RONDÒ ARLECCHINESCO

Composto agli inizi del soggiorno zurighese del Maestro di Empoli, mentre già delineava il progetto della sua grande opera incompiuta (il Dottor Faust), questo Rondò precede di solo due anni il "capriccio teatrale" pure imperniato sulla figura della popolare maschera veneziana e intitolato Arlecchino ovvero Le Finestre. «Il linguaggio di Arlecchino - scrive l'autore in prefazione alla partitura - è universale. Egli ora afferma decisamente i suoi principi con la tromba, ora se ne infischia del mondo intero con l'ottavino, oppure minaccia con i bassi, langue nel violoncello, va in cerca di regioni remote con la virtuosistica rapidità del violino.» Sono parole che illustrano assai bene l'andamento scanzonato e vario di questa breve pagina, mentre non manca nemmeno un vero e proprio "programma": l'eroe, Arlecchino, viene tratteggiato all'inizio di profilo e di fronte ("Allegro molto"), poi, con toni di serenata ("Andantino ritenuto") ne viene tratteggiata la natura contemplativa e amorosa; segue la "Fuga" (Arlecchino ha combinato naturalmente dei guai: ritorna il tempo vivo dell'inizio) e infine, nelle ultime battute, si ode di tra le quinte la voce di Arlecchino (tenore solista) che, ormai al sicuro, si fa giuoco dei suoi nemici. [Giacomo Manzoni]

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Son tempérament italien se fraie la voix dans le Rondò Arlecchinesco op. 46, qu'il composa à New York en 1915. Il s'agit-là d'une brève étude orchestrale composée à la même époque que l'opéra Arlecchino. On pourrait considérer cette étude orchestrale -comme une version instrumentale réduite de l'opéra, en quelque sorte comme une compression en forme de programme. Busoni ne fait qu'appuyer une telle supposition en accompagnant la partition d'une préface:

Dans un vêtement fait de pièces
multicolores
un corps souple
un esprit effronté et malin


Philosophie du «Rondò arlecchinesco» selon le compositeur

Le A (la) est la note fondamentale qui est continuellement confirmée.
Le langage d'Arlequin est universel. Il affirme rapidement son principe, avec effronterie, par la voix de la trompette; peu après, il se moque du monde en empruntant la voix de la flûte piccolo; il menace avec les contrebasses, se languit avec le violoncelle,
prend la clef des champs avec une agilité semblable à celle des violons.
Les trois idées de la devise peuvent donc être interprétées de la manière suivante dans l'oeuvre:
«Dans un habit fait de pièces multicolores» concerne la structure mouvante dans laquelle les différentes parties sont disposées «en vrac»;
«un corps souple» se rapporte au tempo et au rythme;
«un esprit effronté et malin» concerne le contenu, autant que le permirent ici la désinvolture et la hardiesse du compositeur lui-même.
Le compositeur se représenta vaguement cette suite d'images, qui devait plus servir d'idée accompagnatrice que de programme:
1. Le portrait du «héros» sous ses deux profils et «de face».
2. La contemplation d'Arlequin et son état amoureux (qui est chanté temporairement dans la partition par le geste de la sérénade).
3. La fuite, motivée par une farce trop osée, et qui permet à Arlequin d'échapper à l'aventure galante et à la dispute.
4. Arlequin, qui se tient à bonne distance, fait entendre sa voix au monde, sur un ton de moquerie outrecuidante. [F. B.]

Pourquoi Arlequin doit-il fuir? Hum! Il s'approprie la femme du tailleur Matteo, qui lit du Dante, se bat en duel avec le prétendant Leonardo, qui porte le titre de Comte, mène tout le monde par le bout du nez (comparable en cela à «Till Eulenspiegel»; et le poème symphonique de Richard Strauss repose sur un trait sarcastique tout à fait semblable). Ici tout concorde à l'exception de quelques détails: le geste rusé du thème d'Arlequin, avec ses variantes hardies, craintives et téméraires, le faux ton de choral (car on tient Leonardo pour mort), le brusque changement de ton, avec l'adoption d'un ton languissant, amoureux, l'instrumentation multicolore et criarde, parfois stridente, le ton moqueur de la flânerie et enfin la vulgarité débrouillarde d'Arlequin chantant «lalala». Approprié aussi le mouvement de fuite des figures frénétiques des cordes, ingénieusement réalisé en forme de fugue (= fuite). Ce vacarme prend fin avec un bruit de grelots, qui se perd dans le lointain. Au revoir, Arlequin: même dans un vêtement rapiécé on peut essayer de marcher droit, sans avoir besoin de se courber.


Se la Sonatina seconda e il Nocturne Symphonique appartengono al momento magico e visionario, autenticamente tedesco e faustiano della esplorazione più avanzata di Busoni [...], al versante italiano della sua poetica, mediterraneo e luminoso ma tutt'altro che disimpegnato, si ricollega invece il brillante Rondò arlecchinesco op. 46, per orchestra e una voce di tenore. Composto in America nel 1915, oltre a fornirne parte esso utilizza materiale tematico del «capriccio teatrale» in un atto Arlecchino ovvero Le Finestre, a cui Busoni lavorò fra il 1914 e il 1916. Non si tratta perciò né di una Fantasia né di una Suite dell'opera, ma piuttosto di uno schizzo sinfonico preparatorio dell'opera medesima, in sé autosufficiente e compiuto: una vera «prova d'autore». «Investe di toppe variopinte fun corpo guizzante / uno spirito capriccioso e saggio» è il motto simbolico, allusione alla filosofia della maschera Arlecchino, che Busoni premise alla partitura, spiegandone il senso musicale nel programma della prima esecuzione, avvenuta a Zurigo il 27 marzo 1916:

Il linguaggio di Arlecchino è versatile. Ora afferma sfrontato i suoi principi con la tromba; ora si ride del mondo con la voce dell'ottavino; minaccia coi bassi, languisce coi violoncelli, cerca spazio con sveltezza violinistica. I tre pensieri del motto sono dunque da intendere in musica così: «In veste di toppe variopinte» riguarda la forma sciolta, per giustapposizioni; «un corpo guizzante» il tempo e il ritmo; «uno spirito capriccioso e saggio» il contenuto, nella misura in cui il capriccio e la saggezza del compositore lo permettono.

Il lavoro, che armonicamente ruota intorno alla tonalità di la maggiore-minore («la», in notazione tedesca «A», lettera iniziale di Arlecchino, è la nota fondamentale del pezzo) danzando al ritmo di un vorticoso 3/4, si apre con una ardita fanfara di tromba in fortissimo, la stessa che nell'opera servirà a introdurre il monologo recitato del protagonista: essa è il ritratto di Arlecchino, il gesto musicale che lo caratterizza sulla scena. Per il Rondò arlecchinesco Busoni afferma di aver avuto presente alla fantasia una sequenza di quadri staccati, «più come immagine accompagnante che come programma», si affretta subito a precisare a scanso di equivoci: dopo il ritratto del protagonista «due volte di profilo e una di faccia», ecco le avventure amorose di Arlecchino (con la stupenda sezione centrale in tempo moderato della appassionata serenata), la fuga precipitosa dopo il colpo (col risuonare della fanfara) e infine la beffarda canzone «a superiore derisione del mondo», a cui la voce del tenore fuori scena dà corpo con i suoi spensierati «la la la», sullo spegnersi dell'accompagnamento di sola percussione. Senza pretendere troppo dal confronto, è lecito vedere nel Rondò arlecchinesco quasi un Till Eulenspiegel italiano, in miniatura certo, ma ricco d'arguzia e di fascino, di potenzialità sceniche e di brio popolaresco: il tutto in un'articolazione formale equilibrata e dinamica e in una veste orchestrale leggera e sgargiante, come forse mai finora (fatte salve alcune pagine della Turandot) era riuscito a Busoni. [Sergio Sablich]