Giuseppe Sinopoli:
«Il mio Debussy denso di ombre»


di Valerio Cappelli

Corriere della sera, 11 aprile 1999
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«Voi non ci crederete - dice Giuseppe Sinopoli - ma fino all'età adulta non ero mai stato a Firenze. La mia prima volta fu nel 1983 e non in vacanza, ma come direttore della Philharmonia di Londra. C'è un tempo per tutto. Allo stesso modo non sono andato a Delfi pur conoscendo la Grecia o non ho ancora avvicinato tutto il teatro di Mozart». Il 25 giugno, al Maggio, Sinopoli fa il suo debutto assoluto nel 'Pelléas et Mélisande', capolavoro poco frequentato del '900. La predilezione del celebre direttore d'orchestra per la corposità di Mahler, Strauss, Wagner qui cederà alle allusioni e ai chiaroscuri di Debussy. «Io amo la musica di frontiera che sta tra la luce e il buio. La zona d'ombra. Anche quella di Debussy rappresenta musica di passaggio». 'Pelléas'? «È l'opera della paura e della depressione psicologica; è silenzio e solitudine, l'amore nasce come balbettio un attimo prima della morte».
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La storia è quella di una fanciulla, Mélisande, trovata in lacrime nel bosco dal principe Golaud. Ignara del suo passato, Mélisande accetta di seguirlo e di sposarlo, abitando nel castello del re Arkel insieme anche al fratellastro di Golaud, Pelléas. Ed è con lui che la giovane si confida, manifesta la sua infelicità. Tra i due nasce un amore impossibile che porta alla tragedia per l'esplosione dei sospetti, della gelosia, dei rimorsi di Golaud. Debussy rende esplicita la crisi del melodramma tradizionale, conduce alle estreme conseguenze la lezione dell'impressionismo e del simbolismo. Ma Sinopoli avverte: il «caso» Debussy non è isolato. «Lui prende le distanze dall'opera francese e italiana soprattutto. Poi c'è il confronto con Wagner, più complesso. C'è un diverso modo di concepire il rapporto tra il mondo della riflessione (il commento) e della narrazione (la storia vera e propria). L'opera italiana si divide in recitativi, dove c'è lo svolgimento dell'azione, e arie, in cui avviene la riflessione. Questa divisione in Wagner viene diluita. Ma il diverso modo di porsi tra narrazione e commento prima di Debussy era già avvenuta nel 'Boris Godunov' di Musorgskij. Debussy non nasce all'improvviso».
Sinopoli storicizza 'Pelléas' bussando alla porta del Walhalla. «Tra Debussy e Wagner c'è un nodo che di rado è stato affrontato: il rapporto con la divinità e quindi col mito». Gli dei sono tutto nella mitologia wagneriana, in Debussy l'argomento compare in bocca al re Arkel una sola volta: «Se io fossi Dio, avrei compassione del cuore degli uomini». 'Pelléas et Mélisande' nasce «dopo il fuoco e l'alluvione del 'Ring', è quello che c'è dopo. Dopo c'è il baratro del vuoto che potrebbe essere riempito, e il vacuo che non potrà essere riempito: Debussy scrive in questa zona intermedia, tra vuoto e vacuo, un mondo di paura e di ansia». Sinopoli ha 51 anni: perché adesso il 'Pélleas'? «È un'opera che, pur avendola davanti da un decennio, doveva maturare dentro per una necessità che chiamerei psicodinamica. 'Pélleas' si configura dopo l'eroismo mitologico di Wagner o l'eroismo borghese di Strauss. Ti penetra come un laser, non puoi opporre resistenza. Per chi la ama, può essere un'esperienza più devastante del 'Crepuscolo degli dei'».
In questo lirismo fiabesco e allucinato c'è un'umanità più forte che in tante opere veriste? «Sì, c'è un'umanità più violenta perché più reale anche se non realistica. Il visionarismo immaginario e simbolico alla Baudelaire trascolora nella scena, violentissima, in cui Golaud trascina per i capelli Mélisande. È un'opera senza cielo e senza luce. La giovinezza è sparita, Arkel tenta di poggiare le sue labbra vecchie sulle guance di Mélisande». La musica per Sinopoli è filtrata dall'amore per la psicoanalisi. «C'è un continuo fluire e rifluire, tra narrazione e commento, attraverso gli accenti interiori della parola e nel rispetto delle caratteristiche toniche della musica francese: ciò ha fatto passare il 'Pelléas' come qualcosa di legato alla lingua francese. Ma quello che determina la trasformazione tra narrazione e riflessione è la frantumazione timbrica. Timbri e ritmi frantumati determinano il cangiar di ritmo delle parole. Debussy non modifica nella sostanza il testo simbolista di Maeterlinck. I personaggi non rappresentano nulla, sono a-storici, come dei fiori a pelo d'acqua a cui hanno tagliato le radici e galleggiano trasportati senza alcuna volontà». Sinopoli è direttore onorario al Maggio: «Firenze mi riporta a una bacchetta che ho amato molto, Dimitri Mitropoulos, e a tanti amici archeologi». [...]