Franco Cordelli

IL DOVERE DI NON DIMENTICARE
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Santa Maria degli Angeli era la mia chiesa da bambino e non ci tornavo da cinquant'anni. Voglio provare a dire perché ci sono andato ieri mattina, per i funerali di Giuseppe Sinopoli. Non ho conosciuto Sinopoli e non sono un frequentatore di concerti o di teatri d'opera. Da molti anni ho anche smesso di ascoltare musica con assiduità. Un giorno scrissi perché. Perché , dicevo, la musica distrae. La musica è la più grande delle consolazioni: dunque, così argomentavo, una fonte di illusioni inesauribile. Mi consideravo in guerra e la musica, per quanto dionisiaca, o proprio perché dionisiaca, non è adatta ad un simile stato d'animo. Era un sospetto non troppo lontano dalle obiezioni che allo spirito della musica vengono m osse in Thomas Mann, nel Dottor Faustus. Questa lontananza non mi ha vietato di comprare di tanto in tanto un disco (o un cd); o decidermi, trascinato da qualcuno, ad entrare in una sala da concerto.
Per fortuna fui spinto (qualche anno fa) ad ascoltare Sinopoli. Il maestro fece una cosa che mi lasciò a bocca aperta. In programma c'erano, se non sbaglio, i Kindertotenlieder di Gustav Malher. Ebbene, rompendo in modo vistoso la ritualità e la sacralità che tanto del mondo dei concerti mi hanno sempre innervosito, Sinopoli cominciò a spiegare cosa era la musica che si accingeva a suonare. Lo ascoltai rapito. Mi accorgevo che in Sinopoli c'erano una passione e, quasi, una foga che lo inducevano ad un discorso meno fluido di quanto non avrebbe voluto. Ma che importava?
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L'essenziale era che proprio ciò che più temevo, l'Aura, la solennità, venivano spazzati via. Di più. Quale era stato il sigillo della generazione di Sinopoli (della mia generazione)? Quale era stata la nostra più profonda utopia? Era stata, io credo, quella della critica. Due entità a prima vista inconciliabili: l'utopia e la critica. La creazione dal nulla e la creazione a partire da un'opera che qualcuno ci ha consegnato. La grande speranza del '68 si riduceva niente meno che a questo: all'inconciliabile.
Mentre Sinopoli spiegava Malher prima di dirigerlo, mentre umilmente e orgogliosamente ci parla va del grande compositore austriaco, riflettevo che se questa spropositata ambizione, di mettere insieme analisi e creazione, avanguardia e resurrezione di ciò che giace in una pura virtualità, ci veniva da un musicista, allora la mia generazione non aveva tutto sbagliato, qualche speranza di ciò che era stato rimaneva intatta. Anche più tardi, per esempio quando lessi il suo libro Parsifal a Venezia, continuai ad avere conferma che per quanto dilaniato uno spirito può essere illuminato non meno di uno che si arrenda inconsapevole o, chissà , travolto, ad una forza superiore. Sinopoli, a quella forza, tentava di opporsi. Non per questo, al momento opportuno, era meno capace degli altri di abbandonarvisi. Questa è stata la sua peculiare grandezza, unica nel mondo della musica. Sarebbe davvero triste che di tutto questo ci si dimenticasse: che lo ricordassero gli altri e lo dimenticassero gli italiani. Sinopoli abitava sopra l'Auditorium che si inaugurerà il 21 aprile del 2002. Lo ha visto crescere di giorno in giorno. Ci avrebbe lavorato. Già da oggi, ne sono certo, è il suo Auditorium.

[Corriere della Sera, 24.4.2001]