Sergio Sablich

DIE BRAUTWAHL


RIASSUNTO

L'azione, suddivisa in tre atti e un epilogo, si svolge [...] a Berlino intorno al 1820. Il primo atto è a sua volta diviso in due parti. Esso si apre con un breve, animato preludio orchestrale che introduce brillantemente nell'atmosfera magica dell'opera, quasi evocando i sortilegi di cui si renderà capace Leonhard, il personaggio centrale e vero deus ex machina della complessa vicenda.

PRIMO ATTO


PRIMA PARTE

All'alzarsi del sipario la [prima] scena rappresenta la Zelte, un notissimo luogo di ritrovo all'aperto di Berlino (è opportuno notare che Busoni inizia la sua opera dal secondo capitolo di Hoffmann, «dove si racconta come, per via di un sigaro che non vuole ardere, si stabilì una corrispondenza di amorosi sensi tra due innamorati che già prima avevan battuto la testa l'uno contro l'altro»). Mentre un'orchestrina sulla scena intona la marcia degli ebrei dal Mosè di Rossini, il tronfio, dozzinale consigliere di commercio e ricco banchiere Voswinkel (baritono) è infatti seduto a un tavolino alle prese con un costoso sigaro che non vuol saperne di tirare. Interviene in suo aiuto Edmund Lehsen (tenore lirico), giovane pittore in cerca di fortuna (il suo cognome è l'anagramma di quello del famoso pittore romantico Hensel, cognato di Mendelssohn), che gli offre uno dei suoi sigari: estasiato, Voswinkel canta un grottesco Lied in onore dei piaceri di «natura, conversazione e tabacco», compiacendosi della sua sopradina musicalità (la caricatura è evidente: sappiamo quanto Busoni detestasse il «recht musikalisch» prettamente tedesco).
La [seconda] scena, viva e brillantissima, si distende in un Andante dolcemente espressivo allorché Voswinkel presenta Edmund a sua figlia Albertine (mezzosoprano), la quale si era già invaghita del giovane pittore vedendone i quadri. Mentre l'orchestrina del caffè riattacca suonando questa volta una Danza tedesca di Mozart, i due giovani cantano il loro amore in un fluente Duett-Lied («intensamente amoroso»), dal melodizzare ampio e arioso. Non è proprio un duetto d'amore, ma poco ci manca (segno che Busoni, all'occorrenza, sapeva mettere da parte le sue pur giustificabilissime teorie). Il tono della scena cambia quando Voswinkel, dopo aver accordato ad Edmund di accompagnare la figlia a passeggio, si allontana con loro canterellando allegramente la marcia rossiniana a suon di «la la la» e «pimpum pimpum».
La terza scena introduce, dopo un rapidissimo velato passaggio orchestrale, la figura dell'orafo Leonhard («baritono serio»: questa indicazione, come le altre, non soltanto vale a caratterizzare psicologicamente il personaggio, ma denota anche lo stile vocale della parte). Leonhard è un vecchio mago dal passato misterioso, che protegge Edmund vedendo in lui le doti del vero artista. Ora è preoccupato per la sua sorte: Voswinkel infatti ha promesso la figlia in sposa ad un suo ex compagno di scuola, l'anziano, pedante, ridicoIo segretario di cancelleria Dionysius Thusman (tenore buffo). In un lungo monologo Leonhard si prepara a intervenire, affinché l'amore e l'arte trionfino.
La quarta scena ci trasporta ai piedi della vecchia torre, vicino al palazzo municipale. È notte, la notte dell'equinozio d'autunno. Giunge di gran fretta Thusman, grottescamente accompagnato da figurazioni «staccate» di legni e ottoni («Allegretto comodo borghesemente» indica la didascalia). Leonhard lo blocca e dopo un breve, sapido dialogo, nel momento in cui scoccano solennemente le undici, fa apparire alla finestra della torre l'immagine di Albertine, annunciando che colei sarà al prossimo equinozio di primavera la più felice sposa di Berlino (e qui la musica si apre a squarci lirici di intensa bellezza). Thusman, fuori di sé dalla gioia, seppur riluttante si fa trascinare via da Leonhard per festeggiare la profezia in una taverna.

SECONDA PARTE

La seconda parte del primo atto compie un passo indietro nella vicenda narrata da Hoffmann, rifacendosi al primo capitolo che tratta di «fidanzati, matrimoni, segretari di cancelleria, giostre, processi di streghe, diavoli, maghi e altre piacevoli cose». La presentazione della figura di Manasse (basso) avviene di nuovo attraverso un interludio orchestrale («Andante sostenuto in modo giudaico») che conta fra le pagine più riuscite dell'opera. Busoni stesso la commentò come esempio del suo modo di comporre, di come cioè procedesse per conferire ad ogni elemento della composizione il suo giusto peso caratterizzante nell'economia drammatico-musicale. [...] Manasse è contraddistinto da un tenebroso motivo a ottave raddoppiate (corni, clarinetto, controfagotto e contrabbassi) da cui si leva una lamentevole e strascicata melodia ebraica imperniata sull'intervallo caratteristico di seconda eccedente: armonicamente, l'ambiguità è massima (il mi minore emerge come possibile centro di gravitazione tonale, senza però essere univocamente affermato), l'atmosfera timbrica, livida e spettrale, prepara inquietamente gli avvenimenti che seguiranno.
Raggiunto Manasse nell'osteria, Leonhard e Thusman danno vita ad una movimentatissima scena a tre al culmine della quale Leonhard racconta, in un pezzo chiuso in forma di ballata, «L'orribile storia dell'ebreo Lippold »: come cioè Manasse altri non sia che un falsario e mago del Cinquecento, Lippold, bruciato sul rogo ma salvato in punto di morte da Satana. Thusman, un po' impressionato, cerca di riportare il discorso su Albertine: ma Leonhard inopinatamente deride le sue pretese, e per spaventarlo trasforma il proprio volto nel muso di una volpe. Manasse, punto sul vivo in quanto egli stesso mago, risponde trasformando in sonanti ducati d'oro le fette di un enorme ravanello; ma Leonhard para il colpo e li dissolve in scintille. Mentre il gioco di prestigio si fa sempre più incalzante, Thusman si allontana raccapricciato congedandosi con uno stridulo, affettato convenevole, fra il riso di Leonhard e il furore impotente di Manasse. Con questa prima vera e propria scena di magia, Busoni trasforma in un piccolo capolavoro musicale uno dei cardini fondamentali della sua estetica teatrale.

SECONDO ATTO


PRIMA PARTE

Il secondo atto, anch'esso diviso in due parti (l'azione si svolge tutta in casa di Voswinkel), si apre con il vertiginoso «Spuk- und Wirbelwalzer» (Valzer dello spettro e del turbine), brano di travolgente virtuosismo strumentale che si ricollega, quasi prolungandone l'effetto, alla grande scena precedente. Segue ad esso, per contrasto, una marcia breve e solenne, la cui base ritmica riudremo più tardi nell'«Inverosimile racconto del cancelliere Thusman», momento centrale di questo primo quadro. Siamo grosso modo al terzo capitolo del racconto hoffmanniano, «che contiene connotati del cancelliere Thusman, e parimente il motivo per cui fu costretto a scendere dal cavallo del Grande Elettore, e così pure altre cose degne di nota». Thusman, pallido e sconvolto, si è recato da Voswinkel per narrargli i terribili avvenimenti di cui è stato testimone: il suo racconto è un'altra pagina quasi a se stante, tripartita («Marcia, Valzer e Marcia»), grandiosamente sostenuta dall'orchestra ma tenuta tutta, nel canto, «sottovoce», come se il racconto provenisse da un mondo lontano, estraneo. Voswinkel dapprima deride Thusman; poi, incredulo e spazientito dal suo imperterrito vaneggiare, lo insulta e lo minaccia. Proprio in quell'istante sopraggiunge Manasse, che impressiona sinistramente i due. Tutta la scena respira ora un'atmosfera pesante, allucinata (tematicamente, viene qui sviluppato con grande efficacia rappresentativa il materiale dell'interludio di Manasse al primo atto). Scopo della venuta dell'ebreo è annunciare a Voswinkel la prossima visita di un suo ricchissimo e nobile nipote, il barone Bensch (tenore grottesco), perdutamente innamorato di Albertine. Voswinkel è sorpreso, ma accetta di riceverlo. Solo dopo l'uscita di Manasse il tono si rasserena nuovamente: Voswinkel e Thusman si riconciliano, decisi ad affrettare le nozze.

SECONDA PARTE

La seconda parte dell'atto secondo è ispirata al quarto capitolo del racconto, «che tratta di ritratti, di volti verdi, di topi che saltano e di maledizioni ebraiche». Albertine, in atto di posare per un ritratto di Edmund, canta accompagnandosi al clavicembalo. In un duetto di mirabile castità armonica e melodica, che ricorda quello dei due giovani innamorati del Falstaff:, i due rievocano il loro primo incontro e si giurano eterno amore. Entra bruscamente Thusman, che li sorprende abbracciati. Il colpo di scena, sottolineato dalla musica, ci trasporta come per incanto in una situazione da tipica opera buffa (e con quale prontezza e abilità Busoni ci si adegua nella musica): ovverosia, ire di Thusman, sorpresa di Albertine nell'apprendere di esser stata promessa a un altro, nobile furore di Edmund, il quale, fuori di sé, allunga due belle pennellate di un verde indelebile sulla faccia di Thusman e lo spinge via, facendolo finire fra le braccia di Voswinkel, accorso a tanto strepito. Ne nascerebbe una zuffa generale se non sopraggiungesse all'improvviso Leonhard a sedare i bollenti spiriti. Il Quintetto in cui culmina questa scena e in cui ogni personaggio canta il suo stato d'animo e riafferma risolutamente le proprie intenzioni, proprio come in un concertato classico, è soltanto una pausa che riaccende, dopo la stasi e la ricapitolazione dei sentimenti in gioco, il corso dell'azione. Il barone Bensch, sopravvenuto in compagnia di Manasse, dichiarandosi vorrebbe baciare immediatamente Albertine. Leonhard si frappone fra i due, poi batte tre volte le mani: Thusman e Bensch cominciano a librarsi su e giù per la scena e a danzare al ritmo di uno sfrenato Galop. Imbestialito dai trucchi del rivale, Manasse scaglia una tremenda maledizione su Voswinkel, che egli crede alleato di Leonhard (Busoni riecheggia qui parodisticamente la famosa maledizione di Alberich, mutuandone perfino la cruciale seconda minore discendente sulle parole «Weh' dir!»); un coro invisibile dietro la scena ripete la formula della maledizione come un'eco misteriosa e ossessiva, perdendosi a poco a poco nel nulla. iL Leonhard a raccoglierne gli ultimi sospiri: invita i due giovani amanti a non disperare e a separarsi per il momento. L'atto si chiude così sulle rasserenanti parole di Leonhard, cullate al ritmo di un malinconico valzer lento.

TERZO ATTO


PRIMA PARTE

Anche il terzo atto è diviso in due quadri: lo stagno dei ranocchi al Tiergarten di Berlino e la stanza del secondo atto in casa Voswinkel. Rispetto al racconto di Hoffmann, ci troviamo al capitolo quinto, «dove il benigno lettore apprenderà che cosa è il Dales e come l'orafo salva il cancelliere Thusman da morte ignominiosa e conforta lo sconsolato consigliere». Del «Dales», evidentemente inutilizzabile in un'opera musicale, in realtà non si tratta (esso comunque «altro non è che la miseria che, quando ha fatto il nido in qualche posto, non se ne va più e continua a crescere sempre», come ci informa Hoffmann); siamo così subito presso lo stagno dei ranocchi. Thusman, disperato, medita di annegarsi. Si ode in lontananza, dietro la scena, il suono della cornetta del postiglione, misterioso e vivace («alla maniera tedesca», precisa Busoni: l'intento di parodiare uno dei modi più inflazionati della sensibilità romantica tedesca, che nel corno del postiglione, da Schubert giù giù fino a Mahler, aveva trovato il simbolo, l'evocazione di tutto un mondo poetico identificato nel viaggiare, nel correre per lande sperdute verso mète misteriose, è evidente; ma anche quello di rendergli omaggio, giacché al di là di ciò e proprio con questo episodio il Preludio si apre a squarci di autentica poesia notturna). In un patetico monologo, Thusman piange le sue sventure, dichiarandosi pronto a darsi una «morte verde». Mentre sta per lanciarsi nelle acque, appare Leonhard e lo trattiene. Thusman, ancor più umiliato e rassegnato, vorrebbe morire ugualmente; ma Leonhard gli passa un fazzoletto sul volto e come per magia il color verde sparisce. Scampato il pericolo, Thusman non tarda a tornare l'uomo di prima, proprio come Falstaff, e ribadisce in una grottesca ballata «in tempo di polacca» i suoi insani propositi di matrimonio. Invano Leonhard gli consiglia prudenza. L'appello della fanfara del postiglione chiude il quadro, nella sua ben caratterizzata concisione forse il più perfetto dell'opera.

SECONDA PARTE

Un altro Preludio a sipario calato («tempestoso e con ira») introduce la seconda parte dell'ultimo atto. Voswinkel, solo e di pessimo umore, rievoca in un recitativo accompagnato (un'altra forma antica che Busoni utilizza con estrema disinvoltura) le recenti, strane storie di magia e di anatemi. Entra Leonhard per annunciare che oscure nubi si vanno addensando sul suo capo a causa dell'intricata disputa matrimoniale. In un crescendo di grande efficacia drammatica, Leonhard spiega i pericoli cui va incontro il consigliere (ciò avviene in tre sezioni distinte in forma chiusa, ognuna segnalata dalle didascalie «Primo pericolo», «Secondo pericolo», «Terzo pericolo»: altra straordinaria definizione formale che anticipa moduli espressivi che saranno tipici, nel teatro del Novecento, di Berg e Dallapiccola). Infatti, Edmund potrebbe esporre in una vetrina della banca il ritratto del banchiere affranto per un disastro finanziario e con le tasche bucate; Thusman lo potrebbe accusare pubblicamente di slealtà e di tradimento; l'usuraio Manasse, se Bensch venisse rifiutato, sarebbe pronto a rovinarlo per sempre. Ogni volta l'atterrito Voswinkel si dichiara disposto a cedere; ma l'idea di Leonhard è un'altra: come nel Mercante di Venezia di Shakespeare, sarà la sorte a decidere, cosi nessuno potrà trovare da ridire. Ognuno dei tre sceglierà uno scrigno, chi troverà in esso il ritratto di Albertine sarà suo sposo. Un «agitato» dell'orchestra annuncia l'entrata di Albertine, in ansia per la prova che dovrà affrontare e per la sua sorte di sposa sorteggiata. Nel suo lungo monologo a mezza strada fra il recitativo e l'arioso, sentiamo l'angoscia di Pamina, il nobile soffio delle grandi arie antiche. Leonhard la consola con dolci e solenni parole, come Sarastro; poi l'addormenta in un sogno ipnotico, evocando una visione in cui appare l'interno di una chiesa italiana, dove Edmund è intento a dipingere una grande pala d'altare. Alle parole «Così devi amarlo, cosi sognarlo!», risuona in orchestra il tema d'amore di Albertine, ora quasi un Leitmotiv di tipo wagneriano. La visione si rischiara fíno a raggiungere uno splendore immenso; in lontananza si odono sommessi suoni d'organo e un coro invisibile intona mistici accenti: «Dens et ars et natura vera sunt Trinitas. Nulla religio superior. Vita omnia comprehendit». Questo luminoso e stupendo episodio finale, suggellato dalle parole di Leonhard che inneggiano alla superiore fedeltà e alla santa libertà del Genio, è non solo un'aggiunta che non figura in Hoffmann, ma fu anche la prima pagina musicale concepita da Busoni, la molla, per così dire, che mise in moto la composizione: come ha scritto Giovanni Ugolini, esso rappresenta «il credo artistico di Busoni e l'autobiografico accostamento che il musicista - impegnato qui in una delle sue creazioni più potenti - intende realizzare fra se stesso e il giovane pittore».

EPILOGO

E siamo così all'Epilogo, che corrisponde al sesto e ultimo capitolo del racconto, «dove si tratta del modo come avvenne il sorteggio della sposa». Qui la qualità dell'invenzione busoniana si abbassa notevolmente, appagandosi quasi soltanto di tinte caricaturali e parodistiche, sia nelle entrate dei tre pretendenti, ognuna sottolineata dai temi che li avevano contraddistinti nel corso dell'azione, sia nella prolissa tirata di Voswinkel (che è prassi comune tagliare abbondantemente), sia nella bizzarra caricatura di Albertine in abito da sposa, con le comiche esclamazioni degli spasimanti. Maggior lucidità ritroviamo nella scena del sorteggio, dove ogni personaggio riceve una propria, inconfondibile caratterizzazione musicale: Thusman per mezzo di un «Andante mistico» di ridicola solennità, accompagnato prima da un «Andantino» monotono e strascicato, poi da uno sfigurato valzer viennese (ma non frizza molto per la verità la polemica implicita nell'oggetto da lui sorteggiato, il libro magico Musibalischer Krieg di Johann Beer, «dove è descritto il conflitto fra canto e armonia»: sappiamo quanto Busoni detestasse le «guerre musicali», ma di qui a farne oggetto di polemica in un'opera il passo è lungo, e non vincente). Bensch, invece, al quale tocca una borsa vuota per il cui possesso si accapiglia con Manasse, è felicemente descritto da un «Allegretto assai sostenuto e baroccamente», su una melodia orientaleggiante del clarinetto. Edmund, infine, l'immancabile trionfatore, ha gli accenti vigorosi di una cantilena del violoncello su accordi perfetti e armonie diatoniche, anche se con inedite combinazioni politonali fra solisti, coro e orchestra. Anche la coda dell'Epilogo lascia perplessi: dopo un brioso e scintillante «Scherzo a quattro» (Leonhard, Voswintel, Edmund, Albertine), nel quale i personaggi traggono secondo il buon uso antico la morale della favola, Leonhard afferra improvvisamente il braccio di Edmund e impone al suo pupillo di recarsi con lui a Roma a perfezionare la sua arte: «Nach Rom, nach Rom!», ripete fra tonanti squilli di tromba il coro, proprio come nel finale del secondo atto del Tannhauser. Dopo di che un rapido sipario cala sulla scena, riempita appena da schegge motiviche della danza vorticosa del Preludio al primo atto quasi a stabilire simbolicamente un ritorno all'inizio. Dal racconto di Hoffmann apprendiamo che a Roma Edmund dimenticherà Albertine, mentre quest'ultima finirà per cedere alla corte di altri più giovani e meno inconcludenti spasimanti.

Sergio Sablich, «Busoni», Torino, EDT, 1982, pp. 194-200.