INTERVISTA A CACCIARI
«Per un laico credere vuol dire interrogarsi»
Raramente si è parlato tanto di fede e mai c’è stata tanta guerra.
E alla ricerca di un punto di vista laico che ci aiuti a comprendere questo
paradosso, interpelliamo un «cercatore di significati» come Massimo Cacciari.
Che, laicamente, precisa subito che «la parola fede di per sé non è un termine
in contrasto con guerra, non ne è l’opposto. Dunque non è detto che la fede
produca pace». Verissimo, anzi nella storia la fede ha prodotto anche
fanatismo, intolleranza. «Sì - prosegue Cacciari - Ma nelle diverse culture, la
categoria di fede rinvia a significati assai diversi. Per la religione
islamica, sia nella tradizione sunnita che sciita, è obbedienza della legge,
rispetto dei comandamenti fondamentali. Per il Cristianesimo, invece, si è
salvi per fede». Quindi, L’Islàm vede la fede come adesione a un progetto sociale,
politico, culturale e religioso. Un progetto molto esigente. «Mica tanto.
Preghiera e pellegrinaggio possono essere anche sostituiti con l’elemosina.
L’Islàm è realistico sulle capacità umane mentre Gesù è assolutamente
utopistico. Il Cristianesimo chiede all’uomo doti soprannaturali per la sua
salvezza che l’Islàm non pretende. Ma nello stesso Cristianesimo ci sono
atteggiamenti diversi di fronte alla fede: quello intransigente di Lutero non
ha a che fare con l’altro che si affermerà nella Chiesa cattolica con la
cosiddetta Controriforma».
Ma la cultura laica e la tradizione filosofica come riguardano la fede? «Qui le
differenze sono ancora più radicali: da un lato c’è un atteggiamento in senso
lato razionalistico, illuministico, per cui la fede è vista quasi come
superstizione, dall’altro uno laicistico meno intollerante che la considera una
specie di fatto privato, l’esercizio di una libertà di pensiero. C’è poi un
punto di vista a mio avviso più serio, che si interroga sulla relazione tra
fede e sapere: importante anche per l’Islàm, ma che lì s’interrompe con
Averroé, e comunque non dà affatto i frutti che dà nel nostro mondo, come
quelli dell’ultima grande stagione dell’idealismo». Questo ci aiuta a capire la
nostra contemporaneità? Ad esempio, se le radici dell’odio millenario che
infiamma il Medio Oriente siano in fedi contrapposte? «Quel conflitto non ha
nulla a che vedere con la fede. Anzi, credo che i fattori specificamente
religiosi avessero scarsa valenza anche all’epoca delle Crociate». Come,
allora, recuperare un senso universale, cioé anche laico, della fede?
«Comprendendo che, almeno nella Cristianità, essa non si è mai opposta alla
ragione. Fin da Agostino, e ancor prima, con Clemente e Aurigene, la verità
cristiana si è sempre rappresentata come ”indaganda”, come qualcosa che
riguardi anche la mente e non solo il cuore. Ma se questo può esser chiaro per
il teologo, come si può comprendere la fede anche da un punto di vista
filosofico? Io direi, ancora in termini agostiniani, cioé considerando che ogni
ricerca presuppone la fiducia nel cercato: non potrei ricercare alcunché se non
presupponessi che il cercato esiste. Insomma, anche per il filosofo, la
dimensione del credere è quella che interroga ogni momento della ricerca».