FERRUCCIO BUSONI

ARLECCHINO
RIASSUNTO E FLORILEGIO

LIBRETTO

nella traduzione italiana
di Bruno Bruni
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Capriccio teatrale in un atto su libretto
del compositore. Prima rappresentazione:
Zurigo, Stadttheater, 11 maggio 1917.

Personaggi:
Ser Matteo del Sarto, baritono;
L'Abbate Cospicuo, baritono;
Il Dottor Bombasto, basso;
Arlecchino, parte parlata;
Leandro, tenore;
Annunziata, parte muta;
Colombina, mezzosoprano.

 


ARLECCHINERIA
Tristano Martinelli
Composition de Rhétorique,
c. 1601


L'azione è divisa in quattro tempi che rappresentano
Arlecchino nei suoi quatro aspetti.

 

PRIMO TEMPO

 


A sipario chiuso Arlecchino recita il seguente Prologo:

«Nè per Dei nè fanciulli e quest'azione,
sol si rivolge al cuore che l'intende;
non ha bisogno d'una spiegazione
però che il meglio vi si sottintende.
I personaggi della tradizione
rivedrete con lor virtù e lor mende
in un vivace progredir di scene
all'antica tagliate e spesso amene.

Un uom tradito di sua sorte ignaro,
rivali in lotta per un bel visino,
un duello cruento ed un somaro
che salva poi baracca e burattino,
parole argute e qualche detto amaro,
l'astuzia e la baldanza d'Arlecchino:
del picciol mondo e qui dipinto il volto.
Voi mi direte se l'ho bene colto.

[Al direttore d'orchestra ] Maestro? ...»

L'azione si svolge in una via della città alta di Bergamo. Al levarsi del sipario, Ser Matteo, sarto del paese, è seduto davanti alla propria casa e mentre cuce un mantello legge a voce alta, dandosi arie di saccente, alcuni versi della «Divina Commedia», tratti dal canto di Paolo e Francesca. Egli è a tal punto intento nella lettura da non accorgersi che Arlecchino corteggia sua moglie Annunziata e che i due si stanno baciano, affacciati alla finestra della sua casa.


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Arlecchino, per allontanare l'incomodo marito, finge di essere l'arcangelo Gabriele apparso per annunciargli l'arrivo imminente di sanguinarie orde barbariche. Matteo, spaventato, si ritira in casa, lasciando nelle mani dell'astuta maschera la chiave di casa: sarà così per lui più facile incontrarsi con Annunziata ogni volta che vorrà. Dopo aver rinchiuso nella sua casa Matteo se ne va orgoglioso:

«Vittoria, bottino e un prigioniero.»

Giungono poco dopo il Dottor Bombasto e l'Abbate Cospicuo. Essi discutono animatamente: l'Abate ringrazia il medico di mandare all'altro mondo tanta gente; il medico deride l'abate per non aver ancora ottenuta la porpora, se non sul suo volto congestionato. Ma poi si trovano d'accordo nell'inneggiare al vino di Chianti e alla Toscana. E l'autore ne trae pretesto per rievocare la sua Terra:


«Toscana!
Qual virtù, qual vigore infoncle
quel vino portentoso.
Ride la terra,
canta un inno
la natura.
Mi par di rinascer più degno, più felice.
Credete a me:
in questo vino io sento
la presenza del Signore!»


Poi chiamano a voce alta il sarto, stupiti di vedere sbarrate le imposte della sua casa. Al loro richiamo il sarto apre cautamente la finestra e intima ai due di mettersi in salvo prima dell'arrivo delle orde barbariche:


«Han sul capo corna torte,
hanno il ghigno della morte
e si trovano alle porte. [...]
La lor voce mette pena,
è il lamento d'una iena,
il lor sangue una cancrena.
Portan lutto e pestilenza,
sgozzano, squartano,
alle donne fan violenza.»

I due stanno al gioco e fingono di preoccuparsi delle loro figliole invocandole per nome; 'disperati' si sollecitano reciprocamente a far testamento. Poi assicurano il sarto dicendogli che si sarebbero recati a chiedere informazioni più precise al borgomastro. Ser Matteo frattanto si ritira e gli altri due ridono di gusto alle sue spalle. Vedendo la porta dell'osteria, vi entrano di pieno accordo: «Diamo un esempio fecondo di concordia perfetta alle discorde genti.»
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SECONDO TEMPO

 


Arlecchino che si è procurato un duplicato della chiave, seguito da tre false guardie, giunge sotto la casa del sarto e, fingendosi il capitano incaricato del reclutamento, avvisa Ser Matteo che deve immediatamente arruolarsi per difendere il paese contro i barbari.

«Io sono il capitano incaricato del reclutamento. Il tuo nome spicca sulla mia lista. Ringrazia per l'onore! Porta teco tutti i tuoi schioppi, cannoni, spade, cavalli, muli o elefanti. Ti do' tre minuti di tempo per mettere a posto la tua roba. E non fiatare. Spicciati!»

Il sarto, rassegnato, si prepara e tutto coperto d'armi ridicole, si pone agli ordini di Arlecchino, domandando soltanto di poter prendere con sé il suo Dante. Arlecchino accondiscende:

«Non sarà detto mai
che un capitan
all'arte mosse guerra.
Segui questi intrepidi
dove ti guidano.
Io vigilo intanto la casa. Via!»




Cézanne - Arlecchino

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Sul ritmo caricaturale di una Marcia Funebre, il 'guerriero' si allontana scortato dai tre sbirri.

«Per me si va nella città dolente,
per me si va fra la perduta gente,»

recita affranto.

Arlecchino, con la scusa di vigilare la casa, si accinge ad entrare nel suo interno con la chiave in suo possesso:

«Ed ora il resto. Non bisogna mai fare le cose a metà. Meglio non incominciare che interrompere.
[tenta di aprire]
La chiave è ancor nuova. Chiave nuova e chiave arrugginita lavoran male entrambe. Ed ora...»
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TERZO TEMPO 

Giunge in quel momento Colombina, moglie di Arlecchino, per chiedere al capitano giustizia nei confronti di suo marito, da lei definito un cattivo soggetto. Colombina riconosce nel falso capitano il marito, la donna dà sfogo alla sua ira mostrandosi però pronta a perdonare il marito se questi mette la testa a partito. Arlecchino ascolta con fastidio le accuse della moglie:

«Madama, la fedeltà è la frattura della gamba al primo passo, l'ingiustizia a danno di terzi, l'arco che scocca una sola freccia, la nave che si ancora in un solo porto, il sole che illumina un solo pianeta. Io non sono un suo amico e lo dimostro con le parole e coi fatti a chiunque, e alla luce del giorno. Per questo mi sento con la coscienza a posto e dormo il mio sonno innocente come un bambino. Dormiste bene, Madama?»

Approfittando di un momento di distrazione di Colombina, riesce ad eclissarsi lasciando la donna sola e disperata:

«È scappato. Gli uomini... che vigliacchi! Certo in questa casa egli voleva carpire qualche colombella, il ladro. Altrimenti, che se ne stava a far davanti all'uscio? Voglio sapere...»

Entra in scena Leandro, cavaliere non più giovane né avvenente: egli dichiara il suo amore a Colombina e manifesta il desiderio di sposarla. Il duetto d'amore che segue (Colombina-Leandro) è una feroce satira ai convenzionalismi del melodramma ottocentesco. (Leandro, anche nel testo originale, è il solo personaggio che parla italiano). La scena è una parodia del «pezzo d'opera» ed anche il testo è caricaturale:

«Contro l'empio traditore
la vendetta compirò,
gioia mia, per il tuo amore
il malvagio ucciderò.»

Ma l'idillio viene interrotto dall'improvvisa entrata di Arlecchino il quale, fingendosi offeso nella sua veste di marito, conduce galantemente la moglie nella locanda, poi sfida Leandro a duello. Ma al primo assalto della maschera il cavaliere cade a terra come morto e al suo rivale spaventato non resta che fuggire nascondendosi nella casa del sarto.



Arlequin Magicien et Barbier - a very fine etching by
Peter Tanje (1706-1761) after a picture by Cornelis
Troost, published by P.Fouquet in Amsterdam, 1758.


QUARTO TEMPO 

 
Escono dall'osteria il Dottore e l'Abate. Piuttosto brilli, si sostengono a vicenda. Li segue poco dopo anche Colombina, richiamata dal grido lanciato da Arlecchino, e i due ne approfittano per appendersi al suo braccio e meglio trovare in lei il compromesso equilibrio:


DOTTORE
S'annuncia un cataclisma,
la terra oscilla.
Date il braccio,
così vedrò già meglio.

ABBATE
Il naviglio abbandona il porto,
io sono il lume di prua,
e la graziosa damina
sarà la stella mattutina.
[si mettono in moto]

DOTTORE
Andiamo dal borgomastro.
Già! I barbari!...
Nel vino han messo un tossico,
per questo...

ABBATE
Fermi, uno scoglio. Virate!

DOTTORE
[incespica contro il corpo di Leandro
e gli cade sopra. Si rialza faticosamente]

Quest'uomo è morto.



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Il corpo del cavaliere appare infatti inanimato agli occhi del dottore e dell'abate. Colombina lancia un grido e si getta sul corpo dell'amato, che non dà segno di vita. Tutte le finestre, frattanto, vanno schiudendosi e popolandosi di facce curiose. Mentre il Dottore e l'Abate sono indecisi sul da farsi, Colombina annuncia:

«Non è morto quest'uomo!»

Dopo breve disputa, viene deciso che il morto non è morto e che occorre chiedere aiuto. Bussano alla casa di Matteo, ma nessuno risponde; chiedono aiuto, una ad una, alle persone che sono affacciate alle finestre, ma le teste una ad una si ritraggono, le persiane si richiudono. Commenta l'Abate:
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«Decisamente l'uomo
propende ad occultare
la sua innata bontà.
Ma in suo difetto
v'è la provvidenza.
Ed ecco, ch'essa arriva
in forma d'un asino.»

Dalla svolta della via compare infatti un somaro, con carretto e carrettiere. Ma al momento in cui si tenta di caricarvi sopra il ferito, questi rinviene, si leva e partecipa senz'altro al Quartetto, per riprendere poi il suo ruolo di moribondo, appena terminato il pezzo. Caricatolo infine sul carretto, e seguìto da Colombina, dall'Abate e dal Dottore, il Corteo si allontana sul ritmo di una Marcia Funebre.
Arlecchino, che dall'abbaino della casa di Matteo ha osservato la scena, augura cinicamente ai due amanti:

Buon viaggio, felici nozze
e figli maschi!
Spero che non dimenticherete
d'invitarmi a nozze.
[sale sul tetto]
Splendi, mia stella!
[allarga le braccia come
per abbracciare il mondo].
Il mondo è mio,
è giovine la terra,
l'amore è libero.
[Con gran disprezzo]
Voi arlecchini!

Poi scivola giù agilmente per la grondaia, apre la porta, dà il braccio alla bella che lo attendeva all'interno e si allontana in fretta con lei.




Ritorna poco dopo in scena Ser Matteo che si domanda che cosa sia successo e si compiace, trovando la casa silenziosa e tranquilla, che la pace sia tornata. La guerra è finita ed egli può deporre le armi. Ma, dopo aver letto un biglietto della moglie:

«Mi sono recata a udire i vespri. Ritornerò appena potrò. La tua Annunziata.»

nel suo cervello la situazione ritorna confusa. Nell'attesa vana della moglie, il sarto rimette fuori il suo banchetto da lavoro, vi apre sopra la «Divina Commedia», e vi si siede dinanzi, come al solito.

«È il quinto canto... Qui...
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse...»

Cala ora un siparietto dinanzi al quale sfilano tutti i personaggi della Commedia, inchinandosi ciascuno al pubblico. Ultimi a sfilare sono Arlecchino e Colombina. Arlecchino dice:

«Signori e signore, ho il grande piacere di presentarvi la mia nuova sposa che finora, come moglie del sarto, non aveva avuto il modo di spiegare innanzi a voi i suoi fascini. Ammiratela ora in tutta la sua bellezza... La sposa di prima mano ha ora contratto, a dovuta distanza, una nuova unione. [...] Ed ora lascio alle signore di stillarne la morale Non si ripete tutto nel giro eterno ed immutabile della vita? Chi vince? Chi soccombe? Chi sa farsi valere alla fine? Solo colui che con le proprie forze seguendo i saggerimenti del cuore e con vigile mentè sceglie la via diritta; chi si accontenta di restare fedele a sé stesso, chi anche in vesti rattoppate serba la sua interezza e non si inchina a nessuno, come ho potuto farne esperienza io stesso. Lascio ora agli uomini di estrarre la radice della verità, e specialmente ai critici, miei benevoli giudici. Signori e signore, buona notte.»

Quando, dopo l'applauso, si riapre il siparietto, si vede ser Matteo, sempre assiso al suo deschetto, che cuce, legge e attende...