Nino Piccinelli

BUSONI DIDATTA E PiANISTA

[DISCLUB 1966]

A cavallo tra il 1914 e il 1915 andai a Zurigo insieme ad un amico, di qualche anno più anziano di me e che aveva già dato dei concerti di pianoforte, per seguire un corso di perfezionamento tenuto da Ferruccio Busoni. Durò all'incirca sei mesi ed eravamo in parecchi, provenienti un po' da tutta l'Europa. Busoni dimostrò subito la sua generosità rinunciando a percepire da chi era povero il compenso dovutogli. Ricordo moltissimi particolari, anche di natura tecnica, concernenti le sue lezioni, che erano principalmente d'interpretazione. Seguiva ogni allievo come se fosse il solo, senza risparmiarci rabbuffi e sfuriate, che del resto ci mcrítavatno. Ma non si stancava mai d'illuminare e di chiarire autori, brani e intere composizioni, ripetendo e facendoci ripetere, a nostro beneficio, certi passaggi fin tanto che non c'eravamo cornpenetrati in quella musica. Un ricordo sovrasta gli altri: la meticolosità nell'insegnamento dell'uso del pedale: a mio avviso la connotazione essenziale del Busoni dídatta da me conosciuto.
Ho avuto in seguito svariate occasioni per ascoltare Ferruccio Busoni sia in veste di solista di pianoforte, sia in quella di direttore d'orchestra, ma preferìsco citare due fattì che lo riguardano, narratìmi dal mio amato maestro di composizione Giulio Cesare Paribeni, che mi ebbe suo allievo al Conservatorio di Milano.
Nel corso della prima guerra mondiale, la Croce Rossa Internazionale pregò alcuni solisti di grande fama di dare in Svizzera (non mi sovviene in quale città) dei concerti il cui incasso sarebbe andato a beneficìo delle opere d'assistenza dell'ente stesso, svolte a favore dei prigionieri. Fra i pianistì suonarono prima Paderewski e poi Busoni. Paderewski si era trattenuto qualche gjorno allo scopo d'intendere il sommo italiano. Dopo la prima parte del concerto di Busoni, fu visto allontanarsi e allora giornalisti e curiosi gli si affollarono intorno per chiedergli il motivo della sua uscita. Paribeni, che era presente, rammentava spessissimo la risposta di Paderewski: «Me ne vado, perché se rimango fino alla fine, potrei essere tentato di tornare a casa, chiudere il píaroforte e non suonarlo mai più». Forse nella stessa circestanza o in un'altra, comunque sempre, in Svizzera, Busoni diede un concerto solístico al quale Paribeni assistè. Il giorno dopo sul più autorevole quotidiano di quella citta, della quale mi spiace di aver dimenticato il nome, apparve nella rubrica musicale la seguente critica, le cui parole esatte Paribeni ricordava a memoria e mi ha ripetuto infinite volte: «Da ieri sera, dopo aver ascoltato Ferruccío Busoni, un dubbio mi tormenta: è nato prima il pianoforte o prima Busoni?»