Guido Guerrini

CONCERTO PER PIANOFORTE
CORO D'UOMINI E ORCHESTRA

[Op. XXXIX].


Sul frontespizio dell'Edizione Breitkopf si legge:

Concerto - per un pianoforte principale e diversi strumenti a fiato e a percussione - aggiuntovi un coro finale per voci d'uomini a sei parti - le parole allemanne del poeta Oehlenschläger danese - la musica di Ferruccio Busoni da Empoli - Anno MCMIV - opera XXXIX.

Prima menzione del Concerto si ha nell'estate 1902. «Ho in progetto altri lavori per l'estate, primo fra essi il «Concerto per pianoforte » [...]
Al «Concerto» Busoni lavorò - con molte interruzioni - per tutta la seconda metà del 1902, tutto il 1903 e per metà del 1904. La parola «fine» fu segnata sulla partitura il 3 agosto.
Quest'opera fu scritta in un momento di singolare facilità creativa. Il primo tempo fu abbozzato in tre giorni; una settimana costò l'abbozzo del secondo; l'adagio, per il quale fu usato, in parte, materiale già destinato all'opera «Sigune» e musiche appartenenti ad un vecchio «Studio inedito, procedette pure speditamente, occupando un paio di settimane. Maggior fatica costò la «Tarantella» che il Maestro volle comporre «all'italiana», servendosi di canti folcloristici romani e napoletani e perfino di due canzoni dei nostri Bersaglieri. L'una: «E sì, e sì, e sì che la porteremo la piuma sul cappello, avanti al colonnello giuriam la fedeltà». L'altra: «La dis, la dis, la dis che l'è malata». ecc.
Anche l'ultimo tempo fu composto in pochi giorni, tanto che a metà d'agosto l'opera era interamente abbozzata, come risulta da un «Secondo abbozzo in esteso», datato 18 agosto 1903, e che si trova, insieme ad un primo, fra le carte del Maestro, tutte in possesso della Biblioteca di Stato di Berlino.
Tutto il resto del tempo, cioè ancora 18 mesi circa, furono presi dalla strumentazione e rifinitura del lavoro, che il Maestro dovette trascinare fra altre occupazioni d'ogni sorta e durante lunghi viaggi di concerti in Europa e in America.
Il Concerto fu eseguito per la prima volta il 17 novembre 1904 a Berlino, pianista l'autore, direttore d'orchestra il Dr. Muck. In Italia se ne ebbe la prima esecuzione a Bologna, nel 1906, pianista l'autore e direttore Bruno Mugellini. Altra memorabile esecuzione italiana (e crediamo sia la seconda) fu fatta da Vittorio Gui, durante il primo «Maggio Musicale Fiorentino, 1913», col pianista Baumgartner.
Il Concerto è edito dalla Casa Breitkopf e Härtel. La riduzione a due pianoforti è opera di Egon Petri.
Busoni immaginò la struttura formale e concettuale del Concerto sotto forma «visiva-pittorico-classica». (In seguito farà lo stesso per la «Fantasia contrappuntistica» e per altri lavori). Ecco una lettera a Gerda (21-22 luglio 1902, da Berlino), nella quale è anche schizzata una sintesi simbolica di ciò che il Maestro immagina nell'architettura del Concerto [...]:

«L'accluso disegno è crudo e goffo, ma non ridicolo. Ho un certo debole per esso. E l'idea del mio Concerto per pianoforte sotto aspetto di architettura, paesaggio e simboli. I tre edifici sono il primo, terzo e quinto Tempo. Fra di essi vi sono i due «vivaci» (Scherzo e Tarantella); il primo, rappresentato da un fiore e da un uccello miracolosi, capricci della natura; il secondo dal Vesuvio: e da alcuni cipressi. Il sole sorge al di sopra dell'«Entrata»; la porta dell'ultimo edificio è sigillata. La creatura alata, nel fondo, è presa dal Coro di Oehlenschläger e rappresenta il misticismo della natura...»
Il Concerto, infatti, è costituito da 5 tempi, ampiamente sviluppati, e così disposti: 1) Prologo e introito; 2) Pezzo giocoso; 3) Pezzo serioso; 4) All'italiana; 5) Cantico. Titoli e caratteri italiani, dunque, e italiane e originali le indicazioni interpretative: «Allegro dolce e solenne»; «Sempre patetico»; « Giovanescamente giocoso e forte»; «Scherzando senza allegrezza»; «Andando maestosamente»; «Senza irrequietudine alcuna»; «Non senza grazia»; «Irrompendo con strepito»; «A passo accelerato» ecc. [...]

Il Concerto, pur contenendo una parte pianistica di grandissimo rilievo, non ha i veri e propri attributi della composizione virtuosistica. Il pianoforte, fatte rare eccezioni, è parte integrante della compagine sinfonica; partecipa cioè dell'orchestra, spesse volte prestandole colori e sonorità nuovissime e interessanti, ma quasi mai godendo di una sua vita autonoma. (Tanto, è vero che rarissimamente al pianoforte sono affidati i temi).
Il pianismo, tecnicamente parlando, parte, è vero, dal virtuosismo lisztiano, ma poi e in più esso pone e risolve continuamente problemi meccanici di sommo interesse. Questo Concerto rappresenta anzi l'apice virtuosistico di Busoni autore ed esecutore, il quale si è compiaciuto, fissare in esso un'infinità di combinazioni tecniche, nate magari da formule già esistenti, ma portate a conseguenze estreme.
(Il precedente «Konzertstück» era più attaccato alla virtuosistica normale, meno vigoroso e sopratutto meno, ricco di linguaggio, personale. La successiva «Fantasia indiana» sarà più raffinata, più tersa, più leggera e ancor più personale e ricercata, ma, tecnicamente, assai meno importante). [...]

Nel 1912 - in un articolo intitolato Auto-recensione - apparso a Berlino sulla Rivista «Pan», Busoni ne dava questo interessante giudizio retrospettivo:

Il «Concerto per pianoforte, orchestra e coro d'uomini...» è un'opera che tenta di riassumere i risultati del periodo della mia prima maturità e che rappresenta la sua conclusione. Come ogni opera che sorge in quest'epoca dello sviluppo, è matura per esperienza personale e si basa sulla tradizione. Non indica certo il futuro, ma rappresenta il momento della sua nascita. Le proporzioni e i contrasti sono distribuiti con cura e, per il fatto che il piano era stabilito definitivamente prima che ne incominciassi l'esecuzione, non v'è nulla in essa dovuto al caso.

I. PROLOGO E INTROITO
ALLEGRO DOLCE E SOLENNE

I tre aggettivi che indicano l'interpretazione, ci danno anche il carattere di questo primo tempo, che ha un bel primo tema chiaro, solido, sostanzioso, di derivazione brahmsiana e nel quale s'inserisce un inciso di tre battute, di carattere quasi epico. Esposizione sintetica del materiale tematico che porta quasi subito al «solo». L'entrata del pianoforte è prettamente lisztiana. Sotto un movimento di accordi del pianoforte, l'orchestra presenta il tema allargato. Un breve passo di bravura, a modo di cadenza, ci porta a un secondo tema, più lirico del primo e di maggior respiro, presentato sempre dall'orchestra, e sul quale il pianoforte gioca virtuosisticamente.
Con gli sviluppi, anche la ritmica tematica si riscalda e si agita. I temi, uniti fra loro da un passo di crome puntate e semicrome, passano ai bassi, accrescendo drammaticità. L'agitazione aumenta anche nel pianoforte. Trombe e corni scandiscono, a tratti, la testa del II tema; poi, con passaggio quasi repentino, il pianoforte diviene lieve e trasparente, affinché un oboe e un flauto, in orchestra, possano alternarsi a cantare tenuissimamente il primo tema, a cui fanno eco, gli archi pizzicati, con lo stesso tema spezzato. Tutta questa parte centrale è delicata, morbida e lirica, nonostante i temi siano cantati dall'orchestra e spesso affidati agli strumenti gravi. [...]
Ancora un passo virtuosistico a cadenza, ancora un'acclamazione orchestrale, poi, sull'insistenza di accordi trillati, risorge il frammento epico udito al principio, che, con tutta naturalezza, s'innesta nel primo tema. Questo verrà a sua volta liberamente cantato - a moto contrario - dai clarinetti e dai flauti, finché i tre frammenti (testa del I tema, spunto eroico e II tema) chiuderanno il pezzo. (Da notare: in tutto questo tempo «mai una volta» al pianoforte è affidata una parte tematica; esso ha sempre e soltanto funzione decorativa).

II. PEZZO GIOIOSO

Ha carattere d'Intermezzo o di Scherzo. [...]. Una specie d'introduzione, su ritmo d'accordi fissi, porta in breve al «Giovanescamente giocoso e forte», in 6/8, con un bel tema maschio e quasi rude, presentato dall'orchestra ed alternato ad arabeschi. pianistici. Segue una pagina dì colore, affidata al pianoforte e in ritmo quasi di danza (diabolicamente difficile); poi l'orchestra irrompe risoluta nel tema in 6/8, allargandolo e sviluppandolo, alternativamente al pianoforte. Il primo tema si diffonde e si distende in espressione lirica («Più appassionato e agitato»), con atteggiamento quasi languoroso, mentre il pianoforte ondeggia arpeggiando.
L'orchestra scandisce ora un ritmo d'accompagnamento su cui il pianoforte adagia il II tema, che altro non è che lo spunto di una canzone popolare napoletana «Fenesta ca lucive» ma presentata a timidi frammenti, come se qualcuno la canticchiasse nel ricordo. Il tema s'integra, dialogando fra orchestra e pianoforte. Una breve cadenza solistica, poi si ritorna allo scherzando iniziale. La ripresa del I tema nella sua prima veste, è presentata ora in possente disputa col pianoforte.
Da questo momento il pezzo assume deciso aspetto virtuosistico (per la parte pianistica almeno), mentre l'orchestra si giova del I tema, ma contraffatto e a ritmi sempre più vivaci. Bellissimo il «giocoso con strepito» dove il pianoforte. solo, ha una sonorità assolutamente orchestrale. In orchestra di nuovo il primo tema liricizzato; poi, dopo una corona (quasi un estatico silenzio), il pianoforte dà finalmente il II tema integrale, ma nei suoni gravi, sottovoce, sognando. «Fenesta ca lucive», e lievemente, come da lungi, fa eco l'orchestra. Poi il canto si contorce, si deforma, quasi si dissolve. E la chiusa ritorna a «scherzo», agilissima, frizzante, effervescente.
Il tempo, cominciato in do, termina in re.

III. PEZZO SERIOSO

Questo è certamente, o vuol essere, il più importante dei cinque tempi, quello intorno: a cui gli altri quattro roteano come satelliti. Pezzo quadrato, solido, ampio, con temi sontuosi e distesi. Ingegnosissimo negli sviluppi tematici e nelle stesure armoniche; suggestivo nelle parti liriche. [...]
Il Tempo è diviso in quattro quadri: Introduzione; Prima pars; Altera pars; Ultima pars. Tono dominante: re bemolle.
L'Introduzione, in massima parte affidata all'orchestra, enuncia il I tema a cui si giunge attraverso un «quasi recitativo drammatico». [...] Questo 1º Tema, cromatico discendente, è [...] reso ancor più drammatico dall'austero andamento dei bassi. Dopo una breve divagazione più tenue del pianoforte, l'orchestra annuncia, a larghi frammenti, il II tema, che si rivelerà poi completo, affidato al pianoforte, nella Pars prima, «Andante quasi adagio», e si svolgerà, piano e dolce, su un pedale di re bemolle, sino all'entrata di un III tema sempre in re bemolle che sembra un'imitazione (o una satira?) di Chopin nei Preludi. L'orchestra riprende quindi il II tema, sopra un movimento più agitato dei bassi, il quale sotto un mareggiar del pianoforte, si stempera e si diluisce, dolce e lirico, sempre su pedale di re bemolle. (Anche questa tonalità dominante aiuta forse a richiamare certi atteggiamenti chopiniani). Al pianoforte ancora il II tema, ma bene adagiato su larghe armonie orchestrali e, attraverso una ascesa ed una discesa sonora, siamo all'Altera pars. Tonalità, do maggiore. Movimento d'ansia negli accordi ripetuti e gravi, e sopra, un tema quasi guerresco (certamente tedesco), con cui fa la sua entrata il pianoforte. Segue una parte più stanca che trae risorsa quasi esclusivamente dal virtuosismo, sotto cui nasce un canto orchestrale desunto in parte dall'Introduzione, in parte dalla coda dell'ultimo tema udito, in parte di nuovo conio. E si protrae così fino ad una entrata orchestrale del I tema (quello dell'Introduzione), di carattere assolutamente wagneriano.
Dobbiamo arrivare all'entrata del tema cromatico, affidato ai suoni gravi del pianoforte, per sentire risollevato l'interesse, che poggia sopratutto sulla saporosa armonizzazione e sull'ingegnosissimo gioco pianistico.
Il tema cromatico si ripresenta poi in orchestra con aspetto epico, e ci porta all'Ultima pars.
In questa viene ancor più esteso, con carattere tragico, il tema dell'«Andando maestosamente». È questo il vertice del pezzo, da cui ci si avvia all'epilogo. Una rievocazione generale dei temi, e poi, su un lungo, troppo lungo pedale di re bemolle, il tempo chiude.

IV. ALL'ITALIANA (Tarantella)

Sappiamo come questo vivacissimo tempo dovesse essere, in origine, il vero tempo di chiusa del Concerto. Giustificano questa interpretazione il carattere e la condotta del pezzo e la cadenza che vi è inserita verso la fine. (Sappiamo, d'altra parte, esistere anche una versione del Concerto senza il coro finale).
Il tempo si svolge, assai brillantemente, sul ritmo 6/8 della Tarantella e sullo spunto della canzone napoletana già udita («Fenesta ca lucive») trasformata a ritmo di canzone a ballo. Di veri e propri temi non si può parlare nemmeno in questo tempo, in quanto la musica vi è più che altro come ritmo e colore.
Molto originale e caratteristico, lo spunto che si svilupperà e trasformerà in seguito. Il ritmo si fa via via più vivace, senza perdere peraltro leggerezza e scorrevolezza, fino a giungere al «Tumultuoso» in un bel do maggiore aperto, franco e veramente mediterraneo. Un secondo tema a carattere lirico nasce all'«Un poco gravemente», in cui si potrebbe ravvisare anche in esso lo spunto di una canzone popolare italiana. (O non potrebbe essere una trasformazione, per allargamento e contorsione, del solito «Fenesta ca lucive»?) Ma è parentesi breve. La Tarantella riprende, sempre più animata. In essa si inserisce, d'improvviso, uno spunto binario, assai vivo, di origine (crediamo) bersaglieresca. E cosi, continuando i due temi e i due ritmi a sovrapporsi, giungiamo al mi maggiore, ove l'orchestra, quasi sguaiatamente, intona la già ricordata canzone popolare «La dis, la dis, la dis che l'è malada», per svilupparla poi in una vera e propria ridda, fino allo «stretto» in uno. A questo segue, dopo una brevissima sosta ritmica, la « stretta» in do maggiore «a passo a passo infuriando», in cui ballo e canzoni si rincorrono come in un'orgia, fino alla Cadenza. (Di cadenze, oltre a quella inserita nell'edizione, ne è stata composta dal Maestro una seconda, più sviluppata, pubblicata a parte). Dopo la Cadenza, con un « Prestissimo » siamo alla chiusa.
Tempo sgargiante, pieno di sole, quasi orgiastico e di diabolica difficoltà pianistica.

V. CANTICO

Non ha una tonalità decisa e questo è il suo maggior fascino. S'inizia, in mi minore, con lo stesso tema con cui comincia il Pezzo serioso, ma in 3/4. Subito dopo, altri spunti già uditi si ripresentano elaborati in sapienti contraffazioni, formando una specie di rievocazione. Il coro entra in mi maggiore, sopra una sequenza di scale melodiche ascendenti, e con carattere di Corale.
Le voci prendono poi un atteggiamento più decisamente melodico, con un largo tema piuttosto teutonico, mentre in orchestra continua la sequenza di scale or nei bassi or negli acuti.
Il crescendo è ottenuto - e ciò è da musicista vero - più dall'intensità «musicale» che dall'aumento di sonorità; finché in orchestra, nasce un canto contenuto, ma nobilissimo, affidato ai violoncelli, che s'innalza in perfetta parabola per ridiscendere poi e illanguidire. Siamo così al «Molto solenne». Il coro intona ora, sempre sui versi dell'Oehlenschläger, il tema dell'Altera pars (del Pezzo serioso), e crea un momento di vero, profondo pathos.
Un finale virtuosistico (o diciamolo pure, effettistico) chiude l'opera.

GUERRINI, pp. 243 ss.