FERRUCCIO BUSONI

ROUTINE

Routine.
B.167, H.225, LM.32, R.37. In «Pan» Berlino, I, marzo-ott. 1911, pp. 654-55.
Cfr. in altra versione, nell'Abbozzo di una nuova estetica della musica.



Berlino, agosto 1911

La routine è molto apprezzata, spesso pretesa: nell'esercizio della professione musicale è la condizione prima.
Già il fatto che la routine sia collegata all'idea della musica in genere, che essa esista realmente e inoltre sia una qualità da apprezzare, questo nudo fatto basta a dimostrare quali siano le opinioni correnti sulla musica, come alla musica si pongano confini ristretti, come dalla musica siamo lontani.
Giacché routine non significa altro che acquisizione di alcuni ferri del mestiere e il loro indifferenziato impiego in tutti i casi che si presentano.
Dunque ci dev'essere nella musica un numero di casi analoghi sorprendente!
Invece io credo che in musica ogni caso dovrebbe essere un caso nuovo, una «eccezione». Che in essa ogni problema, una volta risolto, non dovrebbe essere sottoposto ad ulteriori tentativi di soluzione. Un teatro di sorprese e di trovate, un teatro dell'apparentemente non prestabilito. E tutto questo sorto dal respiro di una profonda umanità, e ridonato alla grande atmosfera dalla quale sale verso gli uomini.
Come rimarrebbe disarmato l'esercito dei routiniers di fronte a queste forze pacate ma imbattibili! Sarebbe volto in fuga e scomparirebbe.
La routine trasforma il tempio in una fabbrica.
Distrugge tutto ciò che è creativo. Difatti creare significa formare dal nulla! Ma routine è l'officina che produce milioni d'esemplari. La «poesia su ordinazione». Vale perché è al servizio della maggioranza; fiorisce sul teatro, nell'orchestra, nel virtuoso e nelle «scuole d'arte», cioè in quegl'istituti che sono ottimamente organizzati al mantenimento degl'insegnanti. S'è tentati d'esclamare: Evitate la routine! Fate che tutto sia un principio, come se un principio non fosse stato mai! Non sappiate niente, ma pensate e sentite, e così imparate ad essere capaci!
«La mia disgrazia è di non avere routine», scrisse una volta Wagner a Liszt, proprio quando non riusciva a procedere con la partitura del Tristano.
Con ciò Wagner ingannava un po' se stesso e indossava di fronte al prossimo una maschera protettiva. Evidentemente possedeva routine in misura già considerevole e quando sorgeva uno di quegli intoppi che sono superabili solo con l'aiuto dell'ispirazione il suo macchinario conipositivo s'inceppava.
Se Wagner non avesse mai posseduto routine l'avrebbe confessato senza alcuna amarezza. La sua frase intelligente esprime, in fondo, il disprezzo dell'artista per tutto ciò che sa di routine; Wagner rinnega con ciò una qualità da lui stesso poco stimata e previene l'eventualità che altri gliela accreditino. Esprime una lode di se stesso con un tono di ironica disperazione. In realtà è infelice per la stasi del suo lavoro, ma si sente abbondantemente consolato dalla coscienza che il suo talento è superiore al comodo espediente della routine. E in uno slancio di modestia ammette, deplorando, che l'abilità artigiana gli manca del tutto.
Questa frase è un capolavoro di autodifesa e contiene per noi l'ammonimento: Evitate la routine!