Ferruccio Busoni

Per l'interpretazione

di «Arlecchino»
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Da una lettera privata a Margarete Klinckerfuss dell'estate 1918.
Prima di tutto voglio dirLe quanto mi ha fatto bene leggere che i miei piccoli lavori teatrali non L'hanno lasciata indifferente. La comprensione di un solo amico ripaga abbondantemente di tanta incomprensione generale. Si rimprovera al mio «Arlecchino» d'esser sarcastico e disumano; invece debbo questa creazione all'impulso diametralmente opposto: alla pietà verso gli uomini che si rendono vicendevolmente la vita diflicile; più difficile di quel che dovrebbe e potrebbe essere: col loro egoismo, coi loro pregiudizi radicati nel sangue, con la forma che oppongono al sentimento! Per questo nell'«Arlecchino» (e questa intenzione è realizzata) si arriva solo a un riso doloroso. Persino il personaggio più innocuo, il Cavaliere, è ironizzato in parte con amarezza. Le parole del Protagonista sono le mie proprie confessioni. L'Abate esprime umana indulgenza e tolleranza. Il sarto Matteo è l'idealista ingannato, colui che non sospetta di nulla. Colombina: la donna. È il libretto d'opera più morale dopo quello del «Flauto magico», che io ammiro altamente.
Ferruccio BUSONI, «Lo sguardo lieto. Tutti gli scritti sulla musica e le arti», a cura di Fedele d'Amico, Milano 1977, p. 186.