un film o un romanzo (infatti ce ne sono stati tantissimi, mentre nessuno si sognerebbe di girare un film su Gassendi o su Helmholtz). Ora, quella di Nietzsche è stata una tragedia vera e commovente; ma proviamo a chiederci che cosa sarebbe stata la sua fortuna se avesse continuato a insegnare filologia a Basilea, avesse sposato Lou, e fosse morto a ottant'anni, di gotta e con l'Alzheimer.
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