Testimonianze su Ferruccio Busoni pianista

Il suo momento di grazia è stato nella «Hammerkiavier», e poi nelle ultime due op. 110 e l'op. 111. Neppure per un attimo, anche nei passaggi più turbolenti e e intricatezze della fuga, ha perso di vista la bellezza unica del tocco. Ascoltarlo mentre segue queste sonate è stata un'esperienza terrificante: le relazioni dinamiche e ritmiche erano trattate con così ampio respiro libertà da dare paurose vertigini e da lasciare attoniti sinché la vista non si normalizzava, Il sommo vertice di serenità è stato raggiunto nella «Arietta» e nelle variazioni della sonata in do minore. Mentre la eseguiva a Londra un anziano critico musicale si è appoggiato alla spalla di un giovane collega e gli ha mormorato sconcertato. Sa credo che quell'uomo sia ubriaco!
Arthur Rubinstein
Ferruccio Busoni con quel suo volto gradevole, pallido, da Gesù Cristo nel deserto delle tentazioni era certo il pianista vivente più interessante. Quando suonava Bach, il suo magico tocco poteva creare ora le sonorità dell'organo, ora quelle dei clavicembalo, una combinazione ideale. Il suo temperamento e la sua grande maestria erano tali che la sue esecuzioni lisztiane fossero insuperabili, ed egli riusciva a farle sembrare ancora più importanti di quanto non fossero. Quando eseguiva la famosa «Campanella», per esempio, era un esperienza da mozzare il fiato.
Claudio Arrau
Diverso da qualsiasi altro Mozart che si possa aver sentito. Sempre drammatico, provato. Aveva le sue idee in merito a ogni cosa. Non si deve mai dire ad un allievo «Questo concerto va suonata così». Ma lo faceva così bene e in modo così creativo che potevi anche accettarlo. Non come interpretazione definitiva. Ma era incredibile. Ricordo anche un'impareggiabile «Sonata» di Liszt e un'incomparabile «Hammerklavier».
Geoffrey Douglas Madge
Ogni esecuzione era per lui una trascrizione, non importa quanto si avvicinasse alla realtà testuale della composizione, persino il compositore nel tradurre dalla sua immaginazione alla carta operava una sorta di trascrizione. Non sempre questa operazione è interamente positiva, ma diventa come un mondo fantastico che può essere comparato a un dipinto o a un racconto. Certamente il fanatico interesse di Busoni per il «Don Quixote» di Cervantes e la narrativa di Edgar Allan Poe indica un tratto della sua immaginazione creativa. Per far risaltare il colore della linea melodica rispetto all'accompagnamento utilizzava la tecnica di suonare questa una frazione di secondo in anticipo sull'altro. Lo slancio o il ritardo delle dita nel trattenere un suono al pedale, per esempio, faceva sì che il suono permanesse per la durata indicata in partitura, ma che nel frattempo ne mutasse il timbro; l'uso delle dinamiche, dei trattenere le note lunghe nella fase di scappamento del pedale, sono tutte tecniche busoniane. La tecnica meccanica vera e propria ormai la si dà per scontata, qui si parla in effetti di suono e orchestrazione.

A proposito della tecnica Busoni scrisse: «La tecnica migliore ha sede nel cervello, si compone di geometria, estimo delle distanze e saggia coordinazione.» In seguito aggiunse: «Un'cquisizione della tecnica non è altro che la trasformazione di una difficoltà in una cosa facile. Che ciò si raggiunga con un minimo di esercizio fisico, e un massimo di attenzione intellettuale è vero, ma forse non altrettanto evidente per ogni didatta del pianoforte.
Sicuramente però il pianista che raggiunge i propri traguardi vi riesce attraverso autoeducazione e la riflessione.»

Franz Liszt parlava di una tecnica creata dallo rito, non derivata dal meccanismo del pianoforte, che è invece assai importante per Busoni. Questa è la tecnica concreta, non solo la meccanica di cui parlano molti critici, identificandola in definitiva con la maggiore o minore velocità raggiunta dall'esecutore. Questa ricorda l'illusione creata dal suonare lentamente e dal suonare velocemente, un'fflusione creata con l'impiegno di dinamiche e altri fattori sopra enunciati.

Uno dei dischi più antichi che rispecchia maggiormente l'arte di Busoni è senza dubbio la registrazione della sua esecuzione della XIII Rapsodia ungherese di Liszt in cui, ad esempio, si ode il rumore delle dita nel glissando e si colgono gli elementi poetici della composizione in pienezza di effetti. Nonostante l'incertezza e l'imprecisione delle incisioni Duo Art, la Ciaccona rivela elementi della maniera di suonare che non credo vadano addebitati ai mezzi meccanici. È la più lunga registrazione di Busoni esistente e mostra la consapevolezza che egli aveva in una interpretazione di musica barocca. In una lettera alla moglie Busoni si lamenta con amarezza dell'inadeguatezza della registrazione e dei limiti che in essa vi scorge. Ma se si ascoltano i preludi corali di Bach da lui incisi, ci si rende conto di essere di fronte ad interpretazioni monumentali, per le quali egli giustamente era famosissimo. Nonostante tutti i limiti della tecnica di registrazione possiamo per un attimo constatare le illiminate possibilità del suo stile pianistico davvero unico.