Sergio Sablich

Analisi di «Arlecchino»

TERZO TEMPO

6. Scena a due, poi a tre
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Mentre Arlecchino le oppone brutalmente la sua filosofia dell'amore libero e Colombina tenta, invano, di riconquistarlo con una tenera «Arietta», una voce interna annuncia l'arrivo del Cavaliere Leandro (tenore). La sua «Romanza», preludio alla grande «Scena a due, poi a tre» che chiude il terzo tempo, ha gli accenti svenevoli del tenore d'opera vecchio stampo (egli si presenta, manco a dirlo, come un appassionato trovatore, accompagnandosi sul liuto).
La parodia, non troppo garbata ma rivelatrice di una conoscenza pressoché perfetta delle convenzioni operistiche prese di mira, cede a poco a poco ad accenti più teneri, quasi nostalgici. Dopo che il Cavaliere, sguainando la spada, ha intonato melodrammaticamente, e naturalmente in italiano, una quartina epica:
 

«Di quell'empio traditore
la vendetta compierò;
Gioia mia, per il tuo amore,
il fellon truciderò.»

 

il duettino d'amore fra Leandro e Colombina ha momenti di ammaliante incanto (con quanta dolce ironia il canto in la bemolle maggiore dei due evoca, fin nelle parole, il duetto del Tristano): sono, questi, attimi fugaci sospesi fra verità e menzogna, ma indicativi dell'ambiguità e della complessità, oltre l'apparente leggerezza, dell'operazione busoniana.
L'arrivo di Arlecchino coincide proprio con l'apice della Stretta, ossia con il momento in cui il tenore si appresta a lanciare l'acuto finale. L'atmosfera parodistica è di nuovo accentuata, ma si vale di soluzioni musicali esemplarmente concise: al «Moderato tragico» che segna il brusco risveglio alla realtà dell'amoroso Leandro, fa seguito la ripresa dell'«Andantino» del duetto precedente, allorché Arlecchino conduce via con sé Colombina; una rapida scala ascendente, figurazione quasi gestuale del protagonista, interrotta improvvisamente da una scabra cadenza perfetta, prepara lo svolgersi dell'immancabile duello: Arlecchino colpisce Leandro, che cade come morto.
Sergio SABLICH, «Busoni», Torino, EDT, 1982, p. 212