NUOVA CLASSICITÀ
JUNGE KLASSIZITÄT

Questa lettera fu inviata personalmente al grande musicologo Paul Bekker in occasione della polemica tra Busoni e Hans Pfitzner. Cfr. F. Busoni, Lo sguardo lieto, pp. 112-114.

Zurigo, gennaio 1920

Stimatissimo signor Paul Bekker,
ho letto con interesse e simpatia il Suo articolo «Impotenza - o potenza?» e Le sono profondamente grato per parecchie cose che vi si leggono. Sebbene Pfitzner non possa destare in me altrettanto interesse e simpatia - né d'altronde lo desidera - pure non posso vincere del tutto il dubbio che tra lui e quel ch'egli combatte esistano dei malintesi; non solo credo che noi tutti d'intenzioni oneste aspiriamo nella musica al meglio, alla massima perfezione possibile (una qualità comune questa, che dovrebbe far cessare ogni ostilità) ma pure che nei tentativi dei compositori d'oggi esistono certo differenze - precisamente differenze di talento! -, non però abissi che li dividano: io credo che essi tutti si somiglino più di quanto sospettiamo o di quanto cerchiamo di convincerci. (Diversa è la situazione quanto alla differenza del modo di pensare.)
In ogni tempo ci furono - ci dovevano essere - artisti che si aggrappavano all'ultima tradizione, e altri che cercavano di liberarsene. Mi sembra che questo stato crepuscolare sia permanente; aurora e piena luce diurna sono considerazioni prospettiche di storici che amano fare riassunti e arrivare presto a fatti importanti. Anche l'apparire di singoli esperimenti che sfociano nella caricatura è un segno che sempre accompagna le evoluzioni: si scimmiottano bizzarramente atteggiamenti vistosi di coloro che valgono qualche cosa; protervia o ribellione, satira o stoltezza. Negli ultimi quindici anni questo è accaduto piu spesso, e ciò fa tanto più specie dopo la sosta degli anni Ottanta; fenomeno nella storia dell'arte isolato (che purtroppo coincise proprio col periodo della mia giovinezza). Ma il generalizzarsi dell'esagerazione - con la quale oggi anche il principiante debutta - indica la chiusura di un periodo; e il prossimo passo, che lo spirito d'opposizione deve incoraggiare e arrecare, è quello che porta alla
nuova classicità.
Per "nuova classicità" [1.] intendo il dominio, il vaglio e lo sfruttamento di tutte le conquiste di esperienze precedenti: il racchiuderle in forme solide e belle.
Questa arte sarà allo stesso tempo vecchia e nuova - in un primo momento. Noi ci dirigiamo verso di essa - fortunatamente - consci o inconsci, di nostra volontà o trascinati dalla corrente.
Per sorgere pura nella sua novità, per avere effettivamente agli occhi dello storico il significato d'un avvenimento, quest'arte deve pero fondarsi su parecchi presupposti che oggi non sono ancora del tutto riconosciuti. Sento come una delle più importanti di queste verità ancora misconosciute il concetto dell'unità nella musica. Intendo l'idea che musica è in sé e per sé musica, e null'altro, e che essa non si divide in generi diversi; se non quando titoli, situazioni, interpretazioni, che sono trasportate in essa dall'esterno, la scompongano apparentemente in varietà diverse. Non esiste una musica "di chiesa" in sé e per sé; ma nient'altro che musica basata su un testo chiesastico, o eseguita in chiesa. Variate il testo e varierà, apparentemente, anche la musica. Togliete il testo del tutto, e rimarrà, illusoriamente, un brano sinfonico. Aggiungete parole a un tempo di quartetto e ne risulterà una scena d'opera. Suonate il primo tempo dell'Eroica come accompagnamento a un western e la musica vi apparirà cambiata sino all'irriconoscibile. Per questo Ella non dovrebbe parlare di musica strumentale e del "vero sinfonista", come Le è sfuggito nel Suo articolo sulle sinfonie da camera; non mi permetto di criticarLa, ma ho avuto la spiacevole impressione che con questa terminologia Ella si avvicinasse a Pfitzner piu di quanto fosse nelle Sue intenzioni.
Conto anche come elemento della "nuova classicità" il distacco definitivo dal tematismo e il rinnovato impiego della melodia (non nel senso di motivo orecchiabile) quale dominatrice di tutte le voci, di tutti gli impulsi, supporto dell'idea e genitrice dell'armonia, in breve; della polifonia sviluppata (non complicata) al massimo.
Un terzo elemento, non meno importante, è il rinnegamento della sensualità e la rinuncia al soggettivismo (la via verso l'oggettività - il ritrovarsi dell'autore di fronte all'opera - una via di purificazione, un cammino duro, una prova dell'acqua e del fuoco), la riconquista della serenità: non la smorfia di Beethoven e neppure il "riso liberatore" di Zarathustra, ma il sorriso del saggio, della divinità: musica assoluta. Non profondità e sentimento e metafisica; ma musica al cento per cento, distillata, non mai nascosta sotto la maschera di figure e concetti presi a prestito da altri campi. Sentire umano - ma non faccende umane - e anche questo sentire espresso nelle misure dell'arte. E dire misure dell'arte non è soltanto riferirsi alle proporzioni, ai limiti della bellezza, alla salvaguardia del gusto - significa anzitutto non assegnare a un'arte compiti estranei alla sua natura (per esempio, in musica: la descrizione).
Questo è quel che io penso. E può tutto ciò - per riferirci a quanto è stato detto da principio - può questa opinione venir combattuta da persone oneste? Non porgo io piuttosto la mano a una generale intesa? È possibile che queste teorie vengano considerate da un lato come dannose, pericolose, dall'altro come retrograde, piene di compromessi? Io le affido a Lei.
Il Suo
Ferruccio Busoni

[1.] Sullo stesso tema è il seguente frammento d'una lettera di Busoni al figlio 18 giugno 1921, pubblicata in E. Debusmann, Ferruccio Busoni Wiesbaden 1949, quindi in H. 38 (col titolo Junge Klassizitat): "Mio caro ragazzo, come sai, già da più di due anni ho lanciato nel mondo il termine "nuova classicità" profetando che sarebbe divenuto popolare. Mi suona oggi curioso, visto che circola senza che si sappia più chi lo abbia coniato. E così capita di dire che anche Busoni è un seguace della nuova classicità... Ma ad escogitarlo non occorreva un profeta. Dopo una preoccupantemente lunga serie di esperimenti, di iniziali " secessioni " - dalle quali controsecessioni e infine sciamanti gruppetti continuarono giù giù a suddividersi - il bisogno d'una completa certezza nello stile ha da farsi sentire.
"Ma come in tutto il resto, anche in questo sono stato frainteso, perché la gente s'immagina la classicità come qualcosa che si rifà al passato. Se ne ha la conferma nella pittura, per esempio con la riabilitazione di Ingres, che se in se stesso è un maestro, è pero uno scoraggiante modello di forme morte (si capisce che esagero un po')
"La mia idea (o piuttosto sensazione, necessità personale più che stabile principio) è che nuova classicità significhi compiutezza in duplice senso: come perfezione e come complemento. Conclusione di tentativi precedenti". SU