Armando Torno
INCANTAVA CON LA SUA MUSICA

CORRIERE DELLA SERA
21 aprile 2001
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«No, Mozart non posso dirigerlo. Come faccio? È la perfezione». Queste parole, recuperate quasi con forza alla memoria, sono una specie di ossessione. Giuseppe Sinopoli ce le bisbigliò in fretta, dopo un concerto a Lucerna, alcuni anni fa. Già, Mozart. Per lui, medico, autodidatta in musica, iscritto ai corsi di archeologia della Sapienza di Roma, quelle note lievi come piume e dense come l’anima non potevano essere governate. Preferiva Verdi, Puccini, Wagner, Richard Strauss, distanti tra loro anni luce ma più adatti al suo animo. Sinopoli era un conversatore eccezionale, di quelli che si incontrano soltanto nei romanzi ottocenteschi. Poteva incantarvi con la musica, con le sue frequentazioni di Darmstadt, dove aveva seguito i corsi di Ligeti, Stockhausen e Maderna; sapeva però parlarvi di filosofia o di civiltà perdute. Una sera a Dresda, dopo un’esecuzione, cominciò a descrivere le avventure di Gilgamesh, l’eroe sumerico le cui gesta avevano ispirato anche l’Ulisse omerico e il Noè della Bibbia.



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Osservava un vero culto per quegli argomenti che sembrano vicini alla verità. Amava gli iniziati, gli studi esoterici, le ristampe di opere perdute. Ma, è il caso di ripeterlo, quello che più attraeva della sua conversazione era la meraviglia con cui si accostava al sapere. Di ogni cosa si stupiva, di ogni cosa riusciva a isolare quella dose di eterno di cui era assetato. Troppo colto per essere un artigiano della musica, era però capace di dimenticare tutto ciò che conosceva per concedere spazio all’istinto nel momento della direzione.
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Sul podio l’archeologo, il medico, colui che si faceva mille domande sulla coscienza o sulle civiltà perdute si trasformavano nell’interprete teso allo scavo, all’esegesi della partitura. I critici hanno notato che le sue direzioni lasciavano il giusto spazio alla valorizzazione delle componenti orchestrali, che riuscivano a fare emergere quei valori che i musicisti hanno celato sotto le note. Di certo io lo ricordo attraverso le sue confidenze, immaginando ancora le sue fughe tra i templi, e riascoltandolo nella memoria mentre citava Nietzsche per spiegare Wagner. Comunque, non riesco a cancellare quella risposta. Tanto più che mi capitò di porgergli in un’altra occasione la domanda: «Allora maestro, come va con Mozart?».
Le sue parole, anche se ormai aveva superato il problema, non erano cambiate. Per lui Wolfgang Amadeus era leggero come una piuma, denso come l’anima. Il guaio è che assomigliava anche a lui, riassunto in quel suo sorriso che spuntava dentro la barba, leggera e densa come la sua anima.