FERRUCCIO BUSONI
TURANDOT

CARLO GOZZI
TURANDOT

GIACOMO PUCCINI
TURANDOT



ATTO QUARTO

Notte. Atrio con colonne. Una tavola con un grandissimo barile, colmo di monete d'oro.

 

SCENA PRIMA
Turandot, Barach, Timur, Schirina, Zelima, eunuchi. Gli eunuchi legheranno a due colonne separati Barach, e Timur i quali saranno in camicia sino alla cintura. Zelima, e Schirina saranno da una parte piangendo. Turandot dall'altra in atto di fierezza.

TURANDOT
Tempo è ancor di salvarvi. Io rinnovello
i prieghi miei. Quel monte d'oro è vostro.
Ma se del padre, e dell'ignoto il nome
v'ostinate a occultarmi, flagellati
dalle robuste braccia de' miei servi
senza compassion cadrete morti.
O là ministri, pronti a' cenni miei.
(Gli eunuchi, fatto un profondo inchino, s'armano di bastoni)

BARACH
Paga sarai Schirina. Or t'è palese
l'effetto del tuo errore. (con forza)
Turandot, saziatevi pure. Io non intendo
di sospender tormenti. Risoluto
anzi son di morir. Crudi ministri,
percuotetemi, via. Del prence ignoto
conosco il padre, d'ambedue so i nomi;
ma strazio, angoscia vo' soffrire, e morte;

e non mai palesarli. Quei tesori
meno del fango apprezzo. Tu, consorte,
non t'affligger per me. Quelle tue lagrime,
se in un barbaro cor' penetrar ponno,
per quell'afflitto vecchio' impiega solo.
Resti 'l misero salvo. (piangendo) Egli ha sul colpa
d'esser amico mio.

SCHIRINA (supplichevole)
Deh per pietade...

TIMUR
Nessun s'affligga, alcun non prenda cura
d'un, che a uscir di miseria ha esperienza
che sol morte può trarlo. Amico, io voglio
te salvare, io morir. Sappi, tiranna...

BARACH (impetuoso)
No, per pietà. Non v'esca dalle labbra
il nome dell'ignoto: egli è perduto.

TURANDOT (sorpresa)
Vecchio, tu dunque il sai?

TIMUR 
Se 'l so? Crudele!
(volto a Barach)
Dimmi, amico, l'arcano. Perché mai
nol poss'io palesar?

BARACH
Perch'è la morte
certa dell'infelice. Perché siamo
tutti perduti.

TURANDOT
Vecchio, non temere.
Costui vuol spavertarti. O là, ministri,
si percuota l'audace.
(gli eunuchi s'apparecchiano a percuoterlo)

SCHIRINA
Oimè! Che pena!... Marito mio... marito mio...

TIMUR
Fermate...
Dove son!... Che mai soffro!... Principessa,
giura sopra 'l tuo capo, che la vita
di lui fia salva e che fia salva quella
del prence sconosciuto. Sulla mia
cada pure ogni strazio. Non mi curo
punto di sua salvezza. Io ti prometto
tutto di palesarti.

TURANDOT
Al gran Confuzio
solenne giuro io fo su questa fronte,
che salva dell'ignoto fia la vita,
salve fieno le vostre.
(si mette la mano alla fronte)

BARACH (audacemente)
Ah menzognera!
Vecchio ti ferma; il giuramento ha sotto
velen nascosto. Turandot, giurate,
che, sapendo i due nomi desiati,
sposo vostro è l'ignoto,' com'è giusto,
ben lo sapete ingrata; o ch'ei non more,
ricusato, d'angoscia, o non s'uccide.
Giurate ancor, che queste nostre vite,
tosto che palesati hanno i due nomi,
non sul da crudel morte andranno esenti,
ma che a perpetuo carcere rinchiuse
non saranno da voi, perché celato
resti l'enorme tradimento vostro.
Questo sia 'l giuramento: io sono il primo
a palesarvi i desiati nomi.

TIMUR (sbalordito)
Quali arcani son questi! O ciel, mi togli
fuor da tante miserie.

TURANDOT (sdegnosa)
Io stanca sono
di sì gran pertinacia. A voi, miei servi.
Muoiano tuttidue.
(gli eunuchi s'apparecchiano alle percosse)

SCHIRINA
Pietà, signora...
Vi dimando pietà.

BARACH
Vecchio, or palese
t'è 'l cor della crudel.

TIMUR
Figlio, io consacro
questa vita al tuo amor. Morta è tua madre.
Seguirò l'alma sua.
(piange)

TURANDOT (sorpresa)
Figlio!... Fermate.
Tu re! Tu prence! Tu genitor sei
del sconosciuto?

TIMUR
Sì, tiranna: io sono
re... padre... un disperato.

BARACH 
Ah, che faceste!

SCHIRINA
Che sento! Un re ridotto a tali estremi?

TURANDOT commossa da sé
(In tal calamitade! Un re! Costui
padre de sconosciuto! Oh Dio! mi sento
commossa il cor... Padre è diluì, ch'io bramo
d'abborrire, e non posso... e in questo seno...
(scuotendosi)
Ah, che diceva mai! Padre all'oggetto,
cagion del mio rossor, che la mia gloria
avvilisce, distrugge. Il tempo è breve).
alto
Vecchio, mi dì più oltre; io più non soffro.'

TIMUR
Amico, che far deggio?

BARACH (con forza)
Sofferite.
Turandot, quello è un re. Non offendete
voi stessa almen con un'azione indegna
della nascita vostra. Rispettate
le venerande membra. In me si sfoghi
l'inumana fierezza. È vana ogn'opra;
non saprete di più.

TURANDOT (collerica)
Sì, rispettato
questo vecchio sarà, che l'ira mia
tutta è contro di te. Tu lo stogliesti
dall'appagarmi, e tu paga la pena.
(fa cenno agli eunuchi i quali s'avvicinano tutti a Barach per flagellarlo)

SCHIRINA
Misera me! Marito mio... marito...

 

SCENA SECONDA
Adelma, e detti.

ADELMA
Fermatevi. Signora, quanto basta
qui occulta intesi. Questi due ostinati
ne' sotterranei del serraglio chiusi
sieno subitamente. Altoum parte
dalle sue stanze per venir a voi.
A me Schirina, e a me tutto quell'oro.
Corrotte son le guardie, che alle stanze
dell'ignoto han custodia. È mia l'impresa.
Puossi entrar alle stanze, ove soggiorna,
favellar seco, e, se de' miei consigli
ognun farà buon uso, consolata
fia Turandotte, sciolta, e gloriosa.
Schirina, se ti preme il tuo consorte,
Zelima, se t'è cara la tua madre,
a modo mio farete. Chi avrà sorte
di vincer' quant'io penso, ricco fia.
Non si perda più tempo. Io spero in breve
di rallegrarvi.

TURANDOT
Amica, a te m'affido.
Seco vada il tesoro. Teco vengano
e Schirina, e Zelima. Io tutto spero
in Adelma, in Zelima, ed in Schirina.

ADELMA
Schirina, e voi Zelima, mi seguite.
Meco sia quel tesoro. a parte (Ah forse io posso
or rileva? i nomi, e far, che resti
vinto l'ignoto; e, rinunziato,' forse resterà mio.
Forse averò tant'arte
di sedurlo a fuggir, di meco trarlo
fuori da questo regno).
(Adelma, Zelima, Schirina, e un eunuco col tesoro entrano)

BARACH
Moglie, figlia,
non mi tradite. A quest'alme infernali
non siate ubbidienti. Oimè, signore,
chi sa, che avverrà mai!

TURANDOT
Miei fidi tosto
ne' sotterranei del serraglio occulti
costor sien chiusi.

TIMUR
Turandot, adopra
quanto vuoi contro a me, ma 'l figlio mio
sia salvo per pietà.

BARACH
Pietà in costei!
Tradito è 'l figlio; e noi perpetua notte
chiusi terrà, che 'l tradimento celi.
Trema del ciel, crudele, della tua
alma ingrata, selvaggia, abbominevole.
Tieni per fermo, il ciel ti de' punire.
(Timur e Barach vengono condotti via dagli eunuchi)

 

SCENA TERZA
Turandot.

Che farà Adelma? Oh, se mai giungo al fine
di quest'impresa, chi averà più fama
di Turandotte? Chi sarà lo stolto,
che più s'arrischi a vincerla sua mente?
Quanto godrò nel rinfacciargli i nomi
nel divan fra i dottori, e di scacciarlo
svergognato, e deluso! (sospesa) E pur mi sembra
che n'avrei dispiacer... Parmi già afflitto
di vederlo, e piangente, e, non so come,
mi tormenta il pensarlo... Ah, Turandotte...
animo vil, che pensi! Che ragioni!
Ebb'egli dispiacer là nel divano
a scior gli enigmi, e a far, che tu arrossissi?
Cielo, soccorri Adelma, e fa, ch'io possa
svergognarlo, scacciarlo, e rimanere
nella mia libertà; che sprezzar possa,
sciolta da un nodo vile, un sesso iniquo,
che sommesse ci vuoi, frali, ed inette.

 

SCENA QUARTA
Altoum, Pantalone, Tartaglia, guardie e Turandotte.

ALTOUM da sé pensoso
(Il sultan, di Carizmo usurpatore,
così dovea finir. Dovea Calaf,
figlio a Timur, qui giugnere, e per strane
vicende esser felice. Oh giusto cielo,
chi di tua providenza i gravi arcani
può penetrar? Chi può non rispettarli?)

PANTALONE (basso a Tartaglia)
Cossa diavolo ga l'imperator, che ci va barbottando?

TARTAGLIA (basso)
Egli ha avuto un messo secreto: qualche diavolo c'è.

ALTOUM

Figlia, il giorno s'appressa, e tu vaneggi
pel serraglio svegliata, che vorresti
l'impossibil saper. Io, noi cercando,
so quanto brami, e tu, che in traccia vai,
vanamente lo cerchi. (trae un foglio) In questo foglio
scritti sono i due nomi, e gli evidenti
segni delle persone. Un messo or ora
secretamente da region lontane
a me seri venne; favellommi; e dopo
da me chiuso, e in gelosa guardia posto,
sino che passi il nuovo giorno; in questo
foglio mi diede i nomi, ed altre molte
liete, e gravi notizie. E re l'ignoto.
E figliuolo di re. Non è possibile
che tu sappia, chi sieno: è troppo, o figlia,
rimoto il nome lot Però qui venni,
perché mi fai pietà. Là nel divano,
in mezzo al popol tutto, qual piacere
hai la seconda volta volontaria
a farti dileggiar? Ululi, e fischi
della vil plebe avrai, troppo giuliva
ch'una superba, odiata, ed abborrita
per la sua crudeltà, punita sia.
Mal si tenta frenar l'impeto intero
d'un popol furioso.
(fa cenno con sussiego a Pantalone, a Tartaglia, e alle guardie, che portano. Tutti con prestezza, fatto il solito inchino colla fronte a terra, partono. Altoum segue)
Io posso, o figlia,
riparare al tuo onor.

TURANDOT (alquanto confusa)
Che onor! Quai detti!
Padre, grazie vi rendo. Io non mi curo
d'aiuti, o di ripari. Da me stessa
ripararmi saprò là nel divano.

ALTOUM
Ah no. Credimi, figlia, è già impossibile
quanto speri saper. Veggo in quegli occhi
nella faccia confusa, che folleggi,
che disperata sei. Io son tuo padre;
t'amo e tu 'l sai; siam soli. Dimmi, figlia,
se tu sai que' due nomi.

TURANDOT
Nel divano
si saprà, s'io gli so.

ALTOUM
No, Turandot.
Tu non gli puoi saper. Vedi, s'io t'amo.
Se li sai, mel palesa. Io ti dimando
questo per grazia. A quel meschin fo intendere,
ch'egli è scoperto, e fuor ida' stati miei
libero il lascio uscire. Spargo fama,
che tu l'hai vinto, e che fu tua pietade,
che a un pubblico rossor non s'esponesse.
Fuggi così l'odiosità de' sudditi,
che abborron tua fierezza, e me consoli.
Ad un tenero padre, che sì poco
chiede a un'unica figlia, il negherai?

TURANDOT
So i nomi... Non li so... S'ei nel divano
della vergogna mia non s'è curato,
giustizia è, ch'egli soffra infra i dottori,
quanto soffersi anch'io. Se saprò i nomi,
nel divan fien palesi.

ALTOUM (con atto a parte d'impazienza, indi sforzandosi alla dolcezza)
Ei fe' arrossirti
per amor, c'ha per te, per la sua vita.
Ira, furor, puntiglio, Turandot,
lascia per poco. Io vo', che tu conosca,
quanto t'ama tuo padre. Questo capo
scommetto, o figlia, che non sai que' nomi.
Io gli so: scritti sono in questo foglio,
e te li voglio dir. Vo', che s'aduni
il divan, fatto il giorno, che apparisca
in pubblico l'ignoto, e ch'egli soffra
che tu lo vinca; che vergogna egli abbia;
che provi angoscia, pianga, si disperi,
sia per morirsi per aver perduta
te, che sei la sua vita. Sol ti chiedo
dopo 'l tormento suo, che tu gli porga
quella destra in consorte. Giura, figlia,
che ciò farai. Siamo qui soli. Io tosto
ti paleso i due nomi. Tra noi due
rimarrà questo arcano. Gloriosa
appaghi il tuo puntiglio. Amore acquisti
de' sudditi sdegnati. Hai per consorte
l'uom più degno, che viva, e dopo tante
passion date al padre, nella sua
vecchiezza estrema il padre tuo consoli.

TURANDOT turbata, e titubante a parte
(Ah quant'arte usa il padre!... Che far deggio?
Dovrò affidarmi a Adelma, e sol sperando
attender il cimento? O deggio al padre
chieder i nomi, e all'abborrito nodo
giurar d'esser consorte?... Turandotte,
t'assoggetta alla fin... minor vergogna
è accomandarsi al padre... Ma l'amica
troppo franca promise... E se rileva?...
Ed io vilmente al padre il giuramento?...)

ALTOUM
Che pensi, o figlia? A che vaneggi, ondeggi
combattuta, e confusa? E vuoi, ch'io creda
in tanta agitazion, che sei sicura
di spiegar quell'enigma? Eh cedi al padre.

TURANDOT sempre a parte titubante
(No: s'attenda l'amica. Il genitore
qual zelo prende! Questo è chiaro segno,
ch'è possibil, ch'io sappia quanto ci teme.
Ama l'ignoto, e dall'ignoto istesso
ebbe i nomi in secreto, e con l'audace
è in accordo, e mi tenta).

ALTOUM
Or via, risolvi,
calma quel spirto indomito, finisci
di tormentar te stessa.

TURANDOT (scuotendosi)
Ho già risolto.
Al nuovo dl là nel divan s'aduni
l'assemblea de' dottori.

ALTOUM
Adunque vuoi
rimaner svergognata, e condiscendere
più alla forza, che al padre?

TURANDOT
Risoluta vo', che segua il cimento.

ALTOUM (iracondo) Ah stolta... ah sciocca...
Più ignorante, che l'altre. Io son sicuro,
che ti fai svergognar pubblicamente,
che possibil non è, che tu indovini.
Sappi; il divan fia pronto, ed il divano,
per tua rabbia maggior, vinta che sia,
tempio, ed ara' sprà. Là fieno pronti
i sacerdoti, e in mezzo al popol tutto,
tra le risa, e 'l dileggio, a tuo dispetto,
ivi, in quel punto vo', che segua il nodo.
Ben mi ricorderò, che sin poche ore
d'agitazion al cor del padre tuo
ricusasti di tor Folle, rimanti.
(entra collerico)

TURANDOT
Adelma, amica mia, che tanto m'ami,
meco è 'l padre sdegnato... abbandonata
in te solo confido... dal tuo amore
solo attendo soccorso al mio cimento.
(entra)

 

SCENA QUINTA
Cambiasi 'l teatro in una camera magnifica con varie porte. Nel mezzo avrà un soffà all'orientale, per servir al riposo di Calaf. E la notte oscura. Brighella con una torcia, e Calaf.

BRIGHELLA
Altezza, xe nove ore sonade. L'appartamento la lo ha passeggià tresento, e sedese volte in ponto. A dirghe el vero, son stracco; se la volesse un poco repossar, qua la xe sicuro.

CALAF (ottuso)
Sì, ti scuso, ministro. L'agitato
spirto mi fa inquieto. Va, e mi lascia.

BRIGHELLA
Cara Altezza, la supplico d'una grazia. Se mai capitasse qualche fantasma, la se regola con prudenza.

CALAF
Quali fantasme? Qui fantasme? Come?

BRIGHELLA
Oh cielo! Nu gavemo commission, pena la vita, de no lassar entrar nissun in sto appartamento, dove la se; ma... poveri ministri!... L'imperator xe l'imperator, la principessa se, se pol dir, l'imperatrice, e la sa, che cuor che la ga... Poveri ministri!... Xe difficile a passar tra una giozza, e l'altra... Se la savesse... gavemo la nostra vita tra el lancuzene, e el martello... no se vorria desgustar nissun... se la me intende... Ma, poveri diavoli, se vorria anca avanzar qualcossa per l'età decrepita... ma, poveri squartai, semo a una cattiva condizion.

CALAF (sorpreso)
Servo, mi dì. Dunque la vita mia
in queste stanze non sarà sicura?

BRIGHELLA No digo questo; ma la sa la curiosità, che ghe se de saver, chi ella sia. Pol vegnir... per esempio... per el buso della chiave qualche folletto, qualche fada con delle tentazion... Basta, che la staga in filo, e che la se regola. Me spieghio?... Poveri ministri!... Poveri squartai!

CALAF
Va, non temer; t'intendo; avrò cautela.

BRIGHELLA
Oh bravo. No la me palesa per carità. Me raccomando alla so protezione. a parte (Ser pol dar, che un borson de zecchini se possa ricusar? Per mi ho fatto ogni sforzo, ma no ho podesto. Le xe catarigole; chi le sente, e chi no le sente).
(entra)

CALAF
Costui m'ha posti de' sospetti in capo.
Chi mai giugner può qui?... Saprò difendermi,
giunga l'inferno ancor. Troppo mi preme
posseder Turandot. Ancor per poco
penar dovrò, che non è lungi il giorno.
Possibil, che quel cor sempre sia avverso?
Cerchiam, se pur si può, qualche riposo.
(è per coricarsi)

 

SCENA SESTA
Schirina, travestita da soldato chinese, e Calaf.

SCHIRINA Figlio... (si guarda intorno) Signor... (si guarda intorno)
Mi trema il cor nel seno.

CALAF
Chi sei? Che vuoi? Che cerchi?

SCHIRINA
Io son Schirina,
moglie d'Assan, dell'infelice Assan.
Qui con questa divisa militare,
simile a quella delle guardie vostre,
tra i soldati m'addussi, il punto colsi
e venni in questa stanza. Assai sventure
deggio narrarvi, ma timor... sospetto...
e più pianto, e dolor mi toglie forza...

CALAF
Schirina, che vuoi dirmi?

SGHIRINA
Il miserabile
mio marito è celato. A Turandot
fu detto, ch'egli vi conobbe altrove,
e perché le palesi il vostro nome,
secretamente nel serraglio il vuole.
Della vita è in periglio. A mille strazi,
s'è scoperto, è soggetto, e, se ciò nasce,
pria vuoi morir, che palesar, chi siete.

CALAF
Ah caro servo...! Ah Turandot crudele!

SCHIRINA
Di più deggio narrarvi. Il padre vostro
è in casa mia, vedovo sconsolato,
di vostra madre...

CALAF (addolorato)
Oimè, che narri! Oh Dio!

SCHIRINA
Di più dirovvi. Ei sa, ch'Assan si cerca;
che voi siete fra l'armi. Ha mille dubbi,
mille spaventi, e piange. Ei disperato
vuoi esporsi alla corte, e palesarsi,
e «col mio figlio» ci grida «io vo' morire».
M'affaticai, narrando i casi vostri,
per trattenerlo: egli inventate fole
tutte le crede. Il tenni, e sol lo tenni
con la promessa di recargli un foglio
da voi firmato, e scritto dalla mano
del proprio figlio, che 'l consoli, e dica,
ch'egli è salvo, e non tema. A tanti rischi
mi sono esposta per aver un foglio,
per acchetar quell'angoscioso vecchio.

CALAF
Il padre mio in Pechin! La madre morta!
Tu m'inganni, Schirina.

SCHIRINA
Se v'inganno,
m'arda Berginguzin.

CALAF
Misera madre!
Padre mio sventurato!
(piange)

SCHIRINA
Ah, non tardate!
Maggior sventure nasceran, se 'i foglio
non vergate sollecito. Se mancano
fogli, ed inchiostro, e penna, io diligente
tutto provvidi.
(trae 'l bisognevole per iscrivere)
Quell'afflitto vecchio
poche note firmate abbia, che 'l figlio
è in sicurezza, e che sarà felice;
o alla corte sen corre, e ogn'opra guasta.

CALAF
Sì, mi reca que' fogli...
(in atto di scrivere; poi sospendendo)
Ma che fo?
(pensa alquanto, indi getta il foglio)
Schirina, al padre corri, e gli dirai
per pane mia, che ad Altoum sen vada;
chieda udienza secreta, e gli palesi
quanto brama, e ricerchi quanto brama
per calma del suo core. Io mi contento.

SCHIRINA (confusa)
Ma non volete?... Un foglio vostro basta...

CALAF
No, Schirina, non scrivo. Il nome mio
diman saprassi solo. Assai stupisco,
che la moglie d'Assan tenti tradirmi.

SCHIRINA (più confusa)
Tradirvi...! che mai dite?
a parte
(Ah non si guastino
l'altre trame di Adelma!) (alto) E bene; al padre
dirò quanto diceste. Io non credeva,
dopo tanta fatica, e tanto rischio,
la taccia meritar di traditrice.
a parte
(Adeima è desta, ma costui non dorme).
(entra)

CALAF
Ben mi disse il ministro, che fantasme
sarebbero apparite. Ma Schirina
con sacro giuramento ha confermato,
che mio padre è in Pechin, la madre estinta.
Pur troppo sarà ver; che le sventure
piovon sopra di me...
(guarda un'altra porta della stanza)
Nuovo fantasma.
Vediam, che venga a far.

SCENA SETTIMA
Zelima, e Calaf.

ZELIMA
Prence, io son schiava
di Turandot, in questo loco giunta
per quelle vie, che ad una principessa
possibili son sempre, e apportatrice
son di felice annunzio.

CALAF
Oh 'l ciel volesse.
Schiava, non mi lusingo; è troppo barbaro
della tua principessa il cor sdegnato.

ZELIMA
È ver; noi so negar. Ma pur, signore,
voi siete il primo. Impression d'affetti
le destate nel sen. Parrà impossibile,
e certa son, che le parole mie
terrete per menzogne. Ella persiste
nel dir, che v'odia, eppur mi sono accorta,
ch'ella è amante di voi. S'apra il terreno
e m'ingoi, se non v'ama.

CALAF
E ben; ti credo.
E felice l'annunzio; altro vuoi dirmi?

ZELIMA
Io deggio dirvi, ch'ella è disperata
sol per ambizion; ch'ella confessa,
che impossibile assunto nel divano
si prese al nuovo giorno, e che mortale
rossor la prende a comparir dimani,
dopo tante, benché crude, vittorie,
a farsi dileggiar dal popol tutto.
S'apra l'abisso, e questa schiava inghiotta,
se menzogna vi dissi.

CALAF 
Non chiamarti,
donna, sì gran sventure. Io già ti credo.
Or via, dì a Turandotte, ch'io ben posso
sospender il cimento. Miglior fama
ella s'acquisterà, che co' cimenti,
a cambiar il suo core, a far palese,
che di pietà è capace, che risolta
è di darmi la cara amata destra
per consolar un disperato amante,
un padre, un regno. Il tuo felice annunzio,
serva, sana mai questo?

ZELIMA
No, signore;
non pensiamo così. La debolezza
scusar si deve in noi. La principessa
una grazia vi chiede. Ella sol salva
vuol la sua vanagloria, e nel divano
que' nomi poter dire; indi pietosa
discender dal suo trono, e la sua destra
con atto generoso unire a voi.
Qui siamo soli; a voi poco ciò costa.
Guadagnate quel cor. Sì bella sposa
tenera abbiate, e non sdegnata, e a forza.

CALAF (con sorriso)
Al terminar quest'ultimo discorso,
schiava, ommesse hai le solite parole.

ZELIMA
Quai parole, signor?

CALAF S'apra l'abisso,
e questa schiava nel suo centro inghiotta,
se menzogna vi dissi.

ZELIMA
Dubitate,
ch'io non vi dica il ver?

CALAF
Dubito in parte, e sì forte è 'l mio dubbio, ch'io ricuso
d'appagarti di ciò. Va a Turandotte,
dille, che m'ami, e ch'io le niego i nomi
per eccesso d'amor, non per offesa.

ZELIMA (con audacia)
Imprudente, non sai quanto costarti
può questa ostinazion.

CALAF
Costi la vita.

ZELIMA (fieramente)
E ben; pago sarai.
a parte (Vana fu l'opra).
(entra dispettosa)

CALAF
Ite, inutili larve. Ah, le parole
di Schirina m'affliggono. Vorrei,
che l'infelice madre... il padre mio...
Alma, resisti. Ancor poche ore mancano
a saper tutto, a uscir d'angoscia, e spasmo.
Riposiam, se si può. (siede sul soffà) La travagliata
mente brama riposo, e par, che venga
sonno a recar conforto a queste membra.
(s'addormenta)

Scena ottavaSCENA OTTAVA
Truffaldino, e Calaf che dorme.

 

TRUFFALDINO Entra adagio, e dice con voce bassa, che può buscare' due borse d'oro, se giugne a rilevare i due nomi dall'ignoto, il quale opportunamente dorme. Ch'egli ha comperata con un soldo dal N.N., ciarlatano in piazza, la mirabil radice della mandragora, che posta sotto il capo di chi dorme fa parlare in sogno il dormiente, e lo fa confessare ciò, the si vuole. Narra degli stupendi casi avvenuti sul proposito, cagionati dalla virtù di quella radice, narrati da N.N. ciarlatano, ecc. S'accosta a Calaf adagio, gli mette la radice sotto al capo, si tira in dietro, sta in ascolto, fa de' lazzi ridicoli. CALAF Non parla, fa alcuni movimenti colle gambe, e colle braccia. TRUFFALDINO S'immagina, che que' movimenti sieno parlanti per virtù della mandragora. S'idea, ch'ogni movimento sia una lettera dell'alfabeto. Da' movimenti di Calaf interpreta lettere, e forma, e combina un nome strano, e ridicolo a suo senno; indi allegro, sperando d'aver ottenuto quanto voleva, entra.

 

SCENA NONA
Adelma, velata la faccia, con un torchietto, e Calaf che dorme.

ADELMA da sé
(Tutte le trame mie non saran vane.
Se invan tentossi aver i nomi, invano
forse non tenterò di meco trarlo
fuori da queste mura, e farlo mio.
Sospirato momento! Amor, che forza
sin'ora mi desti, e ingegno; e tu, fortuna,
che modo mi donasti, onde potei
tanti ostacoli vincere, soccorri
quest'amante affannata, e fa, ch'io possa
giugnere al fin de' miei disegni audaci.
Fammi contenta, amor. Fortuna, spezza
queste di schiavitù vili catene.
(guarda col lume Calaf)
Dorme l'amato ben. Ti rassicura,
cor mio; non palpitar. Care pupille,
quanta pena ho a sturbarvi! Ah, non si perda
un momento a' disegni).
(ripone il lume, poi con voce alta)
Ignoto, destati.

CALAF (destandosi, e levandosi spaventato)
Chi mi risveglia? Chi sei tu? Che chiedi,
nuova larva insidiosa? Avrò mai pace?

ADELMA
Qual furor! Di che temi? In me ravvisa
una donna infelice, che non viene
per saper il tuo nome, e, se pur brami
di saper, chi io mi sia, siedi, e m'ascolta.

CALAF
Donna, a che in queste stanze? Invan, t'avverto,
tradirmi tenti.

ADELMA (con dolcezza)
Io per tradirti! Ingrato!
Deh mi narra, stranier: fui qui Schirina
a tentarti d'un foglio?

CALAF 
Fu a tentarmi.

ADELMA (precipitosa)
Non l'appagasti già?

CALAF
Non l'appagai;
che sì stolto non fui.

ADELMA
Ringrazia il cielo.
Fu qui una schiava con raggiri industri
per saper, chi tu sia?

CALAF
Sì, fu; ma andossi
senza saperlo, come tu anderai.

ADELMA
Mal sospetti, signor, mal mi conosci.
Siedi, m'ascolta, e poi di traditrice,
se lo puoi, mi condanna.
(siede sul soffia)

CALAF (sedendole appresso)
Or ben, mi narra;
dimmi, che vuoi da me?

ADELMA 
Prima, che guardi
voglio queste mie spoglie, e che palesi,
che ti credi, ch'io sia.

CALAF (esaminandola)
Donna, s'io guardo
a' gesti, al portamento, all'aere altero,
maestà tutto ispira. Alle tue spoglie
schiava umil mi rassembri, e già ti vidi
nel divan, s'io non erro, e ti compiango.

ADELMA
Ben ti compiansi anch'io, cinqu'anni or sono,
vedendoti servire in basso stato,
e più quand'oggi nel divan ti scorsi.
Mel disse un giorno il cor, che tu non eri
nato a vili servigi. So, ch'io feci
quanto potei per te, quando il mio stato
soccorso potea dar. So, che i miei sguardi,
per quanto puote una real donzella,
ti parlavano al cor. (si svela) Dì, questo volto,
mira, vedesti mai?

CALAF (sorpreso)
Che miro! Adelma,
de' Carazani principessa! Adelma
creduta estinta!

ADELMA
Di Cheicobad,
de' Carazani re, tra lacci indegni
di schiavitù miri la figlia Adelma,
per regnar nata, ed a servir ridotta,
miserabile ancella, oppressa, afflitta.
(piange)

CALAF
Morta ti pianse ognun. Qual mai ti veggio!
Del gran Cheicobad figlia!
Regina! In catene! Vil serva!

ADELMA
Sì, in catene.
Non istupir, non isdegnar, ch'io narri
delle miserie mie l'aspra cagione.
Ebbi un fratel, che fu cieco d'amore,
come sei tu, di Turandotte altera.
S'espose nel divan. (piangendo) Fra i molti teschi
fitti sopra alla porta, avrai veduto,
spettacolo crudele, il capo amato
del caro mio fratel, ch'io piango ancora.
(piange dirottamente)

CALAF
Misera! Udii narrare il caso altrove,
lo credei fola, or così dir non posso.

ADELMA
Cheicobad, mio padre, uom coraggioso,
sdegnato del fin barbaro del figlio,
radunò le sue forze, ed ebbe core,
per vendicar il figlio, d'assalire
gli stati d'Altoum. La sorte iniqua
gli fu contraria, e fu sconfitto, e morto.
Un visir d'Altoum senza pietade
volle estirpar della famiglia nostra,
per gelosia di stato, ogni rampollo.
Tre miei fratelli trucidati furo,
la madre mia, colle sorelle mie
meco scagliate in un rapido fiume a
terminar i giorni. In sulla riva
il pietoso Altoum giunse, e sdegnato
contro al visir, fe' ripescar nell'acque
nostre misere vite. Era mia madre
colle sorelle morta. Io, più infelice,
semiviva fui tratta, e in diligenza
alla vita riscossa; indi in trionfo
schiava alla cruda Turandotte in dono
mi diede il padre suo. Principe ignoto,
se d'uman sentimento non sei privo
compiangi i casi miei. Pensa a guai costo,
con qual core a servir schiava m'indussi
delle miserie mie la cagion prima,
l'abborribile oggetto de' miei mali,
in Turandotte.
(piange)

CALAF (commosso)
Sì, pietà in me destano,
principessa, i tuoi casi; ma la prima
cagion de' mali il fratel tuo fu certo,
indi 'l padre imprudente. E che mai puote,
Adelma, principessa, in tuo favore
un sfortunato oprar? S'io giungo al colmo
de' miei desir, spera da un core umano
libertade, e soccorso. Or il racconto
delle sciagure tue non fa, che accrescere
mestizia alla mestizia, che m'opprime.

ADELMA
A te mi palesai, scoprendo il volto.
Noto t'è 'l mio lignaggio, e note or sono
le mie sventure a te. Vorrei, che l'essere
nata figlia di re trovasse fede
a quanto, mossa da compassione,
giacché mossa da amor dir non ti deggio,
mi convien palesarti. Oh voglia il cielo,
quantunque io sia chi son, ch'un core amante,
per Turandotte prevenuto, e cieco,
mi presti fede, ed i veraci detti
contro di Turandotte non disprezzi.

CALAF
Dimmi, Adelma, alla fin che vuoi narrarmi?

ADELMA
Narrarti io vo'... Ma tu dirai, ch'io sono
qui giunta per tradirti, e mi porrai
coll'altre anime vili a servir nate.
(piange)

CALAF
Non mi tener, Adelma, in maggior strazio.
Delle viscere mie, dì, che vuoi dirmi?

ADELMA a parte
(Ciel, fa, ch'ei creda alla menzogna mia).
(a Calaf con forza)
Signor, la cruda Turandotte irata,
la scellerata Turandotte iniqua,
di trucidarti alla nuov'alba ha dati
gli opportuni comandi. Sono queste
delle viscere tue le amanti imprese.

CALAF (sorpreso, levandosi furiosamente)
Di trucidarmi!

ADELMA (levandosi, con sommo vigore)
Trucidarti, sì.
All'uscir tuo diman da queste stanze,
venti, e più ferri acuti in quella vita
s'immergeranno, e tu cadrai svenato.

CALAF (smanioso)
Avvertirò le guardie.
(in atto dipartire)

ADELMA (trattenendolo)
No: che fai?
Se tu speri, signor, di dar avviso
alle guardie, e salvarti... Oh te meschino!
Non sai, dove tu sia.., quanto s'estenda
della cruda il poter... dove sien giunti
i maneggi, le trame, i tradimenti.

CALAF (in disperato cieco trasporto)
Oh misero Calaf... Timur.. mio padre...
Ecco il soccorso, ch'io ti reco alfine.
(resta fuori di sé addo lorato colle mani alla fronte)

ADELMA sorpresa a parte
(Calaf, figlio a Timur! Oh fortunata
menzogna mia! Tu a doppio' favorisci
forse quest'infelice. Amor, m'assisti,
colorisci i miei detti, e, s'ei non cede,
ho quanto basta ad annullar la brama
d'esser di Turandot).

CALAF (segue disperato)
Or che ti resta,
scellerata fortuna, porre in opra
dopo tante miserie co' tuoi colpi
contr'un oppresso, un disperato, un principe
tutto amor, tutto fede, ed innocenza?
E fa di tanto, sì, di tanto fia
capace Turandotte!... Ah, non può darsi
un cor sì traditore in sì bel volto.
(con isdegno)
Principessa, m'inganni.

ADELMA
Io non m'offendo
del torto, che mi fai. Già ben previdi
che dubitar dovevi. Sappi, ignoto,
che per l'enigma tuo là nel serraglio
furente è Turandot. Ella già scorge
impossibil l'impresa del disciorlo.
(caricata)
Forsennata passeggia, e, come cagna,
latra, si scuote, si difforma, e grida.
Verde ha la faccia, di color sanguigno
ha gli occhi enfiati, loschi,' e 'l ciglio oscuro.
Orrida ti parrebbe, e non più quella,
che nel divan t'apparve. Io m'ingegnai
di colorir le tue soavi forme,
per placare i trasporti, e tutto feci,
perch'ella in suo consorte ti prendesse.
Ogni sforzo fu vano. Alcune insidie
ella ordì; tu le sai. S'eran fallaci,
a certi suoi fedeli eunuchi diede
ordine d'ammazzarti a tradimento.
Son più vasti i comandi. Infernal alma
peggior non nacque, e tu compensi morte,
ch'hai sopra il capo, alla crudel d'amore.
Se tu non credi, il torto, che mi fai,
men mi dorrà, che 'l mal, che a te sovrasta.
(piange)

CALAF
Dunque in mezzo a' soldati d'un monarca,
posti per mia salvezza, io son tradito!
Ah, ben mel disse quel ministro infame,
che interesse, e timor spezza ogni fede.
Vita, più non ti curo. Invan si tenta
fuggir da cruda stella, che persegue.
Barbara Turandot, in questa forma
paghi un amante fuor di se medesmo,
che s'abbassa, si sforza e l'impossibile
vince in se stesso ad appagar tue brame?
(furioso)
Vita, più non ti curo. Invan si tenta
fuggir da cruda stella, che persegue.

ADELMA
Ignoto, di fuggir tua cruda stella
t'apre Adelma una via. Sappi, un tesoro
giusta compassion m'indusse a spendere
per corromper le guardie. Io cerco trarre
te dalla morte, e me dalle catene.
Là nel mio regno in sotterraneo loco
altro immenso tesoro sta nascosto.
Congiunta son di sangue, e d'amistate
ad Alinguere, imperator di Berlas.
Qui tra le guardie un numero è già pronto
per scorta mia. Destrier parati sono.
Fuggiam da queste sozze orride mura
in odio ai dei. Forze avrò in campo, ed armi,
unite a quelle d'Alinguer, di Berlas,
da riscattare il regno mio. Fia tuo.
Tua questa destra ha, se gratitudine
per me ti prende, e, se ti spiace il nodo,
fra tartari non mancan principesse,
che avanzavano in bellezza questa fiera,
affettuose in cor, degne del tuo;
suddita io resterò. Pur che tu sia
salvo da morte, e ch'io d'indegno laccio
esca di schiavitù, saprò in me vincere
quell'amor, che mi strugge, e che rossore
mi prende a palesarti. Ah, la tua vita
ti stia a cor solamente, ed abborrisci,
quanto vuoi, questa destra. È presso il giorno...
Io mi sento morir... stranier, fuggiamo.

CALAF
Adelma generosa! Oh qual dolore
provo per non poter condurti a Berlas,
trarti di schiavitù. Che mai direbbe
Altoum della fuga? Egli a ragione
mi diria traditor; che per rapirti
le sacre leggi d'ospitalitade
non curai di tradir.

ADELMA
Anzi la figlia
d'Altoum le tradisce.

CALAF
Io non ho 'l core,
che più sia mio. Godrò morendo, Adelma,
per commession d'una crudel, che adoro.
Tu puoi fuggire. Io risoluto sono
di morir per colei. Che vai la vita?
Senza di Turandotte io più, che morto,
mi considero al mondo: ella s'appaghi.

ADELMA
Dì tu da ver! Sì cieco sei d'amore?

CALAF
Sol d'amore, e di morte io son capace.

ADELMA
Ah, ben sapea, stranier, che la tiranna
di bellezza m'avanza, e sperai solo,
che 'l mio cor differente gratitudine
potesse ritrovar. Io non mi curo
de' disprezzi, che soffro, e sol mi preme
l'adorabil tua vita. Deh fuggiamo:
salva quella tua vita, io ti scongiuro.

CALAF
Adelma, io vo' morir; son risoluto.

ADELMA
Ingrato! Resta pur; per tua cagione
io pur non fuggirò, rimarrò schiava,
ma per momenti ancor. Se 'l ciel m'è contro,
vedrem chi di noi due la propria vita
sa sprezzar maggiormente a' casi avversi.
a parte
(Perseveranza amor premia sovente.
Calaf di Timur figlio?) alto Ignoto, addio.
(entra)

CALAF
Notte più cruda chi passò giammai?
Combattuto lo spirto da un ardente
amor, che mi distrugge. Sfortunato,
dall'amata abborrito, circuito
da tante insidie, ed intronato il capo
da funeste novelle di mia madre,
del genitor, del servo, e, quando io spero
d'esser in porto, in mezzo a chi mi salvi,
al colmo d'ogni gioia; trucidato
mi vuoi chi è la mia vita, e chi tant'amo.
Turandotte spietata! Ali, ben mi disse
la tua schiava crudele, a cui non volli
palesar il mio nome, e quel del padre,
che la mia ostinazion costar dovrebbe
a caro prezzo. Or ben, già spunta il sole.
(si rischiara)
Tempo è, che 'l sangue mio satolli alfine
la serpe, che n'è ingorda. Usciam d'angoscia.

 

SCENA DECIMA
Brighella, guardie, e Calaf.

BRIGHELLA
Altezza, questa xe l'ora dei gran cimento.

CALAF (agitato)
Ministro, sei tu quello?... Via, s'adempiano
gli ordini, c'hai. Crudei, finisci pure
di troncar i miei giorni; io non li curo.

BRIGHELLA (attonito)
Che ordeni! Mi no go altro ordene, che de farla incamminar verso el divan, perché l'imperator s'ha za pettenà la barba, per far l'istesso.

CALAF (con entusiasmo)
Vadasi nel divan. Già nel divano
so che non giugnerò. Vedi, se intrepido
io so andar a morir. (getta la spada) Non vo' difesa.
Sappia almen la crudel, che ignudo esposi
volontario il mio seno alle sue brame.
(entra furioso)

BRIGHELLA (sbalordito)
Cossa diavolo diselo! Gran maledette femene! No le l'ha lassà dormir, e le ga fatto zirar la barilla. O là, presente l'arme, compagnello, steghe attenti.
(entra. Odesi un suono di tamburi; e d'altri strumenti)

 

ATTO QUINTO

 

Il teatro rappresenta il divano, come nell'atto secondo. Nel fondo vi sarà un altare con una deità chinese, e due sacerdoti; ma tutto dietro una gran cortina. All'aprirsi della scena Altoum sarà sul suo trono: i dottori saranno al loro posto; Pantalone, e Tartaglia a' fianchi d'Altoum; le guardie disposte, come nell'atto secondo.

 

SCENA PRIMA
Altoum, Pantalone, Tartaglia, dottori; guardie, indi Calaf.
CALAF uscirà agitato, guardandosi intorno sospettoso. Giunto nel mezzo della scena farà un inchino ad Altoum, indi da sé.

(Come! Tutta la via felicemente
scorsi, e l'immagin della morte avendo
sempre dinanzi, alfin nessun m'offese!
O Adelma m'ha ingannato, o Turandotte
seppe que' nomi, l'ordine sospese
della mia morte, ed io perdo il mio bene.
Meglio era morte, s'avverar si deve
il mio dubbio crudel).
resta pensoso

ALTOUM
Figlio, tu sei,
ben ti scorgo, agitato. Io vo' vederti
ilare in volto; più non dei temere.
Oggi han fine le tue sventure. Io tengo
secreti in sen di giubilo, e di pace.
Mia figlia è tua consorte. Tre ambasciate
ebbi sinora da lei. Calde preghiere
spedì reiterate, ond'io volessi
dispensarla da esporsi nel divano,
e dalle nozze ancor. Vedi, se devi
rassicurarti, e intrepido aspettarla.

PANTALONE
Certo, Altezza. Mi in persona son sta do volte a recever i comandi della principessa alle porte del serraglio. Me son vestì in pressa, e son corso. Gera un agerin freddo, che me trema ancora la barba. Ma gnente. Confesso, che ho abuo un gran spasso a vederla desperada, e pensando alla allegrezza, che avemo da aver.

TARTAGLIA
Io ci sono stato a tredici ore. Cominciava appunto a spuntar l'alba. M'ha tenuto mezz'ora a pregarmi. Tra 'l freddo, e la rabbia, credo di averle detto delle bestialità. a parte (L'averei sculacciata).

ALTOUM
Vedi, come ritarda? Ho già spedite
commession risolute, e vo, che venga
a forza nel divan. S'ella ricusa,
dissi, che a forza ella sia qui condotta.
Forte ragione ho di mostrarle sdegno.
Eccola, e mesta a comparir la veggio.
Soffra il rossor, ch'io volli torle invano.
Figlio, t'allegra pur.

CALAF
Signor, scusate.
Grazie vi rendo. Io combattuto
sono da sospetti crudeli, e combattuto
sono d'esser cagion, ch'ella patisca
violenza, e rossor. Vorrei piuttosto...
Ah, ch'io noi posso dir. Se non è mia,
come viver potrei! Col tempo io voglio
co' più teneri affetti far, che scordi
certo l'abborrimento. Questo core
tutto ha della sposa. Io vorrò sempre
ciò, ch'ella bramerà. Grazie, e favori
chi cercherà da me, non andrà in traccia
di adulator, di parasiti iniqui,
dell'altrui donna, che mi possa; e solo
dalla consorte mia richieste attendo
per favorire altrui. Fedel, costante
sempre sarò nell'amor suo. Giammai
sospetti le darò. Forse non molto
andrà, che adorerammi, e pentimento
dell'avversion, che m'ebbe, in breve io spero.

ALTOUM
Olà, ministri miei, più non si tardi.
Questo divan sia tempio, ond'ella entrando
scopra; ch'io so voler quanto le dissi.
Si permetta l'ingresso al popol tutto.
Tempo è, che paghi quest'ingrata figlia
con qualche dispiacer le tante angosce,
che suo padre ha sofferte. Ognun s'allegri.
Le nozze seguiran. L'ara sia pronta.

(Apresi la cortina nel fondo, e scopresi l'altare co' sacerdoti chinesi)

PANTALONE
Cancellier, la vien, la vien. Me par, che la pianza.

TARTAGLIA
L'accompagnamento è malinconico certo. Questo è un noviziato, che mi pare un mortuorio.

 

SCENA SECONDA
Turandot, Adelma, Zelima, Truffaldino, eunuchi schiave, e sopraddetti.
Ad un suono di marcia lugubre esce Turandotte, preceduta dal solito accompagnamento. Tutto il suo seguito avrà un segno di lutto. S'eseguiranno tutti i cerimoniali come nell'atto secondo. Turandotte salita in trono farà un atto di sorpresa nel veder l'altare, e i sacerdoti. Ognun sarà al solito posto, come nell'atto secondo. Calaf sarà in piedi nel mezzo.

TURANDOT
Questi segni lugubri, ignoto, e questa
mestizia, che apparisce ne' miei servi,
so che 'l cor ti rallegra. Io miro l'ara
parata alle mie nozze, e mi contristo.
Quant'arte usar potei, sappi c'ho usata
per vendicarmi del rossor, che ieri
mi facesti provar; ma alfin conviemmi
ceder al mio destin.

CALAF
Mia principessa,
vorrei poter farvi veder l'interno,
come la gioia amareggiata viene
dal vostro dispiacer. Deh, non v'incresca
di far felice un, che v'adora, e sia
con reciproco amor sì dolce nodo.
Io vi chiedo perdon, se chieder dessi
perdon d'amar chi s'ama.

ALTOUM
Ella non merta,
figlio, sommesse espression. È tempo,
ch'ella s'umili alfin. S'innalzi il suono
degli allegri strumenti, e 'l nodo segua.

TURANDOT
No, non è tempo ancor. Maggior vendetta
non posso aver, che far con apparenza
l'animo tuo sicuro, in calma, e allegro,
per poi scagliarti inaspettatamente
da letizia ad angoscia. (si leva in piedi) Ognun m'ascolti.
Calaf figlio a Timur, dal divan esci.
Questi i due nomi a me commessi sono.
Cerca altra sposa, e Turandot impara
quanto sa penetrar, misero, e trema.

CALAF (attonito, e addolorato)
Oh me infelice! Oh Dio!

ALTOUM (sorpreso) 
Dei, che mai sento!

PANTALONE
Sangue de donna Checa, che la ne l'ha fatta in barba, cancellier!

TARTAGLIA
Oh Berginguzino! Questa cosa mi passa l'anima.

CALAF (disperato)
Tutto ho perduto. Chi mi dona alta?
Ah, nessun può aiutarmi. Io dime stesso
fui l'omicida, e perdo l'amor mio
per troppo amor. Io potea pur errore
far negli enigmi ieri; or questo capo
tronco sarebbe, e l'alma mia spirata
non sentirla più doglia in queste membra,
peggior di morte. E tu, Altoum pietoso,
perché non lasciar correre la legge,
ch'anche morir dovessi, se scoperti
fosser dalla tua figlia quei due nomi,
ch'or più allegra sana?
(piange)

ALTOUM
Calaf, l'affanno
vecchiezza opprime... L'impensato caso
trapassa questo sen.

TURANDOT (basso a Zelima)
Zelima, il misero
mi fa pietà. Difender più non posso
il mio cor da costui.

ZELIMA (basso)
Deh ceda alfine.
Sento il popol, che freme.

ADELMA da sé
(È questo il punto o di vita, o di morte).

CALAF (vaneggiante)
Un sogno parmi...
Mente, non vacillar. (furioso) Tiranna, dimmi;
a non veder morir chi si t'adora
t'incresce forse? Io vo', che tu trionfi
anche sulla mia vita.
(furente s'avvicina ai trono di Turandot)
Ecco dinanzi
ai piedi tuoi vittima sfortunata
quel Calaf, che conosci, e ch'abborrisci,
e ch'abborrisce il ciel, la terra, il fato,
che disperato, fuor di se medesmo
spira sugli occhi tuoi.
(trae un pugnale; è per ferirsi; Turandot precipita dal trono, e lo trattiene)

TURANDOT (con tenerezza)
Calaf, che fai?

ALTOUM
Che vedo!

CALAF (sorpreso)
Tu impedisci, Turandotte,
quella morte, che brami! Tu capace
sei d'un atto pietoso! Ah, tu vuoi, barbara,
ch'io viva senza te, che in mille angosce,
ed in mille tormenti io resti in vita.
Di tanto almen non esser cruda; lascia,
ch'esca da tal miseria, e, se capace
sei di qualche pietà, so, che in Pechino
è Timur, padre mio, privo di regno,
perseguitato, lacero, mendico.
Invan cercai di sollevar quel misero.
Abbi di lui compassione, e lascia,
ch'io m'involi dal mondo.
(vuol uccidersi; Turandot io trattiene)

TURANDOT
No, Calaf.
Viver devi per me. Tu vinta m'hai.
Sappi... Zelima a' prigionier ten corri,
consola il vecchio afflitto, ed il fedele
ministro suo; la madre tua consola.

ZELIMA
E come volontier.
(entra)

ADELMA con entusiasmo da sé
(Tempo è di morte; più speranza non c'è).

TURANDOT
Sappi, ch'io vinsi
per un trasporto sol. Tu palesasti
ad Adelma, mia schiava, in non so quale
trasporto tuo stanotte, i due proposti
nomi, e gli seppi. Il mondo tutto sappia,
ch'io capace non son d'un'ingiustizia,
e sappi ancor, che le tue vaghe forme,
l'aspetto tuo gentile ebbero alfine
forza di penetrare in questo seno,
d'ammollir questo cot Vivi e ti vanta.
Turandotte è tua sposa.

ADELMA da sé con dolore
(Oh estrema doglia!)

CALAF (gettando in terra il pugnale)
Tu mia! Lasciami in vita, estrema gioia.

ALTOUM (discendendo dal trono)
Figlia... mia cara figlia, io ti perdono
tutto il duol, che mi desti. In questo punto
compensi al padre tuo tutte l'offese.

PANTALONE
Nozze, nozze. Siori dottori, le daga logo.

TARTAGLIA
Si ritirino nella parte diretana del divano.
(i dottori si ritirano in dietro)

ADELMA (furente si fa innanzi)
Sì, vivi pur, crudele, e lieto vivi
colla nimica mia. Tu, principessa,
sappi, ch'io ti odio, e che gli arcani miei
furono sol per divenir consorte
di costui, ch'adorai, cinqu'anni or sono,
sin nella corte mia. Tentai stanotte,
fingendo favorir le tue premure,
di fuggir seco, e ti dipinsi iniqua;
tutto fu vano. Dalle labbra sue
uscir per accidente que' due nomi.
Palesandoli a te sperai per questo,
che tu 'l scacciassi, e di poter ancora
meco a fuggir sedurlo, e farlo mio.
Troppo t'ama costui per mio tormento.
Tutto fu vano, ogni speranza è persa.
Una sol via mi resta, e usar la deggio.
Di regio sangue io nacqui, e mi vergogno
d'esser vissuta in vil lorda catena
di schiavitù sin'ora. In te abborrisco
un oggetto crudel. Tu mi togliesti
padre, fratelli, madre, suore, regno,
e l'amante alla fin. Esca da tante
sciagure Adelma. Togli anche il residuo
della mia stirpe, ed il mio sangue lavi
viltà fin'or sofferta.
(raccoglie il pugnale di Calaf indi fieramente)
È questo il ferro,
che riparmiasti al seri del sposo tuo,
perch'io mi trucidasi. Il popol miri,
se dalla schiavitù so liberarmi.
(in atto di ferirsi. Calaf la trattiene)

CALAF
Fermati, Adelma.

ADELMA
Lasciami, tiranno...
(con voce piangente)
Lasciami ingrato... io vo' morir.
(si sforza d'uccidersi. Calaf le leva il pugnale)

CALAF
Non fia.
Io da te riconosco ogni mio bene.
Util fu il tradimento. Ei disperato
mi rese sì, che 'l cor potei commovere
di chi m'odiava, e ch'or mi fa felice.
Scusa un amor, che vincer non potrei.
Non mi chiamar ingrato. Ai numi io giuro,
che, s'altra donna amar potessi, tua
questa destra saria.

ADELMA (prorompendo in pianto)
No; mi son resa
di quella destra indegna.

TURANDOT
Adelma, e quale furor ti prese!

ADELMA
A te palesi sono
le mie sciagure. Or sappi, che mi togli
anche un amante, in cui sperava solo.
Per lui son traditrice, ed ei mi toglie
modo di vendicarmi. Almen mi lascia
nella mia libertà. Lascia, ch'io fugga
raminga di Pechin. Non usar meco
l'ultima crudeltà, ch'io miri in braccio
Calaf di Turandot. Io ti ricordo,
ch'un cor geloso, un'alma disperata
tutto può, tutto tenta; e mal sicura
ognor sei, dov'è Adelma.
(piange)

ALTOUM a parte
(Io ti compiango, misera principessa).

CALAF
Adelma, lascia
di tanto lagrimar. Vedi, che in grado
son or di compensare in qualche parte
quant'ho per tua cagion. Sposa, Altoum,
se nulla posso in voi, quest'infelice
principessa abbia libertade in dono.

TURANDOT
Padre, anch'io velo chiedo. Io mi conosco
oggetto agli occhi suoi troppo crudele
da poter sofferir. L'amor, l'intera
confidanza, che in lei posi, fu vana.
L'odio chiuso tenea. Mai non potrebbe
Turandotte ad Adelma esser amica
più, che signora; ella nol crederia.
Libera vada, e se maggior favori
puote ottener, padre, a Calaf mio sposo,
ed alla figlia vostra li donate.

ALTOUM
In sì festevol giorno non misuro
le grazie mie. Le mie felicitadi
vo' anch'io da lei. La libertà non basti.
Abbia Adelma il suo regno, e scelga sposo,
che seco regni di prudenza ornato,
e non di cieca, e mal fondata audacia.

ADELMA
Signor... troppo confusa da' rimorsi...
oppressa dall'amor... de' benefizi
il peso non conosco. Il tempo forse
rischiarerà la mente.. Or sol di pianto
capace son, né raffrenar lo posso.

CALAF
Padre, in Pechin tu sei? Dove poss'io
ritrovarti, abbracciarti, e d'allegrezza
colmarti 'l sen?

TURANDOT
Presso di me è tuo padre;
a quest'ora gioisce. In faccia al mondo
non obbligarmi a palesar le mie
stravaganti opre; che dime medesma
meco arrossisco. Già tutto saprai.

ALTOUM
Timur è presso dite! Calaf t'allegra.
Quest'impero è già tuo. Timur gioisca.
Libero è 'l regno suo. Sappi, che 'l crudo
sultano di Carizmo, mal sofferto
per le sue tirannie, da' tuoi vassalli
fu trucidato. Un tuo fido ministro
tien per te 'l scettro, ed a' monarchi invia
secretamente lumi, e contrassegni
dite, del padre tuo, chiamando al trono
l'uno, o l'altro, se vive. In questo foglio
leggi, che tronche' son le sue sventure.
(gli dà un foglio)

CALAF (osservando il foglio)
O dei celesti, puote esser mai questo!
Turandotte... signor... Ma a che mi volgo
a' mortali in trasporto? I miei trasporti
sieno a voi, numi; a voi le mani innalzo,
voi benedico, e a voi chiedo sventure
maggiori ancor delle sofferte, a voi,
a voi, che contr'ogni pensiero umano
tutto cambiate, umil perdono io chiedo
de' miei lamenti, e, se talor la doglia
questa vita mortal disperar fece
d'una provida mano onnipossente,
a voi chiedo perdono, e l'error piango.

(Tutti gli astanti saran commossi e piangeranno)

TURANDOT
Nessun funesti più le nozze mie.
(in atto riflessivo)
Calaf per amor mio la vita arrischia.
Un ministro fedel morte non cura
per far felice il suo signor. Un altro
ministro, ch'esser puote re, riserva
pel suo monarca il trono. Un vecchio oppresso
vidi pel figlio apparecchiarsi a morte;
ed una donna, che qui meco tenni
amica più, che serva, mi tradisce.
Ciel, d'un abborrimento si ostinato,
che al sesso mascolino ebbi sin'ora,
delle mie crudeltà, perdon ti chiedo.
(si fa innanzi)
Sappi questo gentil popol de' maschi,
ch'io gli amo tutti. Al pentimento mio,
deh, qualche segno di perdon si faccia.