SUL CONCETTO DI SCUOLA NELLA
MUSICA DEL NOVECENTO E SULLA
SCUOLA DI BUSONI IN PARTICOLARE


FERRUCCIO BUSONI E LA SUA SCUOLA

[..] Il concetto di scuola nel Novecento musicale viene spontaneamente associato ad Arnold Schönberg e ai suoi allievi. La diversità dei contesti in cui Schönberg svolse la sua attività didattica - Vienna, Berlino, Boston e Los Angeles - passa in secondo piano di fronte al persistere dei metodi e delle finalità che permette di accomunare personalità così differenti come Alban Berg, Anton Webern, Hanns Eisler, Eduard Steuermann, Erwin Ratz, Hans Swarowski, Nikos Skalkottas, Roberto Gerhard e per certi versi anche John Cage. La solidità di questa struttura di trasmissione del sapere musicale è tale che persino musicisti i quali, pur non essendo stati direttamente suoi allievi, si riconobbero nei suoi principi potevano sentirsi a pieno diritto appartenenti alla scuola di Vienna: Hermann Scherchen, René Leibowitz e Theodor W Adorno sono esempi assai eloquenti in tal senso. Il minimo comun denominatore che tiene uniti i membri di questa scuola non è né l'estetica espressionista né la tecnica dodecafonica, ma un determinato modo di concepire la musica e la sua comunicazione. Schönberg, che non aveva avuto maestri, offìì ai suoi allievi una chiave di lettura della storia: l'appropriazione del passato è la necessaria premessa per la definizione del proprio ruolo hic et nunc; solo un approfondimento delle «leggi di comprensibilità» che guidavano la composizione tonale può aprire la strada a una tecnica compositiva insieme nuova e coerente. Per Schönberg essere musicista significava essere coinvolti nel nesso tridimensionale di teoria, composizione e interpretazione: la teoria è la via maestra per accedere alla storia, per porre questioni al passato; la composizione è il tentativo di dare una risposta alle questioni tecniche individuate dalla teoria, di formulare un pensiero musicale che sia insieme sintesi del passato e apertura verso il futuro; l'esecuzione è l'inalterata trasmissione dei senso musicale che si è cristallizzato in questo pensiero.
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[...] la scuola di Busoni si distingue per una caratteristica: il profondo ancoramento a un programma estetico formulato dal maestro stesso, quello della Nuova Classícità. L'avere stabilito un nesso tra questo programma estetico e la Meisterklasse in composizione che Busoni tenne alla Hochschule für Musik di Berlino tra il 1920 e il 1924 è uno dei principali meriti dello studio di Tamara Levitz. Da questa minuziosa ricerca, condotta in diversi archivi, emerge l'ampia area di influenza dei pensiero busoniano: esso non interessa solo gli allievi di questa classe - i più noti sono Kurt Weill e Wladimir Vogel - ma si estende ad altre personalità che si ritrovavano nei periodici ricevimenti organizzati da Busoni nella propria abitazione. Tra i frequentatori di casa Busoni vi erano Philipp Jarnach (ex allievo del periodo zurighese), Stefan Wolpe (che Busonì non aveva accettato nella sua classe), Alois Hába ed Ernst Krenek (che erano allievi di Schreker), i pianisti Rudolf Serkin e Claudio Arrau, i direttori d'orchestra Erich Kleiber, Willielm Furtwängler e Hermann Scherchen, i musicologi Hugo Leichtentritt ed Edward Dent.
Se - come dimostra inequivocabilmente la ricca documentazione fornita da Levitz - i princìpì della Nuova Classícità stavano alla base dell'insegnamento busoniano, gli effetti di tale insegnamento dovrebbero lasciarsi constatare nelle composizioni degli allievi. Gli elementi della ricezione tecnico-compositiva ci fornirebbero la prova di quella continuità del pensiero che, accanto allo svolgimento della didattica all'interno di un'istituzione e alla carismatica presenza di un maestro, ci consente di parlare di scuola in senso stretto. Ma paradossalmente la scuola di Busoni sembra non essere di Busoni. Opere come Austieg und Fall der Stadt Mahagonny di Weill e «Wagadus Untergang durch die Eitelkeit» di Vogel non hanno nulla in comune con gli ideali di serenità ed equilibrio su cui si fonda il concetto di Nuova Classicità. Si può argomentare che dall'inizio dei corsi berlinesi di Busoni alla data di composizione di quelle due opere era passato un decennio e l'influenza del maestro si era affievolita. Ciononostante la distanza estetica rimane stupefacente. Il tentativo di Levitz di spiegare questa discontinuità non convince: Busoni avrebbe inteso la dottrina della Nuova Classicità «come un'estetica e non come uno stile», l'essenziale sarebbe stato il proporre un messaggio umanistico e non la tecnica della sua trasmissìone. Questa conclusione cozza contro il peso che Busoni attribuiva all'addestramento tecnico, non da ultimo mediante la trascrizione di composizioni del passato - attività che nei suoi corsi svolgeva presumibilmente lo stesso ruolo che l'analisi aveva nei corsi di Schönberg. Infine un programma estetico, per giunta sostenuto da ideali educativi di grande nobiltà come quelli di Goethe e Schiller, sarebbe fallimentare se non avesse avuto concrete ripercussioni sulla tecnica compositiva.
Si pone dunque un problema: se questa scuola sia veramente esistita sul piano storico-compositivo o se si sia invece trattato di un agglomerato di personalità eterogenee convenute nel circolo di Busoni per il fascino che proveniva dalla sua immagine pubblica. Alcuni indizi lasciano pensare che, se c'è un elemento di connessione che tiene unita la scuola di Busoni o un nucleo di questioni attorno cui ruota il suo insegnamento, questo ha a che vedere con la funzione del contrappunto nella musica post-tonale. L'accresciuta consapevolezza circa il logoramento del linguaggio tonale aveva posto la dirnensione dei contrappunto all'ordine del già rno all'inizio degli anni Venti. [...]