ARLECCHINO

NEL CORSO DEI SECOLI

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Picasso: La famiglia di Arlecchino
Nella illustre famiglia delle maschere della Commedia dell'Arte, Arlecchino è la più caratteristica e al tempo stesso la più enigmatica e complessa. Benché nato a Bergamo, la città del suo compare Brighella, il suo nome deriva dal medioevo francese: Harlequin, o Herlequin o Hellequin si chiamava un diavolo conduttor di diavoli nei misteri popolari del sec. XI. Così il Driesen, il più dotto studioso di questa maschera.
Ma non mancano altre etimologie, più ingegnose che sensate: da Erlenkönig, folletto della mitologia scandinava e germanica; da Alichino, diavolo dantesco che in realtà deriva dall'Harlequin francese, da Achille de Harlay, gentiluomo francese ehe protesse un comico italiano detto Harlayqino. Secondo altri il nome sarebbe il diminutivo di «harle#o «herle# uccello dal manto variopinto. Anche per le sue caratteristiche esteriori e per il suo tipo si sono cercate origini remote e lo si è riavvicinato agli antichi fallofori, che si imbrattavano il volto di fuliggine e recitavano senza coturno, e al Bucco romano, grande mangione.
Ma l'uso di imbrattarsi il volto per far ridere è universale, e così pure il tipo del pappatore. Troviamo comunque, verso il Cinquecento, la maschera di Arlecchino già definita: parla bergamasco, ha una corta giacchetta e calzoni attillati, l'una e gli altri coperti di pezzetti di stoffa di vari colori messi senza ordine, un bastone alla cintura, barba nera e ispida, mezza maschera nera col naso camùso, berrettone alla Francesco I con una coda di coniglio ciondolante (l'appender code di coniglio di volpe o orecchie di lepre era nel medioevo beffa consueta).

Napoléon Aubin (1812-1890), Le Fantasque, Québec, 1 August 1837 to February 1849, 21 x 15 x 2,2 cm, Montréal, Bibliothèque nationale du Québec. Photo Robert Derome.
Arlecchino nasce infatti sotto il segno della stupidità: una stupidità insolente, famelica che si addipana nei fili dell'intrigo dai quali si libera con salti acrobatici e botte alla cieca; così ce lo rappresentano sul finire del secolo due Arlecchini famosi: il Gavazzi e il Martinelli.


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Arlequin Mario Carreno, 1939
Nel Seicento, Domenico Biancolelli ne raggentilisce i modi e il costume; i frammenti multicolori si ordinano a losanga, appare il gran colletto bianco, e, in egual tempo, la grossolanità facchinesca diventa brio indiavolato, i salti scompostl acquistano ritmo di danza.
È questo l'Arlecchino per cui Lesage scrisse
le sue commedie.
Il Goldoni accolse questo tipo già incivilito: il suo Arlecchino ha sempre il desinare come sommo bene, ma se lo sa guadagnare con un'arguzia popolare non priva di eleganza.
Nell'Ottocento romantico la nota predominante
di Arlecchino non è più il suo appetito ma il suo costume policromo che si allea per contrasto all'idealismo monocorde e sospiroso dei tanti altri personaggi. Il Romanticismo sembra vedere in Arlecchino una possibilità di evadere da se stessi e per questo lo ama vedendo in lui un bizzarro simbolo di tutte quelle infinite
possibilità di essere di cui con tanta ansia cercava realizzarne almeno una.
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DIZIONARIO BOMPIANI DEI PERSONAGGI