Laureto Rodoni
TRA FUTURISMO E CULTURA MITTELEUROPEA:
L’INCONTRO DI BOCCIONI E BUSONI A PALLANZA

Verbania-Intra: Alberti Editore / Società dei Verbanisti, 1998. 119 p.

Recensione di Paolo Somigli Rivista di Studi Italiani, Anno XVIII, n. 1, giugno 2000

Tra futurismo e cultura mitteleuropea: l’incontro di Boccioni e Busoni a Pallanza è un titolo assai adatto al volume ottenuto da due articoli di Laureto Rodoni, “Caro e terribile amico!”. L’incontro a Pallanza di Busoni e Boc-cioni e Il carteggio Busoni-Boccioni, apparsi anche su “Verbanus” rispettivamente nel 1998 e nel 1999. I due con-tributi infatti prendono le mosse dal carteggio e dall’incontro fra i due artisti sul Lago Maggiore nel giugno del 1916 - quando, durante un apposito soggiorno presso i marchesi della Valle di Casanova nella villa di San Remigio a Pallanza, Busoni si fece ritrarre dall’amico pittore - per ricostruirne l’itinerario umano ed artistico all’interno delle rispettive posizioni estetiche, del dibattito culturale e del contesto storico-politico in Europa fra il 1912, anno in cui si registra il loro primo contatto, e il 1916, in cui Boccioni muore.
Nel marzo 1912 Busoni acquista a Londra La ville qui monte e in aprile Boccioni, a Berlino per un’esposizione futurista, gli invia un breve messaggio in cui esprime il proprio dispiacere di non poterlo ancora conoscere perso-nalmente essendo il maestro in quei giorni lontano dalla sua città di residenza. Si può dire che il nucleo del loro rapporto e il tono del carteggio - qui per la prima volta riprodotto nella sua interezza - siano già in questi episo-di: da un lato una stima sincera che reciprocamente li lega e li sprona, dall’altro un carteggio sostanzialmente d’uso, i cui temi non sono tanto disquisizioni sull’arte e sul suo ruolo nel mondo, quanto principalmente questioni più pro-saiche, come chiarimenti sulle modalità di pagamento, pro-blemi nell’individuare una data per incontrarsi, tempi di trasporto delle tele, preoccupazioni di natura economica. All’interno di queste tematiche, in particolare dalla let-tera di Boccioni datata 29 giugno 1916, si affacciano però con chiarezza sempre maggiore cenni a problemi di natura e-sistenziale o estetica, sì da delineare un rapporto di con-fidenza, ormai libero da formalismi e convenzioni: il rap-porto fra l’arte e la realtà (Boccioni, 29 giugno; Busoni, 8 luglio), la ricerca di una coerenza fra pensiero ed azione che spinge Boccioni a riarruolarsi nell’esercito e raffredda l’entusiasmo di Busoni nei suoi confronti (Boccioni, 19 luglio; Busoni, 26 luglio), la meschinità della guerra rispetto alla terribile sfida rappresentata dall’arte (Boc-cioni, 12 agosto).
Rimasto in gran parte sconosciuto fino alla pubblica-zione da parte di Rodoni, il carteggio Boccioni-Busoni ri-schia dunque di deludere quanti lo attendessero con troppa impazienza (l’importantissima lettera di Boccioni del 12 a-gosto era infatti già nota dal 1916, quando Busoni stesso ne pubblicò i passaggi più significativi sulla Neue Zürcher Zeitung). Esso tuttavia, proprio in questa sua normalità, si pone come importante strumento tanto per approfondire la conoscenza dei due artisti quanto per avvicinare i desideri, le inquietudini, gli stati d’animo che potevano attraversare un intellettuale in quel giro di anni: la continuità e la rottura col passato, l’interventismo e la condanna della guerra, la fatica dell’esercito e l’amarezza dell’esilio.
Così, nel pubblicare tali documenti, Laureto Rodoni non si accontenta di renderli semplicemente disponibili al let-tore ma, data la loro natura e le circostanze storiche che li accompagnarono, procede ad una lettura che integra i nuovi dati a quanto già si sa dei due artisti, fino a giun-gere, anche attraverso “un uso libero ma non arbitrario” (p. 38 [56]n) dei documenti ad una nuova e personale proposta sul ruolo del compositore nel percorso artistico ed estetico di Boccioni: in Busoni, infatti, il saggista individua, lo “spiritus rector” (p. 77 [59]) del pittore, l’artefice ideale del suo allontanamento dal futurismo verso posizioni in cui convergono tanto reminiscenze da Cézanne quanto suggestioni espressionistiche, oltre naturalmente alla stessa esperienza maturata negli anni di adesione al movimento fondato da Marinetti.
In altre parole, il musicista impregnato di cultura mitteleuropea, in cui l’apertura al nuovo si accompagna ad un solido senso della grande tradizione, confermerebbe in un pittore legato alle istanze di un movimento di avanguardia la necessità di liberarsi dai naturali limiti che esso, come ogni avanguardia, comporta per giungere alla propria identità e libertà artistica. Di qui, l’adozione per il vo-lume di un titolo di primo acchito sorprendente, in cui una precisa entità storica ed artistica, dotata di proclami e manifesti ideologici, viene messa in parallelo ad una più generica, per quanto delineata, temperie spirituale (la cui identità con l’espressionismo è però affermata a pp. 69-72 [51-54]). E’ infatti proprio il passaggio dall’uno all’altra che caratterizzerebbe gli ultimi mesi di vita di Boccioni, che - con la fase creativa inaugurata e ben rappresentata dal Ritratto di Busoni - perviene allo “scopo ultimo della sua tormentata ricerca, come se le opere precedenti fossero soltanto degli studi” (p. 70 [52]).
L’ipotesi - che con misura non si traduce affatto nell’idea di una abiura del passato - è ben motivata e, at-traverso l’analisi di numerose testimonianze, mostra come le tendenze del pittore in quel periodo non risultassero solo dalla necessità di rispondere ai gusti e alle richieste del committente, come si è talvolta affermato; essa tuttavia potrebbe trovare un limite nella stessa vicenda umana del pittore, che muore meno di tre mesi dopo aver compiuto il celebre ritratto. La sua stessa esperienza nel periodo giugno-agosto 1916 delinea un personalità tutt’altro che stabile e ben decifrabile. L’uomo che in scritti e lettere dalla caserma sconfessa la marinettiana “guerra sola igiene del mondo”, e che - scrive Rodoni - si allontana “dal suo [di Marinetti] fanatismo, dalla sua esaltazione guerresca” è poi lo stesso che, rifiutando alcuni (ma solo alcuni) dei privilegi che il suo status gli avrebbe concesso, vuole restare in batteria e chiede al Comando “che per il prossimo sorteggio per bombardieri (qui tutti hanno il terrore di questo sorteggio...) tengano conto di me” (p. 108n). Dati dunque forse ancora troppo contraddittori e soprattutto cronologicamente limitati per poter essere certi che Boccioni pervenga in quei tre mesi, grazie anche ad un influsso di Busoni molto plausibile sì, ma alla luce del carteggio più congetturale che rigorosamente dimostrabile, all’esito ultimo della propria vicenda artistica e non sol-tanto all’inizio di una nuova fase creativa tutta ancora da saggiare ed eventualmente percorrere.
Ciò detto, resta comunque intatto il valore di un’operazione come quella di Rodoni, che muovendosi agil-mente su più fronti (la musicologia, la storia dell’arte, l’ermeneutica, il rigore dell’approfondimento e la chiarezza della divulgazione) fornisce un testo di grande utilità, tanto a chi - già addentro alle problematiche dei due arti-sti - non avesse atteso che il carteggio quanto a chi vi si accosti privo di informazioni preliminari. In particolare, il lettore inesperto, lungi dal trovarsi spiazzato in un testo di erudizione e scoraggiante approfondimento specia-listici, viene introdotto passo per passo alla conoscenza dei due artisti fino a pervenire alla proposta di Rodoni che comunque non lesina informazioni sulle altre differenti ipotesi.
Il volume, a cui forse avrebbe giovato una più completa rifusione dei due articoli pensati separatamente onde evi-tare la doppia numerazione del primo o alcune ridondanze (ad esempio, le lettere del carteggio anticipate per stralci nelle note del capitolo 1 e presenti poi integralmente nel capitolo 2), è impreziosito dalla presenza di numerosi materiali iconografici (quadri, manoscritti, fotografie) che costituiscono un valido ausilio alla lettura e ne completano anche la piacevolezza.

Paolo Somigli
Università di Roma - La Sapienza