FERRUCCIO BUSONI

SULLE MUSICHE PER "TURANDOT"

Zur Turandotmusik. - B.172, H.92. In «Blatter des Deutschen Theaters», Berlino, I, n. 6, 27 ottobre 1911. Si riferisce alle musiche di scena che Busoni fornì nel 1911 per una rappresentazione della Turandot di Carlo Gozzi al Deutsches Theater di Berlino (adattamento di Karl Vollmoeller, regia di Max Reinhardt), utilizzando una suite da concerto ispirata a quella fiaba, che aveva composto nel 1904, dunque non all'opera Turandot che, ancora utilizzando quelle musiche, compose pia tardi (I rappresentazione l'11 maggio 1917, a Zurigo).


LO SGUARDO LIETO
pp. 171-172


Berlino, ottobre 1911

Senza avventurarmi nel campo della critica o della storia della musica, che mi è estraneo, vorrei permettermi alcune osservazioni preliminari che si riferiscono soltanto alla mia musica per la Turandot di Gozzi e alla mia posizione in rapporto al compito che mi sono prefisso.
Nella letteratura musicale tedesca ci sono alcuni modelli classici di musiche di scena per il teatro di prosa: Egmont di Beethoven, Manfred di Schumann, Sogno di una notte d'estate di Mendelssohn; inoltre la deliziosa semi-opera Oberon di Weber. Invece non ho conoscenza di musica italiana di questo genere e forma e posso considerare la mia musica per la Turandot di Gozzi il primo tentativo di «illustrare» musicalmente uno spettacolo italiano. Gozzi stesso vi ha prescritto molta musica e ne offrono l'occasione non solo i ritmi di marcia e di danza che vi compaiono spontaneamente, ma anzitutto il carattere fiabesco dell'argomento. Effettivamente un «dramma fiabesco» non è immaginabile senza musica e specialmente in Turandot, dove nessun elemento magico entra in azione, è alla musica che spetta il compito grato e necessario di rappresentare l'elemento soprannaturale e fuori dell'ordinario. Ho impiegato esclusivamente motivi e inflessioni orientali originali e credo di aver evitato l'esotismo teatrale convenzionale.

Componendo la mia Turandot mi sono servito naturalmente del testo italiano originale, senza prendere in considerazione la rielaborazione di Schiller; perché considero il testo di Schiller una rielaborazione, non una traduzione, e mi sarebbe sembrato di allontanarmi dallo spirito di Gozzi se lo avessi utilizzato. Quel che per me era l'essenziale: la sensazione che si tratta sempre di un gioco - persino nelle scene che confinano con la tragedia - manca in Schiller completamente. Contribuiscono a questo effetto soprattutto le maschere, familiari agli italiani, le quali gettano un ponte tra il pubblico veneziano e l'Oriente fittizio della scena e distruggono così l'illusione che si tratti di un avvenimento reale. Questo ruolo di mediatore spetta sopra tutto a Pantalone, che impersona lo spirito del veneziano e che con le sue allusioni alla città natale e le sue locuzioni dialettali ricorda costantemente l'ambiente reale circostante. Questo continuo e variopinto alternarsi di passione e di gioco, di realtà e irrealtà, di atmosfera quotidiana e di fantasia esotica è ciò che nella «fiaba teatrale cinese» di Gozzi mi ha affascinato di più.