Sergio Sablich

Analisi di «Arlecchino»

QUARTO TEMPO

8. Monologo
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Sarà il successivo monologo, che il protagonista recita dopo essersi tolto la maschera, a rendere il senso di questa esclamazione; ma prima, quasi a voler ricomporre simmetricamente la situazione iniziale dell'opera, Busoni ripresenta in un «Monologo», questa volta interamente cantato, Ser Matteo solo, affranto, sconcertato, intento a meditare, mentre riprende il lavoro, sul suo amato Dante: estremo tocco di umanità, privo di ogni scoria sentimentale, per un personaggio sconfitto e incompreso nella sua bonaria semplicità.
Mentre sulla sua vicenda cala un pudico, malinconico siparietto, gli altri personaggi della storia - Arlecchino con la sua nuova fiamma Annunziata, Leandro e Colombina, l'Abate e il Dottore, e infine l'«Asinus providentialis», che come fanno gli altri si inchina rispettosamente per ringraziare il pubblico - si congedano in una cerimoniosa «Processione e Danza» finale sul settecentesco «Tempo di minuetto sostenut » già apparso in precedenza.
Terminata la recita, poche vivaci battute, tolte dal tema di Arlecchino, preparano l'ultima chiacchierata del protagonista; dopo la quale l'atto si chiude con un Presto sbeffeggiante e istrionico, quasi a voler così controbilanciare il peso serioso della «morale della favola». Né è ancor tutto. Quando il sipario si leva sugli applausi, appare Ser Matteo «che cuce, legge, attende» presso la sua lampada: ultimo geniale colpo di teatro che lascia virtualmente aperto il significato finale dell'opera.
Sergio SABLICH, «Busoni», Torino, EDT, 1982, pp. 212-213
 

CONSIDERAZIONI FINALI